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Strage a Donetsk, guerra senza fine in Ucraina

Battaglia a Donetsk e strage di civili. I miliziani pro-russi prendono l'aeroporto della città. Un colpo di mortaio provoca un massacro fra i passeggeri di un filobus di Donetsk. Le due crisi si sovrappongono e rovinano quel poco di dialogo e di accordi che si erano raggiunti all'inizio della settimana. Nuova escalation in Ucraina.

Esteri 23_01_2015
Donetsk, i resti dell'aeroporto

L’Ucraina è entrata in una nuova fase di escalation incontrollata di violenza. La tregua proclamata il 5 settembre e i nuovi accordi stipulati proprio due giorni fa per il ritiro degli armamenti pesanti, sembrano non poter più reggere alla prova dei fatti. In appena due giorni si sono accavallate tre crisi. Una militare: la presa dell’aeroporto di Donetsk da parte delle milizie pro-russe; una umanitaria: la strage alla fermata di un autobus di Donetsk, provocata probabilmente da un colpo dell’artiglieria dell’esercito ucraino; una politica: la nuova crisi fra il governo di Kiev e Mosca che rischia di far saltare ogni accordo e spalanca le porte al rischio concreto di un intervento militare russo.

La tregua sta teoricamente durando dal 5 settembre scorso, dopo gli accordi di Minsk, ma di fatto non è mai esistita: almeno 1800 morti si contano da allora ad oggi. Le truppe regolari ucraine e le milizie pro-russe delle regioni orientali del Donbass non hanno lanciato grandi offensive, non hanno spostato la linea del fronte se non di pochi chilometri, ma le scaramucce e i duelli di artiglieria sono continuati senza sosta. Questo, almeno, fino a domenica, quando le milizie del Donbass, quelle dell’autoproclamata Novorossija (la repubblica dell’Ucraina orientale che vorrebbe l’annessione alla Russia) hanno lanciato una prima offensiva ridotta sull’aeroporto di Donetsk. Dopo giorni di intensi combattimenti, le truppe regolari ucraine, nella notte di mercoledì, hanno dovuto abbandonare i due terminal dell’aeroporto, ormai ridotti a un cumulo di macerie ed esposti al tiro diretto dei carri armati del nemico. Per l’Ucraina, intenta a celebrare il giorno dell’Unità Nazionale, si tratta di una sconfitta grave e della peggior crisi militare da settembre ad oggi. Per ironia della sorte, la presa dell’aeroporto di Donetsk avviene solo un giorno dopo il meeting sull’Ucraina di Berlino, in cui il governo di Kiev e il governo provvisorio dei ribelli della Novorossija avevano annunciato un rinnovo della tregua, che avrebbe dovuto essere consolidato dal ritiro di tutte le armi pesanti (artiglieria e lanciarazzi, soprattutto) oltre una fascia di sicurezza di 15 km dall’attuale linea del cessate il fuoco. La causa della nuova escalation è ancora tutta da investigare. I filo-russi accusano le truppe regolari di aver attaccato per prime, per guadagnare terreno in vista della tregua. L’attacco all’aeroporto viene dunque descritto dalle autorità separatiste come una risposta necessaria. Il governo di Kiev, al contrario, accusa i separatisti di aver deliberatamente attaccato per primi l’aeroporto di Donetsk e di aver simulato l’intenzione di giungere a una tregua solo per coprire le loro reali intenzioni. Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha lanciato un appello televisivo per una “Ucraina unita” con “un forte governo centrale a Kiev”, cosa che fa presagire una prossima controffensiva contro i separatisti, per riconquistare l’aeroporto (almeno) o spingersi fino a Donetsk (al più). Inutile dire che, comunque procedano le operazioni, i risultati ottenuti dalla diplomazia europea a Berlino sono già andati in fumo.

Alla crisi militare si sovrappone, appunto, quella umanitaria. Ieri mattina, un colpo di artiglieria ha centrato in pieno un filobus di Donetsk, uccidendo sul colpo 7 persone (fonte Osce) o 13 (fonte delle autorità locali). Non si sa ancora definitivamente chi abbia sparato, ma il filobus era in piena area controllata dai pro-russi, quindi tutti i sospetti portano all’artiglieria dell’esercito regolare ucraino. E’ più difficile che si sia trattato di fuoco amico, per un errore o per una provocazione dei separatisti (tesi sostenuta da Kiev). Ad indagini ancora in corso, condotte sul terreno dagli ispettori dell’Osce, la strage di civili ha comunque fornito l’occasione che Mosca aspettava per accusare il governo ucraino di crimini di guerra, come ha puntualmente fatto il ministro degli Esteri Sergej Lavrov: “un nuovo mostruoso crimine”, una “deliberata provocazione”, volta a “sabotare il processo di pace”. L’opinione pubblica russa è infiammata per questa notizia, i media non parlano d’altro e la Russia sarà, d’ora in avanti, molto più riluttante a dialogare con la controparte occidentale. “Ogni colpo sparato contro i civili serve solo a rendere più difficile il negoziato” ha rilanciato Denis Pushilin, il leader pro-russo di Donetsk. Per vendicare la strage, i suoi miliziani hanno trascinato di fronte al filobus distrutto 16 prigionieri di guerra dell’esercito regolare ucraino, obbligandoli a sfilare in mezzo a una folla inferocita, a inginocchiarsi di fronte ai corpi delle vittime e al relitto del mezzo pubblico. Anche questa è una caratteristica della brutale guerra ucraina: nessun rispetto per i prigionieri. Non sappiamo ancora quale sorte toccherà a quei sedici soldati esposti alla pubblica gogna e poi portati via in auto dai miliziani verso una località sconosciuta.

In mezzo a questa tragedia, fra Kiev e Mosca si è di nuovo interrotto il timido dialogo iniziato appena giovedì scorso. Con una lettera scritta personalmente dal presidente russo Vladimir Putin alla sua controparte ucraina Petro Poroshenko, la Russia si era detta disponibile ad accettare la linea del cessate il fuoco e aveva promesso di “esercitare pressioni” diplomatiche sui separatisti per indurli ad accettare il ritiro delle armi pesanti. Ora quella lettera appare già come passato remoto, anche perché Poroshenko ha perso fiducia nel Cremlino. Nell’attacco all’aeroporto di Donetsk, i separatisti hanno impiegato armi che non possono che provenire dagli arsenali della Russia, soprattutto i lanciarazzi Buratino, che benché siano obsoleti, non sono mai stati in dotazione all’artiglieria ucraina. Il governo di Kiev denuncia l’uso dei “convogli umanitari” per trasportare armi, truppe e munizioni e stima che nel Donbass siano presenti almeno 9000 militari russi. All’indomani della presa dell’aeroporto, la crisi fra Kiev e Mosca può diventare irreversibile, perché Poroshenko non può lasciar correre una perdita territoriale solo apparentemente piccola: sulla tenuta di quell’aeroporto, infatti, il governo di Kiev aveva investito molto, emotivamente, in termini di propaganda e non solo di impegno militare. Era diventato una sorta di “Stalingrado ucraina”, un punto di resistenza da non mollare. Un contrattacco sarà quasi inevitabile.

Dall’altra parte del fronte, Putin non potrebbe ammettere un eventuale sfondamento ucraino del fronte del Donbass. Se le truppe regolari ucraine, nel loro contrattacco, dovessero mai entrare in Donetsk, per Putin un intervento militare diverrebbe un obbligo morale, soprattutto dopo l’ondata emotiva provocata dalla strage del filobus. L’opinione pubblica russa, infatti, non tollererebbe la caduta di Donetsk. E di intervento russo parla, implicitamente, anche un ex premier russo, nonché ex ministro sovietico alto ufficiale del Kgb: Evgenij Primakov. Ha parlato alla stampa della possibilità che le truppe russe possano entrare in Ucraina, apertamente e non clandestinamente, con un intervento armato deliberato e non solo in appoggio a milizie irregolari locali. Primakov ritiene che questa possa essere una mossa azzardata e la sconsiglia vivamente. Ma, se ne parla, considerando il personaggio in questione, non lo fa per caso o per provocare: vuol dire che nelle forze armate russe ci stanno pensando seriamente.