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GIORNATA DELLA MEMORIA\2

Storia di Raoul Wallenberg, Giusto d'Israele

Salvò 100mila ebrei dai nazisti, poi arrivarono i sovietici che cercarono di arruolarlo, lui rifiutà e così scomparve nel nulla. La sua patria, la Sevezia, riapre il caso nel centenario della nascita.

Attualità 27_01_2012
Raoul Wallenberg, a Budapest nel 1944

 

Sul finire del secondo conflitto mondiale riuscì a salvare circa 100mila ebrei ungheresi. Poi arrivò l’Armata Rossa, l’NKVD cercò di "arruolarlo", lui rispose niet e così sparì nel nulla. Il suo nome, Raoul Gustav Wallenberg, è inserito nell’elenco dei Giusti tra le nazioni in Israele e la Giornata della Memoria non può fare a meno di lui.

Le circostanze della sua scomparsa sono da sempre avvolte nel buio. Come in molti altri casi analoghi, in realtà le cose si sanno, ma nessuno parla. Oggi però il governo svedese - Wallenberg era cittadino svedese - annuncia finalmente la riapertura del cold case che lo riguarda. Se ne sta occupando il ministro degli Esteri di Stoccolma, Carl Bildt, attraverso una nuova commissione d’indagine affidata a quelll’Hans Magnusson che già negli anni 1990 cercò, assieme a esperti russi, di fare luce piena sulla vicenda.
Il ministro Bildt riferisce che, stando agli esperti russi, Wallenberg sarebbe morto, «o più verosimilmente fu ucciso» dai sovietici, che non erano riusciti a piegarlo, il 17 giugno 1947. Eppure alcune testimonianze e certe nuove prove, tutte comunque da verificare, farebbe presumere che l’eroe svedese possa anche essere sopravvissuto oltre quella data.

La versione sovietica più recente - mai del resto smentita dalla Russia postsovietica - recita che Wallenberg venne stroncato da un attacco cardiaco in prigione, ma la Svezia non l’hai ma bevuta sino in fondo. Lunedì 16 gennaio, l’agenzia di stampa Associated Press (AP) ha infatti riferito di due ricercatori statunitensi secondo i quali Stoccolma sarebbe recentemente entrata in possesso di un nuovo documento che dimostrerebbe il tentativo profuso all’inizio dagli anni 1990 dal KGB di fermare ogni indagine su Wallenberg. All’AP l’ex direttore dell’"Archivio speciale" del KGB, Anatolij Prokopenko, ha inoltre detto che, dopo un breve periodo di apertura inziato subito prima del crollo del regime comunista di Mosca nel 1991, l’archivio fu poi richiuso in tutta fretta, e che da allora le autorità russe si sono sempre mostrare assai riluttanti. Lo studioso russo Vadim Birstein, membro della prima équipe di ricerca, annuncia però che oggi gli investigatori hanno a disposizione materiali importanti, allora sconosciuti.

UN COMITATO DI SALVEZZA

L’Ungheria si trovava all’epoca sulla punta del coltello. Dopo la presa del potere da parte dei comunisti di Béla Kun (nato Béla Koh, 1886-1938/9) nel 1919, e la proclamazione dell’effimera Repubblica sovietica d’Ungheria, l’ex regno magiaro attraversò un brutale periodo di terrore. Miklós Horthy de Nagybánya (1868-1957) prese il comando della reazione militare e politica, ma fu l’invasione romena che mise fine a quel primo esperimento comunista ungherese. Nel 1920 a Horthy fu dunque affidata la reggenza del regno restaurato. La sua politica conservatrice inclinò poi sempre più al nazionalismo e di questo fu emblema evidente il varo, nel 1938, di leggi razziali ricalcate su quelle naziste tedesche (che colpirono gravemente gli ebrei, spesso erroneamente ritenuti tutt’uno con il comunismo) e l’alleanza - quanto per amore o quanto per forza è un altro problema, che non assolve comunque dalle colpe - con il Terzo Reich.

Ma il virus nazionalista che aveva attaccato Horthy non aveva ancora soppresso completamente le sue originarie inclinazioni più genuinamente conservatrici, e così, in mezzo a responsabilità politiche gravissime, il reggente riuscì pure a risultare un alleato della Germania poco convinto, ondivago, persino infido. Quando poi scoprì che Budapest, dopo aver partecipato all’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, stava cercando un pace separata con Washington e con Londra, Berlino decise, era il 1944, di occupare l’Ungheria. Deposto Horthy, il potere fu allora assunto dal filonazista Ferenc Szálasi (1897-1946), capo del Partito delle Croci Frecciate-Movimento Ungarista, una formazione apertamente nazista.

Quindi, a seguito delle prime denunce dello sterminio ebraico (che però non erano ancora la piena conoscenza dell’Olocausto in tutte la sua dimensione), il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt (1882-1945) mise in piedi il War Refugee Board, un comitato che avrebbe cercato d’intervenire positivamente a favore degli ebrei. La Casa Bianca decise a quel punto di agire sullo scenario ungherese attraverso la neutrale Svezia. Mandò un inviato a Stoccolma e lì fu selezionata una task force, a capo della quale fu alla fine posto l’architetto, uomo di affari e adesso diplomatico Raoul Wallenberg.

DALLA PADELLA ALLA BRACE

A Budapest era l’inferno. Tra maggio e luglio di quel 1944 tragico erano stati rastrellati 400mila ebrei e tutti, tranne un gruppo di 15mila, inviati ad Auschwitz. Nell’ex regno mitteleuropeo ne restavano solo 230mila. Wallenberg si diede subito da fare. Con degli amici, emise, a nome del governo di Stoccolma, dei "passaporti di protezione", i portatori dei quali venivano riconosciuti come cittadini della neutrale Svezia. Intoccabili, insomma. Erano documenti ovviamente falsi, ma servirono allo scopo. I nazisti tedeschi e ungheresi si bevvero l’inganno. Wallenberg passò così alla seconda mossa. Quei "nuovi cittadini" svedesi dovevano essere rimpatriati, subito.

Aveva denari, Wallenberg, e così alloggiò quegli "svedesi semiti" in 32 edifici. Forte dei propri poteri diplomatici, li dichiarò immediatamente extraterritoriali, ribattezzandoli "Biblioteca svedese", "Istituto di ricerca di Svezia", tutta roba che pareva credibile. Una volta fermò un treno carico di ebrei e si mise a distribuire loro passaporti svedesi mentre le Croci Frecciate gli sparavano addosso. Con Wallenberg operava un intero esercito di eroi, 350 persone. Tra queste, suor Sára Salkaházi (1899-1944), della Società delle sorelle di servizio sociale, che aiutò i "fratelli maggiori", che poi fu scoperta, che dunque venne uccisa dalle Croci Frecciate e che nel 2006 è stata beatificata.

Alla fine la situazione si fece altamente rischiosa per lo stesso Wallenberg. Doveva spostarsi continuamente, inseguito, braccato dagli uomini di Szálasi. I sovietici erano del resto alle porte.
La fine del dicembre del 1944 vide Budapest lordata di nuovo sangue con la Wehrmacht che non si arrendeva e l’Armata Rossa che incalzava. E mentre ancora le armi dei due opposti e uguali totalitarismi del secolo XX ancora crepitavano, il 17 gennaio 1945 il generale sovietico Rodion Jakovlevic Malinovskij (1898-1967), capo dei nuovi arrivati sovietici, convocò Wallenberg. Aveva lavorato, quello svedese, per un comitato istituito su accordo con gli USA. Quindi era una spia. Nel 1993, un documento pubblicato dalla stampa svedese rivelò che però in realtà tutto era già compiuto: Nikolai A. Bulganin (1895-1975) - vicecommissario sovietico alla Difesa, nonché principale agente di Stalin (1878-1953) nell’Alto Comando dell’Armata Rossa - aveva da tempo trasmesso a Malinovskij l’ordine di arrestare Wallenberg.

Il 21 gennaio il diplomatico era già alla Lubjanka, cella 123. La stessa di Gustav Richter (1913-1982?), aiutante del guru nazista Adolf Eichmann (1906-1962)...  L’8 marzo 1945, la radio di Stato dell’Ungheria oramai ridotta a servo di Mosca annunciò che Wallenberg e il suo autista erano stati assassinati durante un viaggio, ovvio dalle Croci Frecciate. Bugia. Poi scese il silenzio. Nemmeno un amico dei comunisti sovietici come l’ambasciatore statunitense a Mosca W. Averell Harriman (1891-1986) riuscì a carpire informazioni.

Nel 1953 il governo comunista ungherese cercò pure di accreditare l’idiozia secondo cui Wallenberg era stato ammazzato da "sionisti cosmopoliti", come "sostenevano" due "testimoni" fatti confessare con la tortura. Doveva celebrarsi a Mosca uno dei molti processo-farsa della storia del comunismo internazionale, ma la morte di Stalin mandò tutto in fanteria.

La realtà era che Mosca aveva cercato di arruolare Wallenberg come agente. Un antinazista di tal calibro, ragionavano i sovietici, sarebbe stato un’ottima réclame per il comunismo. Ma Wallenberg sapeva bene che Berlino e Mosca erano invece uguali. Dopo l’ennesimo rifiuto, Mosca decise allora di togliere il disturbo e la vita a Wallenberg. Chisseneimporta degli ebrei che salvò; se non sei comunista, gli ebrei che salvi contano di meno...

FINO A QUANDO?

In italiano c’è un vecchio libro che si legge con profitto, di Domenico Vecchioni, Raoul Wallenberg. L’uomo che salvò 100.000 ebrei, con prefazione di Giovanni Spadolini (1925-1995) (Eura Press/Edizioni Italiane, Milano 1994). Negli archivi del KGB, il dossier che riguardava il diplomatico svedese scomparve: in realtà, ci si vergogna a mostrarlo. L’ex colonnello del KGB Oleg A. Gordievskij lo ha però visto e ne scrive in quel monumentale La storia segreta del KGB (trad. it., Rizzoli, Milano 1991), che redasse con lo storico inglese Christopher M. Andrew, quello dell’"Archivio Mitrokhin": Wallenberg «fu ucciso non più tardi del 1947» (p. 685) nell’indifferenza generale. Ancora una volta.

Il 2012 è l’anno di Wallenberg. Il 4 agosto ne marcherà il centenario della nascita, avvenuta nel 1912 in località Kappsta, comune di Lidingö, sull’omonima isola svedese. Sarebbe bello che entro quella data il mondo, i sopravvissuti all’Olocausto e gli eredi di chi invece purtroppo non ce l’ha fatta potessero finalmente conoscere con certezza anche quella della morte di quel Giusto. Per poter almeno gettare un fiore orante oltre l’ex Cortina di ferro negli anniversari, se purtroppo il luogo dove riposano i resti di Raoul dovesse, com’è probabile, rimanere per sempre ignoto, precluso al pellegrinaggio, come quello di migliaia di altri martiri ed eroi.

 

- Il Capitano Pilecki, volontario ad Auschwitz, di M. Respinti