Sterilizzazioni eugenetiche: il Giappone chiede scusa
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Il governo giapponese fa ammenda per le 16500 persone sterilizzate senza consenso in virtù di una legge in vigore fino agli anni Novanta, come avvenuto in precedenza anche in Svizzera e in Svezia. Il miglioramento della razza non era solo un tragico delirio nazista ma un'utopia tipicamente novecentesca.
È stato presentato nei giorni scorsi al parlamento giapponese un report di 1400 pagine sulle sterilizzazioni forzate avvenute nel Paese tra il 1948 e il 1996.
Per quasi mezzo secolo la pratica è stata portata avanti a scopo eugenetico in virtù di un’apposita legge, promulgata nel 1948 e implementata da linee guida nel 1953. In totale 16500 persone (circa 11000 donne e 5000 uomini, bambini compresi) sono state sottoposte – senza consenso – a operazioni volte a evitare che si riproducessero, perché portatrici di varie forme di disabilità mentale o fisica e in quanto tali considerate “difettose”. A queste si aggiungono 8000 persone che invece erano consenzienti all’operazione e 60000 aborti sempre per lo stesso motivo. Tra gli sterilizzati senza consenso anche bambini che all’epoca avevano 9 anni.
Il rapporto fa seguito a una legge del 2019 che ha accolto l’ultraventennale richiesta delle vittime di essere risarcite (ma il risarcimento è stato ricevuto per ora solo da un migliaio di persone) e perché si procedesse a un’inchiesta in merito. Richiesta più volte inevasa all’indomani dell’abolizione della legge, poiché negli anni Novanta il governo e il ministero della salute si trinceravano dietro la legalità delle operazioni: nulla da indagare né da risarcire perché tutto si era svolto secondo la legge allora vigente (che prevedeva anche il mancato consenso).
Già nel 1997 la vicenda fu ricostruita da Takashi Tsuchiya, docente del dipartimento di filosofia dell’università di Osaka, in un saggio intitolato Eugenetic Sterilization in Japan and Recent Demands for Apology: A Report. Tsuchiya offre una sintesi della legge sulla cosiddetta “protezione eugenetica” del 1948 e della sua implementazione nel 1953, nonché sulla concreta applicazione e sulle domande e risposte allora ricevute in merito, dopo le prime proteste levatesi in Giappone, anche sulla scia della richiesta di scuse presentata a fine agosto 1997 dal governo svedese per analoghe leggi in vigore fino a vent’anni prima.
La legge giapponese si prefissava di «prevenire la nascita di figli inferiori dal punto di vista eugenetico e di proteggere la vita e la salute delle madri» (art. 1). A preoccupare il governo del Sol Levante non era tanto la sovrappopolazione, ma soprattutto il timore di un «“deterioramento” qualitativo della prole», sottolinea Tsuchiya. La stessa sterilizzazione era definita «operazione eugenetica», volontaria (art. 3) o non volontaria (artt. 4 e 12). Il consenso era richiesto in presenza di patologie fisiche o mentali o malformazioni relative a uno dei due partner (o a un congiunto fino al quarto grado) o quando la gravidanza o il parto avrebbero costituito un rischio. Gli artt. 4 e 12 invece prevedevano la sterilizzazione senza alcun consenso della persona affetta da specifiche patologie elencate in un’apposita lista (tra cui schizofrenia, epilessia, abnorme desiderio sessuale o rilevanti inclinazioni criminali, albinismo, ecc.). In questi casi sul consenso della persona prevaleva «il pubblico interesse». Le linee guida del 1953 in sostanza ridussero lo “spazio di manovra” per un eventuale appello della persona interessata rispetto al parere della commissione eugenetica, aumentando così le sterilizzazioni involontarie.
Gran parte di queste «operazioni eugenetiche» avveniva sui pazienti di ospedali psichiatrici e di istituti che accoglievano persone con disabilità mentali. In questi casi, non di rado la persona veniva ingannata. Tsuchiya cita il caso di due donne sterilizzate senza consenso, che, una volta venute a conoscenza della sterilizzazione subita, ne rimasero così scioccate che il loro stato mentale peggiorò. Altre volte il consenso c’era ma era forzato, vincolando la sterilizzazione all’entrata o all’uscita da un determinato istituto. Quanto alla pratica chirurgica, poteva spingersi anche oltre la legge, che di per sé vietava la rimozione di organi. Alla legatura delle tube si preferiva la rimozione delle ovaie soprattutto dell’utero. In tal modo, non si impediva solo il concepimento ma anche il ciclo mestruale della donna per facilitare chi doveva prendersene cura. Su questi ultimi casi il governo nipponico, negli anni Novanta replicò che, essendo illegali, non erano oggetto di alcuna inchiesta relativa alla legge, ma da valutare come singoli casi a sé stanti. Benché illegali, anche secondo la legge allora vigente, queste operazioni erano eseguite anche da professori universitari, nessuno dei quali ha mai subito sanzioni. Uno di loro (intervistato nel 1993 dal Mainichi Shinbun si era persino detto «fermamente convinto che fosse legale, etico e nel miglior interesse» delle pazienti. Le quali però hanno dimostrato di pensarla in maniera diversa come oggi riconosce anche il governo, dopo oltre un quarto di secolo.
Dietro il timore di un «deterioramento qualitativo della prole» si cela l’utopia tipicamente novecentesca di una «razza migliore» (cfr. R.Cascioli-A.Gaspari, Le bugie degli ambientalisti, Piemme, Casale Monferrato 2004, pp. 15 ss.): utopia coltivata non solo nella Germania nazista e non solo nell’epoca dei totalitarismi, tant’è che il termine «eugenetica» fu coniato a fine Ottocento dal britannico Francis Galton, cugino di Darwin. E Galton Institute si chiama oggi la Società Eugenetica che ha mutato nome ma non scopi. Come già accennato, l’avanzatissima Svezia dovette fare ammenda per una legge in vigore fino agli anni Settanta (si poteva essere sterilizzati anche solo per mancata applicazione agli studi o scarso quoziente intellettivo). Il Paese scandinavo arrivò ben prima del nazismo quanto a proposte di legge per eliminare i deboli (dai disabili ai miopi), avanzate già nel 1922 ma entrate effettivamente in vigore nel 1934. Anche la Svizzera ha dovuto indennizzare le vittime di una legge in vigore fino al 1977. E anche oltreoceano (Usa e Canada) la pratica era in voga fino agli anni ’70-‘80.
Nel romanzo Il mondo nuovo risalente al 1932 Aldous Huxley immaginava una divisione degli uomini in categorie (Alfa, Beta, Gamma, ecc.) in base alle capacità intellettuali e quindi alla dignità di vita. Nell’opera distopica di Huxley gli “inferiori” erano procreati come manovalanza per le attività considerate meno nobili rispetto a quelle riservate agli Alfa. Nella realtà (giapponese e non solo) persone ritenute "inferiori" sono state considerate indegne di riprodursi (quando non addirittura di venire al mondo), per dar spazio ai presunti "migliori". Si suol dire che la realtà supera la fantasia... ma anche la distopia.