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LA STORIA

Stella coeli, l’inno contro le pestilenze (e il peccato)

Stella coeli extirpavit è un’antifona dedicata alla Santa Vergine, invocata come protettrice contro le epidemie. Origina dalla pestilenza che nel 1317 colpì Coimbra, in Portogallo, e a consegnarla alle suore di un locale monastero sarebbe stato san Bartolomeo. La sua recita si rivelò miracolosa. E il testo ricorda che il primo fine dell’uomo è la salvezza eterna dalla peste del peccato.

Ecclesia 29_12_2020

È più importante la salvezza del corpo o dell’anima? In tempi di Covid, il mondo cattolico ha fatto emergere una notevole impreparazione ad affrontare questo interrogativo e gli isterismi per la pandemia hanno facilmente avuto la meglio sull’accesso ai Sacramenti, sulla Messa e sulle pratiche spirituali.

È la prima volta nella storia che avviene questo rovesciamento di prospettiva: fino al 2020 escluso, nei momenti di pericolo, in tempo di guerra, durante epidemie, pandemie e carestie, l’uomo occidentale aveva sempre cercato nella realtà eterna il superamento del momento difficile e doloroso rivolgendo lo sguardo verso Dio, spesso cercando anche di comprendere quale fosse la causa dell’ira divina. Oggi però il problema della partecipazione di Dio (come permissione o come castigo) alla sventura del Covid non è nemmeno preso in considerazione dalle gerarchie ecclesiastiche.

Un episodio poco conosciuto ci aiuta, però, a rifare il punto: quello della preghiera “Stella coeli extirpavit”, un’antifona dedicata alla Vergine Maria, invocata come protettrice contro le epidemie. Tommaso Auriemma, nel suo “Affetti scambievoli fra la Vergine Santissima e i suoi devoti”, del 1712, racconta della pestilenza che nel 1317 colpì la città di Coimbra in Portogallo e di come le suore del Monastero di Santa Chiara, poco distante dal focolaio di peste, atterrite dalla vicinanza del morbo, meditassero di lasciare il monastero per evitare di esserne contagiate. Ad un tratto, sentirono bussare al portone e, andando ad aprire, si trovarono davanti un pellegrino.

A questo punto successe qualcosa di formidabile: come se conoscesse i timori e i progetti delle suore, il pellegrino le consolò e poi consegnò loro una pergamena recante una preghiera; prima di andar via, le esortò a recitarla spesso in onore della Madre di Dio. Il pellegrino, in effetti, venne poi individuato come san Bartolomeo: dunque un messaggero scelto dal Cielo per rincuorare le suore (e gli uomini).

L’antifona, dunque, avrebbe origine soprannaturale. Ad ogni modo, fu miracolosa poiché le suore, attenendosi a quanto raccomandato dal pellegrino, recitando la preghiera più e più volte, in coro e privatamente, rimasero indenni dalla peste, sebbene divampasse intorno a loro l’incendio dell’epidemia. Sulla pergamena consegnata alle suore vi era il testo dell’antifona, riportato di seguito:

Stella coeli extirpavit,

quae lactavit Dominum,

mortis pestem quam plantavit

primus parens hominum.

Ipsa stella nunc dignetur

sidera compescere,

quorum bella plebem caedunt

dirae mortis ulcere.

O piissima stella maris,

a peste succurre nobis.

Audi nos Domina,

nam Filius tuus

nihil negans te honorat.

Salva nos Jesu,

pro quibus Virgo mater te orat.

 La Stella del cielo,

che diè latte al Signore,

estirpò la mortale peste

che il padre degli uomini portò nel mondo.

Si degni ora la medesima Stella

di placare il cielo,

che irato contro la terra

distrugge i popoli con la crudele piaga di morte.

O pietosissima Stella del mare,

Soccorrici dalla peste.

Sii propizia alle nostre preghiere, o Signora,

perché il tuo Figliuolo,

che nulla a Te nega, ti onora.

O Gesù, salva noi,

pei quali ti prega la Vergine tua Madre.

La preghiera, dunque, venne recitata - e con successo - per aver salva la vita, ma il testo riporta chiaramente “la mortale peste che il padre degli uomini portò nel mondo”.

La “mortale peste”, ovviamente non è alcun virus o batterio; è il peccato: infatti se la peste nera poteva portare morte orribile con atroci sofferenze, spazzar vie intere famiglie, seminare lutto e disperazione, il peccato può far enormemente di peggio, ossia condannare un’anima per l’eternità.

Il primo pensiero per un cristiano, dunque - specie quando si avverte più vicina la presenza della morte fisica - dovrebbe essere quello di restare liberi dal peccato e di vivere in stato di grazia; poiché se è ancor più facile morire, si dovrebbe soprattutto badare alla sorte dell’anima. Almeno questo raccomanda la fede cattolica. Eppure, dato che il concetto di peccato sembra, oramai, un retaggio bigotto e oscurantista, dato che Inferno e Purgatorio sono considerati ormai solo anacronistici spauracchi, è venuto del tutto meno il timore del destino eterno.

E allora tutto si spiega: in un bilancio costi-benefici, se, tanto, alla fine della fiera, si va tutti in Paradiso, come vorrebbe certo misericordismo di moda in questi giorni, è ovvio che il sommo bene diventa la salvezza del corpo. Insomma, il Covid poteva essere una grande occasione per una conversione di massa, ma i panetti di lievito e le melense scritte arcobaleno “Andrà tutto bene” (ma perché anche qui l’arcobaleno?) certificano un appuntamento con la storia clamorosamente “bucato”.