Stato e sussidiarietà: c'è tutto nella Centesimus annus
Dopo il tragico crollo del Ponte Morandi e l’annuncio del governo Conte di disdettare la convenzione con la società Autostrade, molti si sono chiesti se c’è in Italia un ritorno allo statalismo, se sia giusto che lo Stato si riappropri di una attività in precedenza affidata ai privati, se questo lede i diritti della società civile nei confronti dello Stato, se la riappropriazione di competenze statali garantisca meglio la sicurezza degli italiani. A questo proposito può essere utile rileggere i passi dell’enciclica Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II sulle funzioni dello Stato tenuto conto del principio di sussidiarietà.
Dopo il tragico crollo del Ponte Morandi e l’annuncio del governo Conte di disdettare la convenzione con la società Autostrade, molti si sono chiesti se c’è in Italia un ritorno allo statalismo, se sia giusto che lo Stato si riappropri di una attività in precedenza affidata ai privati, se questo lede i diritti della società civile nei confronti dello Stato, se la riappropriazione di competenze statali garantisca meglio la sicurezza degli italiani.
A questo proposito può essere utile rileggere i passi dell’enciclica Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II sulle funzioni dello Stato tenuto conto del principio di sussidiarietà.
Il paragrafo 14 ricorda, in via generale, che c’è una “soggettività” della società civile che deve godere di una propria autonomia, ma “sempre dentro il bene comune”. L’attività di impresa non spetta primariamente allo Stato, ma alle imprese, però questo non è un principio senza regole e non può legittimare situazioni strutturali che permettano incuria, o rendite di posizione, o situazioni prive di controllo, o situazioni di monopolio di fatto.
Ad avere il compito di “sovraintendere al bene comune” è proprio lo Stato, come dice il paragrafo 11, non nel senso che ogni soluzione deve essere gestita dallo Stato ma che lo Stato non può essere assente quando, per i limiti del suo intervento, sono altri che operano e agiscono.
Il paragrafo n. 48 afferma poi che lo Stato ha “il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo”. Esso “può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di imprese, troppo deboli o in via di formazione, sono inadeguati al loro compito”. Il carrozzone dell’IRI era improprio, come del resto le successive privatizzazioni selvagge.
Il paragrafo n. 40 afferma che lo Stato deve “provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l'ambiente naturale e l'ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato”.
Il numero 48 aggiunge poi che lo Stato deve garantire il quadro giuridico in cui l’attività economica si inserisce.
Il lettore, sulla base di queste indicazioni, è in grado di inquadrare il caso del Ponte Morandi. Lo Stato non ha garantito il bene comune. Non ha garantito nemmeno il quadro giuridico adeguato data la natura della convenzione in questione. La situazione creatasi può rientrare tra quelle in cui lo Stato ha il diritto di intervenire ma l’intervento non può significare un nuovo statalismo altrettanto incontrollato. Ci sono dei “beni collettivi” (il concetto non è molto chiaro ma prendiamolo così) in gioco che non potevano essere abbandonati alla logica del mercato, per di più di un mercato inquinato politicamente.
Riporto qui di seguiti i passaggi dell’enciclica sulle funzioni dello Stato
La socialità dell'uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno — sempre dentro il bene comune — la loro propria autonomia. È quello che ho chiamato la «soggettività» della società che, insieme alla soggettività dell'individuo, è stata annullata dal «socialismo reale».
(Centesimus annus, n. 14)
Lo Stato ha il compito di sovraintendere al bene comune e di curare che ogni settore della vita sociale, non escluso quello economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel rispetto della giusta autonomia di ciascuno di essi. Ciò, però, non deve far pensare che per Papa Leone ogni soluzione della questione sociale debba venire dallo Stato. Al contrario, egli insiste più volte sui necessari limiti dell'intervento dello Stato e sul suo carattere strumentale, giacché l'individuo, la famiglia e la società gli sono anteriori ed esso esiste per tutelare i diritti dell'uno e delle altre, e non già per soffocarli.
(Centesimus annus, n. 11)
Ha il compito di determinare la cornice giuridica, al cui interno si svolgono i rapporti economici, e di salvaguardare in tal modo le condizioni prime di un'economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell'altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù.
(Centesimus annus, n. 15)
La società e lo Stato devono assicurare livelli salariali adeguati al mantenimento del lavoratore e della sua famiglia, inclusa una certa capacità di risparmio. Ciò richiede sforzi per dare ai lavoratori cognizioni e attitudini sempre migliori e tali da rendere il loro lavoro più qualificato e produttivo; ma richiede anche un'assidua sorveglianza ed adeguate misure legislative per stroncare fenomeni vergognosi di sfruttamento, soprattutto a danno dei lavoratori più deboli, immigrati o marginali.
(Centesimus annus, n. 15)
Esse implicano un'assunzione di responsabilità da parte della società e dello Stato, diretta soprattutto a difendere il lavoratore contro l'incubo della disoccupazione. Ciò storicamente si è verificato in due modi convergenti: o con politiche economiche, volte ad assicurare la crescita equilibrata e la condizione di piena occupazione; o con le assicurazioni contro la disoccupazione e con politiche di riqualificazione professionale, capaci di facilitare il passaggio dei lavoratori da settori in crisi ad altri in sviluppo.(Centesimus annus, n. 15)
È compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l'ambiente naturale e l'ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato. Come ai tempi del vecchio capitalismo lo Stato aveva il dovere di difendere i diritti fondamentali del lavoro, così ora col nuovo capitalismo esso e l'intera società hanno il dovere di difendere i beni collettivi che, tra l'altro, costituiscono la cornice al cui interno soltanto è possibile per ciascuno conseguire legittimamente i suoi fini individuali.
(Centesimus annus, n. 40)
Altro compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; ma in questo campo la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni in cui si articola la società. Non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l'intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli. Ciò, tuttavia, non significa che esso non abbia alcuna competenza in questo ambito.
(Centesimus annus, n. 48)
Lo Stato, ancora, ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo. Ma, oltre a questi compiti di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di imprese, troppo deboli o in via di formazione, sono inadeguati al loro compito. Simili interventi di supplenza, giustificati da urgenti ragioni attinenti al bene comune, devono essere, per quanto possibile, limitati nel tempo, per non sottrarre stabilmente a detti settori e sistemi di imprese le competenze che sono loro proprie e per non dilatare eccessivamente l'ambito dell'intervento statale in modo pregiudizievole per la libertà sia economica che civile.
(Centesimus annus, n. 48)
L'attività economica, in particolare quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà.
(Centesimus annus, n. 48)
Al conseguimento di questi fini lo Stato deve concorrere sia direttamente che indirettamente. Indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica, che porti ad una offerta abbondante di opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza. Direttamente e secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all'autonomia delle parti, che decidono le condizioni di lavoro, ed assicurando in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato.
(Centesimus annus, n. 15)