Stato e Chiesa, l'assist del Papa a Conte riallinea i vescovi
La reazione stizzita dei vescovi dopo settimane di concordia ha scatenato i partiti per chiedere la ripresa dell'attività di culto. E i vescovi hanno dato fuoco alle polveri parlando di libertà religiosa limitata. Ma è bastata una parola del Papa sulla pazienza interpretata come di appoggio al governo, per riallineare tutti: così ieri nessun vescovo è intervenuto. Tranne Forte, il teologo preferito di Bergoglio.
In questi giorni si è raggiunto il punto più basso dei rapporti tra Chiesa e Stato dai tempi della cosiddetta Questione romana. Un esito inaspettato per i diretti interessati visto il clima di collaborazione instauratosi tra la Cei e l'esecutivo sin dall'inizio dell'emergenza coronavirus e continuamente rivendicato da entrambe le parti. Domenica scorsa, però, l'ennesimo discorso alla nazione del premier Conte ha rifilato alla Conferenza Episcopale italiana, da più di un mese alle prese con quelle "sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli" menzionate nel primo comunicato con cui venivano accolte le misure restrittive, una doccia gelata: niente graduale riapertura delle funzioni religiose nella Fase 2, così come aveva lasciato intendere il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese in un'intervista al “giornale di casa”, Avvenire.
Il cardinale Bassetti si era fidato delle rassicurazioni del Viminale al punto da schierarsi per la prima volta dall'inizio del lockdown in favore della ripresa della celebrazione dell’Eucarestia in presenza dei fedeli. Da Conte, che ricordiamo rimproverare al suo ancora ministro dell'Interno Salvini l'esibizione dei simboli religiosi forse dimentico di quell'immagine di Padre Pio mostrata a favore di telecamera nel giorno del suo debutto televisivo a Porta a porta, è arrivata invece la "botta" (Bassetti dixit) con la proroga del divieto di celebrare i sacramenti in pubblico e restrizioni numeriche imposte sullo svolgimento dei funerali. L'ex avvocato del popolo, seguendo un copione ormai collaudato, ha addebitato la responsabilità di questa decisione impopolare alla "rigidità" del suo Comitato tecnico scientifico.
Questo scaricabile, però, stavolta non lo ha messo al riparo dalla reazione stizzita della Cei che, in un comunicato diffuso poco dopo l'annuncio del premier, ha messo da parte la cautela, dando sfogo al proprio disappunto e denunciando la violazione dell'esercizio della libertà di culto. Una sconfessione per il presidente del Consiglio che, con una certa dose di faccia tosta, si era persino scomodato a parlare in video di "fitta collaborazione" dei Vescovi italiani con il Cts, quasi lasciando intendere che il prolungamento del blocco fosse stato concordato con loro. Un po' troppo per i vertici di via Aurelia che, con la dura nota di domenica sera, hanno indirettamente dato l'inizio ad un tiro al piccione contro un premier sempre più in difficoltà. Elena Bonetti, Ministro per le pari opportunità e la famiglia, è stata tra le prime ad accodarsi sollevando l'incomprensibilità della decisione, al cospetto di quella di riaprire le visite ai musei dal 18 maggio.
Ma nel giro di 24 ore tutto il panorama politico italiano, con la significativa eccezione del M5S, ha cannoneggiato Conte: il no alle Messe ha ricompattato il centrodestra reduce dalla divisione sul Mes ma ha anche agitato le acque nelle file della maggioranza. Infatti, oltre ai malpancisti di Italia Viva (il cui leader Matteo Renzi è stato il primo politico a chiedere la riapertura al pubblico delle celebrazioni lo scorso 28 marzo in un'intervista ad Avvenire) anche il Pd ha voluto esprimere il proprio dissenso per la proroga, prima con le dichiarazioni del capogruppo al Senato Marcucci, poi con l'annuncio del deputato Ceccanti, noto costituzionalista, di un emendamento sulla libertà di culto che sarà discusso giovedì e che porta la firma anche di Stefano Fassina, esponente di Leu.
Dopo il comunicato della Cei, però, non si è mossa soltanto la politica: i Vescovi hanno deciso di abbandonare la linea della prudenza anche individualmente e hanno dato voce al disagio provato e manifestato per un mese da sacerdoti e fedeli, caricando anch'essi a testa bassa il Governo. Lo hanno fanno le Conferenze Episcopali regionali ed i singoli Pastori: tra i più netti, D'Ercole (Ascoli Piceno) con un video diventato virale, Giusti (Livorno) che ha parlato di "teatro dell'assurdo", Moraglia (Venezia) per il quale siamo di fronte ad un provvedimento "irragionevole ed inutilmente persecutorio", Betori (Firenze) che ha invitato a "non indietreggiare" in relazione alla richiesta di riapertura, Camisasca (Reggio Emilia) per il quale la decisione dell'esecutivo “è un'arbitraria violazione della libertà religiosa”.
Ma il dissenso per la proroga dello stop alle funzioni religiose non ha riguardato solo il mondo cattolico e si è manifestato lunedì anche in altre comunità di fede: il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha redatto una nota per sottolineare che "il Governo non dovrebbe trascurare le esigenze spirituali delle collettività religiose", mentre l'imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis, la Comunità religiosa islamica italiana, ha accusato l'esecutivo giallorosso di essere "insensibile verso i credenti" ed ha lamentato anche l'esclusione da ogni interlocuzione con il Cts.
La dura uscita della Cei di domenica sera, arrivata dopo settimane di silenzio collaborativo, lasciava immaginare una solida copertura nei Sacri Palazzi: Paolo Rodari sulla Repubblica ha scritto ieri di "appoggio del Vaticano tramite la Segreteria di Stato" e Luigi Bisignani sul Tempo ha addirittura riferito di una presunta volontà del cardinale Parolin di "inoltrare una nota ufficiale di protesta" a Palazzo Chigi. Uno scenario da incubo per il premier che sin dall'inizio del suo impegno politico ci ha tenuto ad assecondare la narrazione positiva che lo vuole pupillo dell'attuale Segretario di Stato grazie agli "anni comuni" a Villa Nazareth.
In realtà, il professore pugliese, frequentò - senza risiedervi - il Collegio universitario fondato dal cardinal Tardini quando l'attuale numero due della Santa Sede non ne era il direttore. D'altronde, è stato lo stesso Parolin a smarcarsi più volte dalla leggenda che lo vorrebbe come il main sponsor del premier: nei giorni dell'insediamento del governo gialloverde, l'attuale Segretario di Stato aveva ammesso di aver incontrato qualche volta il giovane Conte, ma che durante la sua direzione (durata dal 1996 al 2000) "lui era già laureato", precisando però di non averlo più "visto per tanto tempo". E' difficile immaginare, dunque, che una superficiale conoscenza lontana nel tempo e decisamente ridimensionata dal diretto interessato possa essere stata sufficiente a Conte per evitare l'irritazione della Segreteria di Stato di fronte a quello che, a ragione, Andrea Riccardi ha definito in un intervento sul Corsera di ieri un "serio vulnus giuridico": "lo Stato - ha scritto il fondatore di Sant'Egidio - può dire quante persone entrino nello spazio di una chiesa, quali siano le precauzioni, ma non ha diritto di decidere se si possano tenere atti di culto o stare in silenzio", ricordando come col DPCM 26 aprile "nonostante le garanzie costituzionali e concordatarie, la Chiesa sembrava trattata peggio di una categoria commerciale".
E il rispetto del Concordato, rientrando nell'ambito dell'attività diplomatica e politica della Santa Sede, è competenza della Segreteria di Stato. Ma ieri, a sorpresa, nel momento di massimo isolamento politico-mediatico del premier, l'accerchiamento partito proprio dalla Cei e dal mondo cattolico è stato rotto da Bergoglio in persona che, parlando nella consueta omelia mattutina di Santa Marta, ha pronunciato parole interpretate da subito come un assist insperato all'attuale inquilino di Palazzo Chigi. "In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena - ha detto il papa - preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni".
Sulle testate e le agenzie giornalistiche si sono visti immediatamente titoli come l'emblematico "il papa benedice la scelta del governo sulle Messe" e persino l'Unione Buddhista Italiana, per supportare la decisione di prorogare i divieti sulle cerimonie, ha diffuso una nota in cui si proclamava "totalmente d'accordo con le parole del papa" sul dover "pazientare ancora e obbedire alle disposizioni". Dopo le parole arrivate da Santa Marta, la Cei - per bocca del suo portavoce, don Ivan Maffeis - è dovuta intervenire pubblicamente per affermare che non giustifica "fughe in avanti", chiarendo che da parte dei Vescovi "non c 'è volontà di strappare col governo o con il comitato scientifico".
La nota di don Maffeis, con un richiamo proprio alla "prudenza e l'obbedienza alle disposizioni" menzionata in mattinata da Francesco, è passata a "giustificare" la durezza della nota di domenica sera, specificando che intendeva esprimere "amarezza" pur apprezzando il via libera ai funerali. La frenata della Conferenza Episcopale italiana, però, non ha tolto dal tavolo del dibattito pubblico la questione sollevata due giorni prima con il comunicato, tant'è che esponenti di maggioranza ed opposizione hanno continuato a contestare a Conte la scelta di tenere chiuse le Messe ai fedeli e il radicale Roberto Giachetti (Italia Viva) si è spinto al punto di mettere in scena una protesta davanti alla chiesa di San Silvestro, leggendo passi del Vangelo per chiedere all'esecutivo il rispetto della libertà di culto ed annunciando che ripeterà l'azione ogni giorno fino alla riapertura delle funzioni religiose.
Dopo il monito di Francesco si sono fermati gli appelli pubblici dei Vescovi italiani per togliere il divieto, con l'eccezione di monsignor Bruno Forte che ha dato una diversa interpretazione delle parole papali: "C'e' un spazio nel quale non è il potere politico a dover dire che cosa fare alla Chiesa. Il richiamo alla responsabilità, ribadito oggi dal Santo Padre, indica proprio questo: che sono la Chiesa e i suoi pastori a dover agire con responsabilità e prudenza, nel rispetto delle regole", ha detto il vescovo di Chieti-Vasto. Monsignor Forte, lungamente considerato teologo tra i più apprezzati dall'attuale pontefice, ha aggiunto di ritenere "incomprensibile e inaccettabile non consentire la celebrazione liturgica che è parte di un principio costituzionale fondamentale, una libertà che va garantita" specialmente alla luce del fatto che è difficile immaginare "folle oceaniche" vista la preoccupazione che regna nel Paese per la diffusione del contagio. Avrà avuto modo di sentire personalmente il papa prima di esprimersi in tal senso?