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Stanislaw Grygiel, il volo dell'aquila ha raggiunto la meta

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È morto a 88 anni il filosofo grande amico e stretto collaboratore di san Giovanni Paolo II, che lo chiamò a Roma dove fu tra i fondatori dell'Istituto per gli Studi su Matrimonio e Famiglia. Nell'insegnamento testimoniava che la verità non è una formula ma una Persona da venerare. Il ricordo di un suo discepolo e amico.
- DOSSIER: STANISLAW GRYGIEL PER LA BUSSOLA

Ecclesia 21_02_2023
Ludmila e Stanislaw Grygiel

All'età di 88 anni è morto ieri a Roma Stanislaw Grygiel, docente emerito di Antropologia filosofica e primo direttore della Cattedra Karol Wojtyla al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia. Grande amico di Giovanni Paolo II fin dalla gioventù, con sua moglie Ludmila ha molto lavorato con lui per promuovere gli studi sul matrimonio. La Bussola ha chiesto di ricordarlo a monsignor Livio Melina, suo discepolo e grande amico, e dal 2006 al 2016 preside dell'Istituto Giovanni Paolo II.

Indimenticabile è per me quella prima sua lezione al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, nella quale ci illustrò l’originalità del modo orientale di pensare rispetto a quello dei sillogismi chiari e distinti del ragionare occidentale. L’ancor giovane professore venuto da Cracovia ci propose la metafora del volo di un’aquila, che disegna nel cielo cerchi concentrici sempre più vicini alla sua preda, giri che le permettono di vederla da punti di vista sempre nuovi. La conoscenza di ciò che è vita non può essere definizione di concetti che pretendono di afferrare un oggetto, ci diceva, ma relazione personale di comunione. La verità è avvenimento che accade e sorprende, che non si ripete uguale, ma sempre si approfondisce e chiede quindi la disponibilità ad un pellegrinaggio continuo, l’umiltà di una ricerca orante, l’apertura ad una comunione con gli altri.

Le sue lezioni erano proprio così, come le traiettorie ampie di quell’aquila: ritornavano sugli stessi temi fondamentali, continuamente ripresi da punti di vista sempre nuovi, suscitando domande, destando curiosità, provocando scoperte nella mente e nel cuore degli uditori, così che ascoltarlo risultava un evento per la vita e non solo per l’intelligenza. Mai era solo erudizione, sempre diventava amore della sapienza. Le tematiche dell’antropologia erano ben radicate nella tradizione culturale della sua patria polacca, ricche di aneddoti e di testimonianza personale, eppure nello stesso tempo attuali e universali, capaci di aprire orizzonti. Le letture filosofiche privilegiavano sempre i grandi filosofi, Platone in primo luogo, e i testi classici. Ma erano i poeti soprattutto che offrivano lo spunto per folgoranti intuizioni: Norwid, Rilke, Goethe, Dante.

Soprattutto Stanislaw Grygiel sapeva che la verità non è né una formula da inventare o da ripetere, né un oggetto da manipolare, ma una persona da venerare. Con sant’Agostino ricordava “Quid est veritas? Vir qui adest!”. La Verità è una persona da adorare: è Cristo Gesù, da lui amato, in una familiarità stupenda, così che i vangeli, specialmente certe pagine di san Giovanni, l’Aquila tra gli evangelisti, diventavano luci per la ricerca anche filosofica. Soprattutto il fascino della Bellezza era per lui ciò che poteva attrarre e convincere: una bellezza che non aveva nulla di un estetismo compiaciuto e narcisista, ma che poneva l’uomo davanti all’imperativo esigente della conversione: “ogni punto di questa pietra ti vede. Devi cambiare la tua vita!” (R.M. Rilke, Antico torso di Apollo). Grygiel non legava a sé, ma orientava a Colui che insieme con i discepoli ricercava e amava, non smettendo mai di cercarlo ancora dopo averlo trovato. E così educava, generando nella bellezza, e formando persone a loro volta capaci di generare.

Era stato chiamato a Roma nel 1981 da Giovanni Paolo II, di cui era stato prima discepolo e di cui era divenuto amico personale, ammirato e stimato. La missione ricevuta non era appena quella di contribuire ad un’istituzione accademica, ma quella di creare un’autentica famiglia, una communio personarum di docenti, studenti e personale addetto, che condividesse l’ideale della ricerca della verità sul piano di Dio intorno all’amore umano, in una pratica di condivisione e di eccellenza. Insieme con il primo Preside, Carlo Caffarra, con i colleghi e amici Angelo Scola, Gianfranco Zuanazzi, Anna Cappella, Ramon De Haro e tanti altri ha posto le basi per un lavoro e una vita comune.

I suoi colleghi e discepoli ricordano la generosa ospitalità nella sua casa, che grazie alla sua moglie Ludmila, ai suoi figli Monika e Jakub, è stata luogo di conversazioni e di scambio, ma anche spazio per consigli personali, per condivisioni, per dialoghi che coinvolgevano la vita di tutti. La formazione accademica diventava pertanto scuola di vita, e le lezioni accendevano la ricerca personale e favorivano la comunione tra le persone. Si era reso disponibile a grandi viaggi e a corsi di qualche settimana come visiting professor nelle sezioni internazionali dell’Istituto, a Washington DC, a Valencia, a Salvador de Bahia, a Changanacherry in India, a Seoul in Corea.

“Dolce e cara guida”, con queste parole di Dante, Stanislaw Grygiel aveva voluto intitolare un suo saggio sul femminile, dedicato alla sua amata moglie, rivelando la sua stima e la sua venerazione per il femminile, che considerava davvero una stella polare per orientare il cammino dell’intelligenza e della vita. Non l’appiattimento della differenza dunque, ma l’esaltazione del genio femminile nella sua originale capacità di accesso alla verità e nella sua complementarietà.

Stanislaw Grygiel ha pensato molto alla morte e al morire, che per lui erano l’accesso alla filosofia. Morire significava per lui passare dal profanum al fanum. Egli con Rilke invocava: “Dà, o Signore, a ciascuno la sua morte. Dà quella morte che nasce dalla vita nella quale egli aveva il suo amore, il suo fine e il suo penare”. Egli si chiedeva: “Il Signore muore con noi? Perché se egli non muore, allora noi moriamo nella solitudine, ossia partiamo da qui veramente senza senso, senza valore, non potendo entrare nel fanum”. Ma concludeva con Pascal: “Gesù agonizzerà fino alla fine del mondo, non dobbiamo dormire per tutto questo tempo…. Ho pensato a te nella mia agonia!”. Gesù ha pensato a Stanislaw nella sua agonia, in cui non è stato solo. E con lui ha pensato anche a noi. E così siamo insieme in modo misterioso e reale nella communio sanctorum.

Il volo dell’aquila è finito. E proprio nel suo termine non ha più puntato sulla preda della terra, ma è volata verso il Cielo. Da lì ci segue e benedice. Grazie tante, caro Stanislaw, Maestro, Padre ed Amico.