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PAPA FRANCESCO

Sri Lanka. «La libertà religiosa protegga la missione»

La seconda giornata di Papa Francesco nello Sri Lanka ha avuto al suo centro la canonizzazione di san Giuseppe Vaz. La cerimonia è stata occasione di un forte invito a riscoprire la dimensione missionaria della Chiesa e a difendere la libertà religiosa, diritto fondamentale e inalienabile.

Ecclesia 15_01_2015
Papa Francesco in Sri Lanka

La seconda giornata di Papa Francesco nello Sri Lanka, il 14 gennaio 2015, ha avuto al suo centro la canonizzazione di san Giuseppe Vaz (1651-1711), della Congregazione dell'Oratorio. La cerimonia è stata occasione di un forte invito a riscoprire la dimensione missionaria della Chiesa e a difendere la libertà religiosa, diritto fondamentale e inalienabile e oggi minacciato non meno che ai tempi del santo. Il Papa ha voluto testimoniarlo anche recandosi al remoto santuario di Nostra Signora di Madhu, simbolo della resistenza cattolica alle persecuzioni. 

La straordinaria figura di san Giuseppe Vaz è già stata presentata ai lettori del nostro quotidiano. Vaz decise di recarsi missionario dall'India nello Sri Lanka, allora sotto il dominio calvinista olandese e dove chi predicava la fede cattolica rischiava la pena di morte. Inseguito dai calvinisti, si rifugiò presso il re di Kandy, un territorio che aveva resistito alla conquista olandese. Il re era buddhista, ma onorò e offrì la sua protezione al grande missionario oratoriano. Buddhisti che proteggono un santo cattolico dalla persecuzione protestante: una storia che mostra davvero che le vie del dialogo interreligioso, come quelle del conflitto e della persecuzione, sono infinite.

Nell'omelia per la canonizzazione a Colombo, la capitale dello Sri Lanka, Papa Francesco ha anzitutto rivendicato il carattere essenziale della missione «ad gentes» nella Chiesa, che oggi qualcuno mette in dubbio. La Chiesa, ha detto il Papa, ha ricevuto «il comando del Signore risorto di fare discepoli tutti i popoli» e san Giuseppe Vaz ha fatto quello che un missionario deve fare: «ha condotto il popolo di questo Paese alla fede che ci concede "l'eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati" (At 20,32)». Nella instancabile operosità missionaria del nuovo santo tutti dovremmo trovare «uno stimolo» alla missione. 

«Lasciandosi dietro la sua casa, la sua famiglia, il conforto dei suoi luoghi familiari», il santo oratoriano «rispose alla chiamata di partire, di parlare di Cristo dovunque si recasse. San Giuseppe sapeva come offrire la verità e la bellezza del Vangelo in un contesto multi-religioso, con rispetto, dedizione, perseveranza e umiltà». È la strada anche per noi, che ormai viviamo ovunque in un contesto multi-religioso. Una strada che chiede da una parte «sensibilità» e «rispetto» per gli altri, dall'altra «coraggio» per proclamare la verità del Vangelo anche quando il mondo non vuole sentirla

Quando il mondo non vuole ascoltare il Vangelo, non risponde solo con l'indifferenza. Spesso la risposta è la violenza. Il Pontefice ha ricordato gli sforzi di san Giuseppe Vaz nella tempesta della persecuzione. «A causa della persecuzione religiosa in atto, si vestiva come un mendicante, adempiva ai suoi doveri sacerdotali incontrando in segreto i fedeli, spesso di notte. I suoi sforzi hanno dato forza spirituale e morale alla popolazione cattolica assediata». E fu soprattutto il suo zelo per i malati durante l'epidemia di vaiolo a impressionare il re di Kandy.

Le avventure del santo, che talora si leggono come un romanzo, non devono farci dimenticare che egli voleva essere anzitutto sacerdote, e «sacerdote esemplare». I suoi tempi ci sembrano lontani, eppure hanno tanto in comune con i nostri. «Come noi, egli è vissuto in un periodo di rapida e profonda trasformazione; i cattolici erano una minoranza e spesso divisa all’interno; si verificavano ostilità, perfino persecuzioni, all’esterno». Ma proprio perché viveva integralmente il suo sacerdozio, «costantemente unito nella preghiera al Signore crocifisso, fu in grado di diventare per tutta la popolazione un’icona vivente dell’amore misericordioso e riconciliante di Dio».

San Giuseppe Vaz ha affrontato il conflitto e la persecuzione, realtà che ci sono ancora oggi. Lo ha affrontato da cattolico, offrendo - in partecipare durante la terribile epidemia di vaiolo - «il suo ministero ai bisognosi, chiunque e dovunque essi fossero. Il suo esempio continua oggi ad ispirare la Chiesa in Sri Lanka. Essa volentieri e generosamente serve tutti i membri della società. Non fa distinzione di razza, credo, appartenenza tribale, condizione sociale o religione nel servizio che provvede attraverso le sue scuole, ospedali, cliniche e molte altre opere di carità». 

Ma questo servizio presuppone che alla Chiesa sia riconosciuta «la libertà di portare avanti la sua missione. La libertà religiosa è un diritto umano fondamentale. Ogni individuo dev’essere libero, da solo o associato ad altri, di cercare la verità, di esprimere apertamente le sue convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da costrizioni esterne». La vita di san Giuseppe Vaz ci insegna che la libertà religiosa è un diritto inalienabile, e anche - il tema è di attualità - che «l’autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti».

Papa Francesco

Il Papa ha concluso la sua giornata visitando un luogo simbolo della resistenza cattolica alle persecuzioni, il santuario di Nostra Signora di Madhu, nel cuore della giungla. Qui nel 1670 una venerata statua della Madonna che si trovava nella città di Mantai, minacciata di distruzione dai calvinisti come simbolo della «superstizione» cattolica, fu portata a dorso di elefante da una ventina di famiglie cattoliche che cercavano di sfuggire alla persecuzione rifugiandosi in una remota foresta. Quando san Giuseppe Vaz visitò la chiesetta che le famiglie avevano eretto, benedisse la sabbia, cui da allora si attribuiscono miracoli e guarigioni, specie dai morsi dei serpenti velenosi, così che i cattolici locali paragonano Madhu a Lourdes. 

Ma le persecuzioni sarebbero tornate nel XX secolo. Il santuario, che nel corso della guerra civile fra induisti e buddhisti dava ricetto a rifugiati di tutte le fedi, fu attaccato il 20 novembre 1999, lasciando sul terreno quarantaquattro morti. Ciascuna delle fazioni continua ad attribuire all'altra la responsabilità dell'attacco, da cui si salvò la statua della Madonna, che anni dopo per prudenza fu trasferita altrove, per tornare nel santuario solo a guerra finita.

Commosso, il Papa ha ricordato la guerra civile, le «molte persone, dal nord e dal sud egualmente, [che] sono state uccise nella terribile violenza e nello spargimento di sangue di questi anni. Nessuno Srilankese può dimenticare i tragici eventi legati a questo stesso luogo, o il triste giorno in cui la venerabile statua di Maria, risalente all’arrivo dei primi cristiani in Sri Lanka, venne portata via dal suo santuario»

Ma, ha detto il Papa, «la Madonna è rimasta sempre con voi». «Come è sempre rimasta accanto al suo Figlio sulla Croce, così è sempre rimasta accanto ai suoi figli srilankesi sofferenti». E il santuario di Madhu è una testimonianza vivente che quella della libertà religiosa e della convivenza fra le religioni non è solo una questione politica. Alla radice delle ingiustizie c'è sempre il peccato, e alla Madonna dobbiamo chiedere «la grazia di riparare i nostri peccati e tutto il male che questa terra ha conosciuto».

Le persecuzioni e le stragi non sono state una fatalità. Hanno avuto dei responsabili, che hanno commesso peccati. E «solo quando arriviamo a comprendere, alla luce della Croce, il male di cui siamo capaci, e di cui persino siamo stati partecipi, possiamo sperimentare vero rimorso e vero pentimento. Solo allora possiamo ricevere la grazia di avvicinarci l’uno all’altro con vera contrizione, offrendo e cercando vero perdono». In questo «difficile sforzo di perdonare e di trovare la pace, Maria è sempre qui ad incoraggiarci, a guidarci, a farci fare un altro passo. Proprio come lei ha perdonato gli uccisori di suo Figlio ai piedi della sua croce, tenendo tra le braccia il suo corpo senza vita, così ora lei vuole guidare gli srilankesi ad una più grande riconciliazione, così che il balsamo del perdono di Dio possa produrre vera guarigione per tutti». 

La statua di Maria, tante volte perseguitata e cacciata, ora è tornata nel suo santuario. Così, ha concluso il Papa, possano gli abitanti dello Sri Lanka, e non solo loro, «ritornare alla casa di Dio in un rinnovato spirito di riconciliazione e fratellanza».