Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni da Kety a cura di Ermes Dovico
LA GIORNATA DELLA BUSSOLA

Sprofondati nella paura, la fede ci libera dalla schiavitù

«La cultura occidentale vive nella paura perché ha sradicato la fede. Il Covid ci ha fatto scoprire che “il re è nudo” e l’uomo, dopo avere abbandonato Dio si è trovato privo di punti di riferimento e guarda con paura al futuro. In questa fragilità, l’uomo sente che il suo cuore necessita di andare oltre perché il dono della vita biologica non è sufficiente per appagare il desiderio di pienezza. La fede è il segreto che ci libera dal nonsenso facendoci scoprire il significato ultimo della nostra esistenza e di quella del mondo aprendoci a un futuro di eternità». Appunti per la ripartenza. La Lectio magistralis del vescovo Cavina alla Giornata della Bussola svoltasi ieri. 

Documenti 24_10_2021

Pubblichiamo di seguito la lectio magistralis pronunciata dal vescovo emerito di Carpi, monsignor Francesco Cavina, alla Giornata della Bussola svoltasi ieri a Palazzolo sull'Oglio nella Comunità Shalom. Nei prossimi giorni, sul canale Youtube della Bussola pubblicheremo le relazioni degli ospiti. 

…Non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura…

La paura e la fiducia sono le modalità con cui noi ci rapportiamo con la realtà. La paura ci porta a vedere nella realtà, e dunque anche in Dio, una minaccia, qualcosa o qualcuno che ci può fare del male o ci sminuisce nella nostra umanità, come ad esempio, un nemico, una malattia, eventi sfavorevoli. La fiducia, al contrario, vede nella realtà un dono che fa bene alla nostra vita e, quindi, che ci fa crescere.

La cultura occidentale, nella quale noi siamo immersi, vive nella paura perchè ha sradicato la fede dal cuore dell’uomo. Per raggiungere questo obiettivo ha percorso la strada dell’ateismo pratico, proponendo una concezione dell’uomo ed una visione della vita prive di qualsiasi riferimento alla trascendenza. L’uomo - questo è il messaggio veicolato in maniera ossessiva in questi ultimi decenni - è ormai divenuto adulto perchè, la medicina, la scienza, la tecnica, l’economia possono spiegare tutto e rispondere ai bisogni dell’uomo. Dio, quindi non serve più a nulla e, qualora mai dovesse esistere, la sua presenza è ininfluente nelle vita delle persone e dell’intera società. In questo modo l’uomo è stato convinto - nonostante le continue smentite -  di potere costruire il suo paradiso in terra.

IL COVID HA RIVELATO LA FRAGILITA'
Questa visione dell’uomo, fautore da solo del proprio destino, è stata messa in crisi da un evento imprevisto che ha travolto l’umanità intera e, riconosciamolo, anche la stessa Chiesa: il covid. Questo invisibile virus ci ha fatto scoprire che “il re è nudo”. Cioè, l’uomo, dopo avere abbandonato Dio, si è trovato ancora più solo perchè la fiducia nella scienza - sebbene i mezzi di comunicazione sociale ci abbiano propinato fino alla nausea lo spot: “Io credo nella scienza” - è entrata in grande crisi a causa della diversità di posizioni tra i cosiddetti esperti. Ogni scienziato ha la sua teoria su come uscire dalla pandemia; ogni medico la sua cura…A chi credere? Di chi fidarsi? Chi ascoltare dal momento che ognuno urla la propria verità e dileggia chi la pensa diversamente? E così l’umanità si è trovata ad essere priva di punti di riferimento e a guardare con paura al proprio futuro. E se ci fermiamo un attimo a riflettere con onestà, solo un cieco non può riconoscere che viviamo in una cultura ampiamente dominata dalla morte. Questa cultura di morte si manifesta, ad esempio, nel dilagare della droga, della menzogna, dell’ingiustizia, del disprezzo dell’altro e della solidarietà; si esprime in una sessualità ridotta a puro ricerca del piacere e che ha ridotto l’uomo a una cosa a oggetto.

Inoltre, la mancanza di punti di riferimento, la privazione di relazioni significative hanno fatto emergere mali dell’anima e forme di depressioni che, nella storia - a giudizio degli studiosi - non si erano mai registrati, e portato l’uomo ad evadere dalla realtà, rifugiandosi in mondi illusori e  fittizi. Un’inchiesta fatta in Gran Bretagna rivela che, in conseguenza al lockdown e alle altre restrizioni, circa 1,5 milioni di bambini e di giovani sono bisognosi di cure psichiatriche. L’Italia è la nazione europea dove si fa maggior uso di psicofarmaci. Gli specialisti parlano di bimbi di cinque anni affetti da attacchi di ansia, perfino quando giocano con i loro coetanei e di un aumento di accessi di minori al pronto soccorso per ferite di autolesionismo. Questa drammatica situazione dovrebbe portarci a ritrovare la via dell’umiltà e riconoscere che è l’uomo che non esiste, se non esiste Dio. Perché se Lui non c’è, la nostra unicità, le nostre domande sul senso della vita, le nostre sofferenze, anche il nostro amore, tutto diventa “una passione inutile” (Sartre).  E noi siamo abbandonati, soli, siamo minuscoli puntini nella grandezza degli spazi, in balia di un destino quasi sempre crudele e spietato.

La vita biologia, dunque, si caratterizza come fragilità, debolezza, incostanza, contraddizione. Ma l’uomo, sente che il suo cuore necessita di andare oltre perchè il dono della vita biologica, non è sufficiente per appagare il desiderio di pienezza, di compimento, di felicità vera. Ha bisogno di sapere che la vita, nonostante i fallimenti e l’esperienza della morte, merita di essere vissuta. Questo anelito di senso ci porta a riconoscere che nel cuore umano è presente un desiderio che niente e nessuno può fare scomparire: il desiderio di Dio. Pertanto, è semplicemente vero quanto dice sant’Agostino, che noi uomini siamo inquieti finché non abbiamo trovato Dio.

Il capitolo ottavo della Lettera ai Romani, dal quale è preso il tema della nostra riflessione, è un canto alla terza Persona della Santissima Trinità, lo Spirito Santo, e alla sua missione verso di noi. Al centro di questo canto sta l’affermazione: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,15). Queste parole dell’apostolo Paolo ci portano a riconoscere innanzitutto che il cristianesimo non è una religione della paura, ma della fiducia e dell'amore a Dio Padre che ci ama. Inoltre, ci rivelano che  questa fiducia filiale - che è più forte della paura - non è il risultato di uno sforzo, di una decisione volontaristica, ma è una grazia, cioè un dono di Dio, che provoca in noi, dicono i testi sacri una nuova nascita, una ri-generazione.

Infatti, lo Spirito Santo, dono del Cristo risorto, per liberarci dalla schiavitù della paura, non si limita a donarci la virtù della fortezza, con la quale è possibile affrontare con coraggio le avversità e le prove della vita, ma opera qualcosa di ben più profondo. La sua presenza in noi cambia la nostra natura, la nostra identità, ci stabilisce in una condizione nuova. L’uomo, quando è abitato dalla presenza e dall’azione salvifica divina, subisce un cambiamento non di tipo psicologico bensì reale, diventa una creatura nuova in Cristo. Da schiavi, dice san Paolo, diventiamo figli e figlie di Dio.

LA SCHIAVITU' DEL MALIGNO
Ma di chi eravamo schiavi? Del Maligno che, volendosi fare dio di questo mondo, si presenta con apparente bellezza mentre in realtà è crudele e malvagio perchè ha come unico scopo la distruzione dell’uomo, come dice l’evangelista san Giovanni. Nel diavolo non c’è vita, ma solo morte, vanità, povertà, illusione e vuoto. Ebbene, noi povere creature, assoggettate al peccato e alla morte, con il dono dello Spirito, siamo innalzati alla dignità di figli di Dio e collocati in una relazione filiale con Lui, analoga a quella di Gesù. Analoga perchè il nostro essere figli di Dio non ha la pienezza di Gesù, in quanto la nostra filiazione è diversa per origine e spessore. Gesù è il Figlio eterno di Dio che si è fatto carne, mentre noi diventiamo figli adottivi in Cristo. Questo privilegio non è riservato a pochi, ma è per tutti come insegna san Paolo nella Lettera agli Efesini: Dio, in Cristo, «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Ef 1,4).    

Questa “mutazione” della nostra identità e della nostra condizione, frutto del dono dello Spirito Santo, diventa operante per mezzo della fede e del sacramento del Battesimo, che sono inseparabili. Il Battesimo, infatti, è il Sacramento della fede e la fede è un atto profondamente personale, che si caratterizza come una crescita, ogni giorno di più, nell’amicizia di Gesù. Nei vangeli troviamo tanti esempi di persone che hanno creduto in Cristo. Pensiamo alla donna che aveva perdite di sangue e nella speranza di essere salvata tocca il vestito del Signore (cfr Mt 9, 20-21); si affida a Lui totalmente e questi le dice: "Sei salva, perché hai creduto" (cfr Mt 9, 22). Anche al lebbroso dice: "La tua fede ti ha salvato" (cfr Lc 17, 19). Quindi la fede, inizialmente, è un incontro personale, un toccare il vestito di Cristo e un lasciarsi toccare da Lui. La fede è vivere in relazione con il Signore (Eucarestia, Confessione) per godere del suo amore e scoprire che l’amicizia con Lui rende bella la vita. Inoltre, la conoscenza di Gesù, la fiducia riposta in Lui, la comunione con Lui, ci fanno entrare in una relazione vitale con Dio Padre. Dio, infatti, si può vedere, ha manifestato il suo volto, si rende visibile in Gesù Cristo. Solo in Lui noi vediamo e incontriamo il Creatore e possiamo invocarlo con il nome di “Abbà, Padre”.

La fede, dunque, non è solo un atto personale di fiducia, ma anche un atto che ha un contenuto. Nel Battesimo questo contenuto viene reso manifesto quando il ministro del sacramento accompagna l’infusione dell’acqua sul battezzando con le parole: "Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". La formula trinitaria è l’elemento sostanziale del credo dei cristiani perchè mi porta a riconoscere che Cristo, a cui dono la vita, vive come Figlio del Padre nell’unità dello Spirito Santo e nella comunione della grande famiglia di Dio, che è la Chiesa, di cui tanti suoi membri partecipano già della beatitudine del Paradiso. Un cristiano, dunque, non è mai solo nella vita, non vive come un solitario, ma è sempre necessariamente un fratello che vive unito con tanti altri fraelli, un essere che vive in unità e solidarietà con tutte le membra del Corpo di Cristo, cioè con tutti i cristiani che sono pellegrini sulla terra e con quelli che appartengono alla chiesa purgante e trionfante.

Ora perchè questo frutto di grazia, che raggiunge immeritatamente la mia vita, possa portare frutti di bene e di salvezza deve essere accolto nel mio cuore  attraverso un cammino di conversione. Dio, infatti, opera solo con la nostra libertà. Il Battesimo rimarrà per tutta la vita, perchè Dio ha messo il suo sigillo nelle nostre anime. Ma poi è necessaria la nostra cooperazione, la disponibilità della nostra libertà a dire quel “si” che rende efficace l’azione divina. Dio è così rispettoso della nostra persona che interpella la nostra libertà, ci invita a cooperare col fuoco dello Spirito Santo. Non possiamo rinunciare a questa libertà.

La nostra figliolanza divina porta con sé due effetti straordinari. Il primo viene espresso con queste parole dall’Apostolo Paolo: avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!» (Rm 8.16).

NON UN TIRANNO, MA UN PAPA'
Il cristiano, dopo aver conosciuto Cristo e ascoltato la sua parola, subisce quasi un travaso del mondo di Gesù nel proprio cuore. Pertanto, può rivolgersi al Creatore chiamandolo “Abbà”. Questo titolo, anche se viene pronunciato dalle nostre labbra non è una parola umana, ma è un grido che lo Spirito suscita in noi. È la potenza dello Spirito di Dio, che abitando in noi ci rende degni e ci sospinge a chiamare Dio come “Abbà”. Dio non è più un tiranno da temere, di cui avere paura, ma è “Abbà”. Questa parola va ben oltre al termine “Padre” con cui viene tradotta. Essa indica una relazione molto più intima, più commovente che nasce dalla fiducia. E' la ragione che ha portato alcuni a proporre di tradurre la parola aramaica “Abbà”, utilizzata da Gesù stesso, con “papà” o “babbo”. Ora, queste espressioni ci riportano al tempo dell’infanzia. Ci fanno venire alla mente l’immagine di un bambino completamente avvolto dall’abbraccio di un padre che prova infinita tenerezza per lui. E’ un invito, dunque, ad avere con Dio un rapporto simile a quello di un bambino tra le braccia del suo papà, del suo babbo.

Si comprende per quale motivo Gesù ponga come condizione per entrare nel Regno dei cieli l’infanzia spirituale, cioè la fiducia incondizionata nei confronti del nostro “Babbo” celeste. Solo così il nostro cuore sarà liberato da quella sufficienza che spesso lo porta a dire: “Dio ti ha abbandonato. Dio si è scordato di te”.  No! Dio non si dimentica mai di noi, neanche quando ci troviamo nel buio esistenziale più tremendo. Anzi, proprio quando non riusciamo a capire nulla della nostra vita e della vita del mondo è il tempo di affidare ogni cosa nelle Sue mani e di invocare sinceramente e fiduciosamente “Papà!”. E poi aspettare il Suo intervento. 

Viviamo in un tempo dove la figura paterna, privata della sua positività, è divenuta pressoché assente nella vita di un bambino. Ora, la mancanza del padre, il problema di un padre non presente nella vita del bambino rende difficile capire nella sua profondità la paternità di Dio. La rivelazione biblica, soprattutto la vita di Cristo nel suo rapporto filiale con Dio, ci aiuta a scoprirne il significato e l’importanza. Da Gesù impariamo che ognuno di noi, ogni uomo e ogni donna che viene al mondo è un miracolo di Dio, è voluto da Lui ed è conosciuto personalmente da Lui. Per Lui non esistono esseri anonimi, impersonali, ma tutti abbiamo un nome ed Egli ci conosce per nome. Proprio per questo Egli si preoccupa di noi. Se ne preoccupa fino al punto di aver assunto la nostra carne e di aver istituito la Chiesa che è il suo Corpo, in cui può assumere, per così dire, di nuovo carne nella nostra società.

Nei salmi c’è un’espressione toccante. Dice il salmista nella sua preghiera: «Le tue mani mi hanno plasmato» (Sal 119,73). Ognuno di noi può servirsi di questa bella immagine per ricordare al Signore che siamo suoi. A Lui possiamo dire: «Tu mi hai pensato e voluto e le tue mani mi hanno creato, mi hanno plasmato». Poiché siamo opera sua, alle sue mani forti e onnipotente possiamo aggrapparci con la certezza che esse ci tengono saldamente. Anche quando la nostra fiducia e la nostra fede si indeboliscono. Qualunque cosa succeda o qualunque pericolo ci venga incontro, allunghiamo la nostra mano per dare al Signore la possibilità di afferrarci, sostenuti e tenerci saldamente a sè.

IN EREDITA' LA VITA ETERNA
Il secondo effetto della nostra figliolanza è espresso sempre da san Paolo con questa affermazione: E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo (Rm 8.17). L'eredità che Dio riserva ai suoi figli è la vita eterna, l’immortalità nel suo Regno. A questo riguardo è bene fare una precisazione. La vita eterna e la risurrezione  sono realtà che ci attendono non solo dopo la morte, ma incominciano ora, sono già in atto perché noi con il Battesimo siamo morti al peccato e risorti con Cristo. La realtà della vita divina presente in noi si manifesta in una vita libera dal peccato e animata dalla carità di Cristo, così da avere gli stessi sentimenti di Cristo ed essere sostenuti in una gioiosa  speranza (cfr 12.12). In un testo dei primi secoli dell’era cristiana troviamo questa significativa affermazione: “Chi dice prima si muore e poi si risorge, sbaglia” (Vangelo apocrifo di Filippo). Sbaglia, perché la nostra resurrezione finale sarà la piena manifestazione della vita divina che già possediamo fin da ora e che non viene meno con la nostra morte fisica.

Gesù non elimina la morte fisica, lascia che anche i suoi amici muoiano, ma chi rimane unito a Lui non ha nulla da temere. In Lui è la sorgente della Vita! Afferma: In verità in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita (5.24). Queste parole ci portano a riconoscere che per Gesù il puro sopravvivere biologico non è il primo valore. Il primo valore è l’essere con Lui. Il vivere con Cristo è il grande guadagno, perchè anche se perdiamo  questa vita biologica, non perdiamo la vera vita (cfr Atti, 20. 17-38). Insomma il Signore ci invita ad avere le giuste priorità.

Certamente dobbiamo essere attenti alla nostra salute, dobbiamo salvaguardare la nostra vita naturale, ma anche sapere che il valore ultimo è la  comunione con Cristo. Uniti a lui, la morte non è più la fine di tutto, non è la dissoluzione totale, ma una porta, un transito, un vero passaggio per la vita eterna. Nella Preghiera Eucaristica prima o “Canone Romano”, la Chiesa ci fa pregare con queste parole: Ricordati, o Signore, dei tuoi fedeli che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace. I nostri defunti vengono ricordati con parole piene di dolcezza e di affetto, di venerazione e di premurosa attenzione. Sembra di ascoltare quanto afferma il Libro dell’Apocalisse: Beati i morti che muoiono nel Signore. Sì - dice lo Spirito - essi riposeranno dalle loro fatiche, perchè le loro opere li seguono (Ap 14.13). Ma nello stesso tempo li raccomandiamo al Signore, dandone buona testimonianza, perchè li accolga nel suo Regno di pace, di luce e di gioia.: E’ come se dicessimo: “Noi li abbiamo conosciuti bene: erano buoni, hanno faticato molto nel loro cammino per giungere a te; accoglili dunque perchè sono tuoi”. I defunti, pur non vivendo più nel corpo, rimangono sempre uniti - seppure in modo misterioso - a Cristo e al corpo della Chiesa. Tra noi e loro continua a esserci un meraviglioso scambio di amore e di vero bene.

CONCLUSIONE
Se l’uomo non è consapevole del suo destino pian piano la vita perde senso
. Lo dice in modo incisivo Nietzsche: “Cosa significa nichilismo? Manca il fine; manca la risposta al perché …e di conseguenza i valori supremi si svalorizzano” (Crepuscolo degli dei). La fede è il segreto che ci libera dal non senso perchè per mezzo della fede noi scopriamo non solo il significato ultimo della nostra esistenza e di quella del mondo, ma anche il significato di tutto ciò che vivo oggi perchè Cristo, che è presente ora ed opera e agisce nella mia vita, mi apre ad un futuro di eternità.

Diceva Pascal che, senza Cristo, noi non riusciremmo a conoscere neppure noi stessi. Tanto meno conosceremmo Dio, il senso della vita, la nostra morte e tutto sarebbe oscurità e confusione. Cristo, dunque, ci è necessario per essere umani. Il Papa san Paolo VI esprimeva con queste parole la necessità di Cristo: “Lui è al vertice, è il termine, è il punto focale, è il centro, dà un senso, dà valore, dà forma, è la sorgente, è la luce, è la parola, redime, dà forza…Gesù basta!”