Spiegare il cattolicesimo a un giovane è fiducia
Lui è uno zio "saggio" cresciuto nell'era analogica, l'altro è il nipote così giovane da non conoscere altro che il digitale. Ma si incontrano sul senso religioso, che cresce e sfida la crisi attuale per trovare risposte vere. Rino Cammilleri si cimenta nel "Cattolicesimo spiegato a mio nipote che fa il liceo". Punto di partenza e di arrivo: la fede, che poi è solo una questione di fiducia.
Trovarsi a difendere le ragioni della fede cattolica di questi tempi non è opera semplice. Se poi di fronte si ha un adolescente ecco che l’impresa diventa improba. La verginità della Madonna? La Trinità? Il tradimento di Giuda e il perdono di Pietro? I miracoli di Gesù? E della sua Resurrezione che dire? Se il maestro è sufficientemente maturo per aver conosciuto l’era analogica e il discepolo è troppo giovane per non conoscere altro che il digitale, il rischio dell’incomunicabilità è dietro l’angolo. Si fa fatica a parlare delle beghe quotidiane, figuriamoci di ciò che dovrebbe essere la ragione di vita di ogni battezzato.
Invece Rino Cammilleri ci è riuscito, servendosi di una fantasia fervida e di una preparazione da apologeta di gran carriera. Ne è uscito un dialogo franco e senza sconti con il nipote Nicola, perfetto prodotto del conformismo attuale al quale servono poche risposte, ma vere, per trovare un senso. Però è pur sempre materia importante, perché gli adolescenti di oggi sono distratti, vani e materialisti, ma quando si tratta di guardare la realtà e chiedersi il perché delle cose, anche loro, come i loro genitori e i loro nonni arrivano alla domanda sul senso religioso e provocano domande. Con insistenza e poca preparazione culturale, ma è il segno che sono vivi e che nel loro cuore c’è un desiderio di infinito e di bene che è rimasto accesso tra le distrazioni come una app.
Ora, si può affrontare la “tenzone” da pari a pari, oppure svicolare con la citazione di questo o di quel passo evangelico e sperare che “io me la cavo”. Cammilleri ha provato invece a dialogare utilizzando prima di tutto la ragionevolezza del dato di fede e affidandosi alle Scritture soltanto quando queste potevano essere sminuzzate e rese davvero comprensibili.
Ne è uscito “Il cattolicesimo spiegato a mio nipote che fa il liceo” (Cantagalli, 2017) in cui lo scrittore padre dell’apologetica cattolica immagina una serie di giornate trascorse con il nipote che lo viene a trovare perché ha un professore di religione che lo mette in crisi, anche in senso negativo, con le panzane della fede da supermarket. Insomma: inizi a smontare del Codice da Vinci e finisci che devi raccontare l’episodio di Sant’Agostino sulla spiaggia di Civitavecchia alle prese con il concetto di Trinità.
La serietà del lavoro è testimoniata dal fatto che sovente lo scrittore ricorre alle numerose domande “di palo in frasca” del nipote ad un sonoro “boh…e che ne so io?”. Ma è la cifra che è il metodo giusto, soprattutto dopo aver anteposto l’avvertimento di Gesù: “Sennò ve l’avrei detto”. Perché quel che non spiega la ragione lo spiega la fede, che Cammilleri si incarica bene di tradurre al millennials di turno: vuol dire fiducia. “I più grandi teologi, nel corso di duemila anni, avevano gettato la spugna e consigliato di prendere queste cose così com’erano, per fede, cioè fiducia in Chi ce le aveva raccontate. Dogmi, appunto. E io pretendevo di spiegarli a un ragazzo?”.
In fondo la fede è quella fiducia che si trasmette di padre in figlio e che per estensione vede la Chiesa tra i padri (o le madri) e i fedeli appunto, nella parte di noi figli.
Partiamo insomma da lì, per affrontare poi tutto il resto, fino ai dogmi. Dalla fiducia, soprattutto nella Chiesa che ha il compito di tramandare e diffondere l’insegnamento di Gesù.
E se la Chiesa lo trasmette male? Che problema c’è? Oppure se nel trasmetterlo snatura il messaggio? Ecco come Cammilleri spiega la necessità della tradizione, con una parabola che il nipote deve aver certamente assimilato.
“La Chiesa non può cambiare una virgola dell’insegnamento di Cristo. È stata fondata proprio per trasmetterlo. Vedo di fare un esempio, così come mi viene. Mettiamo che io ti affidi un messaggio verbale per tuo padre. Tu lo memorizzi, ma ti pare un po’ duro, visto che gli sto chiedendo un grosso prestito. Allora ti spiego bene che l’esatta cifra mi serve per non finire in galera. Tu accetti di riferire e vai. Poi torni con un quarto di quel che ho chiesto.
Ti giustifichi dicendo che hai trovato tuo padre affranto perché gli hanno rubato il portafogli in metropolitana, e non te la sei sentita di dirgli tutta intera la somma che mi serviva. Risultato, io finisco in galera perché tu hai modificato arbitrariamente il messaggio. Sì, l’hai fatto per compassione, ma di buone intenzioni è lastricata la via di certo posto. Quel messaggio era mio, non tuo, e non avevi il diritto di apportarvi cambiamenti. Al massimo potevi comunicarlo al genitore, che so, in ginocchio o piangendo, cioè aggiustando a tuo beneplacito il modo, ma non certo il contenuto”.
L'autore non lo dice, ma possiamo aggiungerlo noi dato che lo stile utilizzato è evangelico: “Chi ha orecchi, intenda”.