Spettacolarizzare il terremoto
Il terremoto è un autentico dramma, quando non una tragedia, per chi lo vive. Lo è anche se fossero una sola persona o una sola famiglia a subirne le conseguenze. Ma è innegabile che i media, a caccia di ascolti, stiano calcando la mano, amplificando la tragedia. E c'è uno scopo politico dietro tutta questa enfasi.
Questo editoriale era ovviamente stato scritto prima del sisma che ha colpito oggi Norcia, Preci e il loro territorio colpendo così non più solo villaggi sin qui poco noti, bensì pure una piccola città come Norcia che, oltre a essere un bellissimo centro monumentale, è la patria di San Benedetto. Ciò aumenta di molto il rilievo simbolico del drammatico evento, tanto più che la stessa basilica del santo è in buona parte crollata. Tutto questo va senza alcun dubbio attentamente considerato. Ciononostante, e fermo restando quanto già dicevamo riguardo alla preoccupazione che occorre avere per il futuro, il fatto che ai comuni già colpiti se ne siano aggiunti altri due, che hanno complessivamente meno di 6 mila abitanti, non mi pare incida sulla sostanza delle mie valutazioni.
Il terremoto è un autentico dramma, quando non una tragedia, per chi lo vive. Lo è anche se fossero una sola persona o una sola famiglia a subirne le conseguenze; anche se distruggesse una sola casa. Ciò fermo restando, vale poi la pena di fare qualche riflessione su che cosa un terremoto significa per i media, e in particolare per la tv; e che cosa, in particolare oggi, significa per la politica.
Prendiamo allora innanzitutto le mosse da qualche dato di inquadramento. I tre comuni colpiti nelle Marche dal terremoto dello scorso 26 ottobre hanno complessivamente meno di 2 mila abitanti: Visso ne ha 1107, Ussita 420, Castelsantangelo sul Nera 281. Quelli colpiti dal terremoto del scorso 24 agosto ne hanno nell’insieme un po’ di più, ma comunque meno di 5 mila. Sia gli uni che gli altri sono paesi montani dell’alto Appennino la cui popolazione dal 1911 ad oggi si è ridotta mediamente di tre quarti. I rispettivi centri abitati sono perciò composti in larga parte di case o disabitate o usate soltanto come alloggi estivi di vacanza. Senza che ciò beninteso possa esimere da preoccupazioni per il futuro, allo stato attuale delle cose siamo di fronte a un evento che, per quanto attiene ai costi materiali per la ricostruzione, è irrilevante per l’Italia di oggi, che ha oltre 60 milioni di abitanti ed è una della maggiori economie industriali del mondo.
Sin qui i fatti, sui quali va poi subito a cadere il peso della “gestione” che ne fanno i servizi giornalistici delle grandi catene televisive, oggi più che mai in concorrenza tra loro. Al verificarsi di un evento catastrofico spettacolare, si tratti del naufragio della Costa Concordia all’isola del Giglio o del terremoto nell’alto Appennino marchigiano attualmente dai direttori e dai conduttori dei telegiornali i padroni delle rispettive reti televisive si attendono una sola cosa: che cioè tengono “agganciati” i telespettatori il più a lungo possibile, possibilmente per ore e ore. Non importa che dopo un po’ non ci sia più niente di nuovo o di più preciso da dire. Si... rimedia cominciando a ripeterle senza fine mettendosi a ripetere le stesse notizie senza fine. I telecronisti inviati sul posto non hanno perciò più alcun tempo per andare in giro a capire che cosa stia succedendo e nemmeno per cercare testimoni consapevoli. Non resta perciò loro altro da fare se non aggirarsi a caso sui luoghi, raccogliere dichiarazioni estemporanee, oppure cercare sfondi drammatici per le loro riprese fermandosi là dove i crolli sono più… telegenici, si trattasse anche del crollo di edifici da tempo abbandonati o comunque disabitati. Se poi su una piazza è caduta anche una sola facciata, sarà quella l’unica immagine o quasi su cui tutti i tele-operatori si concentreranno.
In mancanza poi di adeguate notizie, nei commenti audio inizia frattanto la consueta girandola di luoghi comuni: la gente “in ginocchio”, il paese che “non c’è più”, la notte trascorsa nel “terrore” e così via. Non importa che la gente stia già dignitosamente reagendo, che il paese malgrado le rovine ci sia ancora, e che i volti delle persone riprese esprimano costernazione, dolore, preoccupazione ma di solito nient’affatto terrore (il che, osserviamo per inciso, è molto importante dato che in situazioni del genere il terrore non è di alcun aiuto). Nel recente terremoto è stato significativo il caso di una scossa non catastrofica verificatasi mentre era in corso una “diretta”, in cui si è visto che l’unica persona terrorizzata era la tele-cronista mandata su da Roma con l’incarico di raccontare il terrore.
Oltre a rimandare continuamente in onda le immagini più drammatiche disponibili, dando così l’idea che il terremoto sia senza fine, e oltre a dare le notizie senza svilupparle, nella loro corsa all’ “aggancio” del telespettatore, le Tv evitano di dare notizie sulle dimensioni del territorio colpito che così sembra molto più grande di quanto sia; anzi, che sia enorme. Aiutano al riguardo espressioni generiche come “terremoto nell’Italia centrale” e simili. E’ certo che oggi, dopo le centinaia di ore di trasmissione sui due recenti terremoti nell’alta valle del Tronto e rispettivamente nell’alta valle del Nera, la generalità del pubblico ha l’idea che l’area colpita sia molto più vasta e la popolazione coinvolta molto più numerosa di quanto risulti effettivamente.
Nel caso specifico di questi due terremoti è poi evidente che tale enfasi è gradita e anche stimolata dell’attuale governo che nel suo tentativo di ottenere il consenso dell’Unione Europea a un aumento del deficit cerca di strumentalizzarli (così come strumentalizza la questione dei migranti). La spesa pubblica italiana ammonta a oltre 830 miliardi di euro. In questo quadro ciò che si spende e si spenderà per i due terremoti, e anche ciò che si spende in più del previsto per i migranti, è ben poca cosa. Sarebbe ben più urgente e produttivo puntare in altre direzioni. Se ad esempio si spendesse meglio, e quindi meno, in settori come quelli delle pensioni e della scuola statale non sarebbe più necessario brandire i terremoti e i migranti come foglia di fico per un deficit che è strutturale e non congiunturale.