DEMOCRAZIA
Spagna alle urne, adios Zapatero
Condanna elettorale senza appello dei socialisti e del suo leader, che ha ignorato la crisi economica per concentrarsi su battaglie liberal.
Attualità
21_11_2011
Quando ieri mattina Jose Luis Rodriguez Zapatero è arrivato insieme alla moglie Sonsoles a votare presso la sede elettorale del Buen Consejo a Moncloa (Madrid), si è trovato al centro di uno dei momenti significativi del presente politico spagnolo: un centinaio di persone lo ha accolto con fischi ed insulti, mentre alcune decine lo chiamavano ancora presidente.
Le peggiori previsioni della vigilia oggi risultano addirittura ottimistiche: il Partito socialista (Psoe), il partito di Zapatero, non solo ha perso il governo, ma ha preso il colpo più duro che le urne abbiano mai inflitto a un partito spagnolo fino ad oggi, con una partecipazione al voto del 72%: il rivale Partito Popolare (Pp) non solo ha vinto la maggioranza assoluta ma ha quasi raddoppiato il risultato, vincendo nel feudo socialista storico piú importante quale è l'Andalucía. Soltanto uno dei sondaggi prevedeva risultati così umilianti per Zapatero. In realtà, non è che il Pp ha avuto più
voti rispetto al 2008 (sono sempre intorno ai 10 milioni di elettori), ma è Zapatero che ha perso la metà di quelli che aveva, più di 5 milioni.
Si prevede ora che il cambio alla Moncloa avverrà in pochi giorni: sollievo degli esperti economici disperati per il rapido degrado dell'economia spagnola di fronte all'immobilismo del team Zapatero, preso dai sogni della sinistra libertaria e svegliato brutalmente da una crisi che ha messo il paese in ginocchio. La spada di Damocle dell'Europa pendeva sulla Spagna se il Pp non vinceva le elezioni.
Un paese in agonia
A partire dall'anno scorso, l'economia e la società spagnole hanno visto un precipitare così rapido da non trovar dei precedenti sino alla guerra civile del 1936. Con un tasso di disoccupazione al 22%, 5 milioni di disoccupati, le istituzioni pubbliche fortemente indebitate, il tessuto economico praticamente dissolto, il governo Zapatero ha assistito imperturbabile senza prendere quelle
misure di fondo richieste dall'Europa, pensando soltanto a mantenere il discorso radicale che l'aveva portato alla Moncloa sette anni fa.
Negando la crisi, ammettendola a stento, praticando la dottrina del laissez passer..., una mancanza di visione che ha bruciato in pochi mesi la buona situazione economica ereditata dal periodo Aznar.
Il climax della crisi c'è stato lo scorso giovedì, quando lo spread della Spagna ha superato la soglia dei 500, chiedendo l'immediato intervento della Bce. Solo due settimane prima, durante il G20, Zapatero aveva giurato che la Spagna non avrebbe necessitato interventi di sostegno, che sarebbero invece stati necessari se non avesse chiamato le elezioni anticipate. Ad ogni modo le previsioni per il 2012 sono ancora molto fosche.
Esaurimento della Transizione
Ma il crollo del Psoe in queste elezioni, aldilà di una concreta punizione alla nefasta gestione della crisi, suppone per la Spagna un cambiamento profondo, possiamo dire una svolta nella breve storia
della Transizione, cioè il modello politico instaurato dalle forze politiche emerse alla fine del regime di Franco, nel 1975. Dalla vittoria del 1982, il Psoe, anche sotto il governo Aznar, era rimasto fuori e dentro del paese il garante di quei valori che avevano fondato il quadro morale e politico spagnolo, il referente etico-sociale. Solo grazie al fantasma di Franco si spiega che il Psoe fosse l'unico partito socialista europeo a non soffrire la grande scossa provocata dal crollo del Muro di Berlino. Il sistema postfranchista per decenni è stato egemonizzato da tutta una generazione di sinistra, nelle università, nella magistratura, nelle istituzioni culturali e sociali. Anche l'elettorato cattolico si è sempre diviso quasi al 50% tra la destra e la sinistra nonostante le leggi sull'aborto e sull'educazione.
Ma la dura crisi economica che soffre il paese e soprattutto i giovani – i grandi votanti del Pp in queste elezioni –, insieme ad uno sfaldamento interno del partito socialista provocato dal radicalismo di Zapatero, il quale ha rotto il tradizionale clima moderato instaurato
da Felipe Gonzalez durante gli anni '80 e '90, ha bruciato l'eredità politica del '75. Gli ultimi mesi hanno visto un Psoe in agonia, che ha dato gli ultimi, inutili, rantolii: scegliendo la data elettorale del 20 novembre (giorno della morte di Franco), nascondendo Zapatero e presentando il candidato degli “storici” Felipe Gonzalez e Alfonso Guerra, sceneggiando la fine dell'Eta a beneficio proprio, cercando con proposte radicali come la depenalizzazione dell'eutanasia di contenere
la emorragia a sinistra del partito, negando eclatanti casi di corruzione che coinvolgevano fino al vicepresidente Jose Blanco... Niente ha però smosso l'intenzione di voto degli spagnoli. La
notizia oggi non è la vittoria del Pp, ma la dura sconfitta del Psoe.
La lezione delle urne apre ora un momento delicato per la sinistra spagnola, oggi divisa tra radicalismo e nostalgia, ma che deve trovare una nuova collocazione più al centro ma soprattutto nuove proposte che puntino al futuro e non al passato.
Ma il crollo del Psoe in queste elezioni, aldilà di una concreta punizione alla nefasta gestione della crisi, suppone per la Spagna un cambiamento profondo, possiamo dire una svolta nella breve storia
della Transizione, cioè il modello politico instaurato dalle forze politiche emerse alla fine del regime di Franco, nel 1975. Dalla vittoria del 1982, il Psoe, anche sotto il governo Aznar, era rimasto fuori e dentro del paese il garante di quei valori che avevano fondato il quadro morale e politico spagnolo, il referente etico-sociale. Solo grazie al fantasma di Franco si spiega che il Psoe fosse l'unico partito socialista europeo a non soffrire la grande scossa provocata dal crollo del Muro di Berlino. Il sistema postfranchista per decenni è stato egemonizzato da tutta una generazione di sinistra, nelle università, nella magistratura, nelle istituzioni culturali e sociali. Anche l'elettorato cattolico si è sempre diviso quasi al 50% tra la destra e la sinistra nonostante le leggi sull'aborto e sull'educazione.
Ma la dura crisi economica che soffre il paese e soprattutto i giovani – i grandi votanti del Pp in queste elezioni –, insieme ad uno sfaldamento interno del partito socialista provocato dal radicalismo di Zapatero, il quale ha rotto il tradizionale clima moderato instaurato
da Felipe Gonzalez durante gli anni '80 e '90, ha bruciato l'eredità politica del '75. Gli ultimi mesi hanno visto un Psoe in agonia, che ha dato gli ultimi, inutili, rantolii: scegliendo la data elettorale del 20 novembre (giorno della morte di Franco), nascondendo Zapatero e presentando il candidato degli “storici” Felipe Gonzalez e Alfonso Guerra, sceneggiando la fine dell'Eta a beneficio proprio, cercando con proposte radicali come la depenalizzazione dell'eutanasia di contenere
la emorragia a sinistra del partito, negando eclatanti casi di corruzione che coinvolgevano fino al vicepresidente Jose Blanco... Niente ha però smosso l'intenzione di voto degli spagnoli. La
notizia oggi non è la vittoria del Pp, ma la dura sconfitta del Psoe.
La lezione delle urne apre ora un momento delicato per la sinistra spagnola, oggi divisa tra radicalismo e nostalgia, ma che deve trovare una nuova collocazione più al centro ma soprattutto nuove proposte che puntino al futuro e non al passato.