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PUNTI INTERROGATIVI

Sostegno all'Ucraina ma non complici della jihad in Africa

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L'offensiva in territorio russo e il sostegno di Kiev ad azioni sanguinose di gruppi tuareg e qaedisti n Mali (in funzione anti-russa) dovrebbero indurre i governi europei ad attente riflessioni sugli interessi in gioco. Per non ripetere lo stesso errore già fatto in Siria.

Editoriali 19_08_2024

In questi giorni il governo italiano è stato chiamato da politici e opinionisti, in servizio permanente effettivo con la UE e NATO, a dimostrare e confermare la sua “affidabilità” dopo le riserve espresse dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, nei confronti dell’efficacia dell’offensiva ucraina a Kursk per giungere a negoziati di pace.
Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, pur comprendendo le decisioni di Kiev, ha ribadito che l’Italia non è in guerra con la Russia e negato ancora una volta l’impiego di armi italiane contro il territorio russo. 

In una lettera al Corriere della Sera il ministro Crosetto ha chiarito le sue valutazioni. «L’attacco ucraino non è un’invasione, ma una tattica difensiva, in modo da allentare la tensione in Ucraina. Se ho espresso un giudizio sulla tattica ucraina è perché è mio obbligo interrogarmi per chiedermi se questa scelta aiuti o indebolisca la causa ucraina. Gli amici, i veri amici, non dicono sempre hai ragione. Il loro compito è aiutare a riflettere. E noi siamo veri amici degli ucraini. Non sostenitori di maniera, o per ossequio al politicamente corretto, come molti ne abbiamo visti in questi anni. E infatti ho condiviso le mie preoccupazioni con i miei colleghi delle altre nazioni e della NATO, come faccio sempre, e con i miei omologhi ucraini, come già accaduto in passato. Io penso che il mio compito sia quello di dire ciò che penso e ritengo giusto e non ciò che i miei interlocutori vogliono sentirsi dire. Solo una mentalità malata di provincialismo può scambiare il coraggio della verità, di un giudizio, di un’opinione, con l’ambiguità».

In realtà quanto sta accadendo offre molti motivi di preoccupazione, riflessione e perplessità ed è positivo che il governo italiano si interroghi circa i rischi insiti nell’offensiva ucraina: non per eccesso o carenza di affidabilità verso gli alleati ma per puro buon senso.

L’estensione e il prolungamento della guerra del resto non è nell’interesse di Italia ed Europa mentre una minaccia accresciuta al territorio russo che vede soldati ucraini (e anglo-americani che li affiancano in uniforme ucraina) combattere a meno di 500 chilometri da Mosca puntando su una centrale nucleare costituisce una sfida alla nazione russa, cioè di una potenza nucleare che in base alla propria dottrina considera possibile l’impiego di armi atomiche in caso di invasione del proprio territorio.

Il problema non è definire legittima o meno l’iniziativa ucraina di sconfinare in territorio russo, né dividere “i buoni dai cattivi” ma di valutare la situazione nell’ottica più complessiva dei nostri interessi italiani. Del resto l’attacco a Kursk, pur costringendo Mosca a inviare rinforzi dai fronti ucraini, da Kaliningrad e dall’interno della Federazione, non sta cambiando la situazione sui fronti ucraini dove i russi stanno anzi accentuando l’avanzata come conferma anche la decisione di Kiev di evacuare la roccaforte di Pokrovsk, dove i russi sono ormai alle porte.

Tutte ragioni che sollevano dubbi, preoccupazioni e perplessità a Roma e che dovrebbero sollevarle in ogni governo europeo. Occorre quindi chiedersi quanti stati membri di NATO e Ue siano stati informati e abbiano potuto esprimere le loro valutazioni in merito all’attacco, soprattutto considerato che, come abbiamo spiegato sulla NBQ, Kiev chiede all’Italia di poter impiegare le nostre armi contro il territorio russo.

Del resto l’attacco a Kursk risponde pienamente agli interessi dell'attuale amministrazione statunitense. che deve scongiurare il successo della bozza negoziale messa a punto da Donald Trump con Viktor Orban e presentata dal premier ungherese a Kiev, Mosca, Pechino e Ankara nel tour del mese scorso, invano ostacolato in ogni modo possibile dall’Unione Europea. Se anche Trump dovesse vincere le elezioni è evidente che i russi sarebbero più restii al dialogo dopo aver subito l’invasione del proprio territorio nazionale.
Se con l’offensiva a Kursk i nostri alleati impediscono o allontanano quel negoziato da sempre apertamente auspicato dall’Italia le preoccupazioni di Roma si confermano più che legittime.

C’è poi un ulteriore elemento su cui occorre interrogarsi. A fine luglio le milizie tuareg del CSP-DPA e quelle qaediste (Jama’at Nusrat al-Islam Wal-Muslimin – JNIM) del Mali hanno attaccato una colonna di militari maliani e contractors russi dell’ex Gruppo Wagner uccidendo oltre un centinaio di uomini. Il 29 luglio il Kyiv Post ha pubblicato la fotografia di un gruppo di ribelli tuareg, in piedi, con una bandiera dell’Azawad (lo stato indipendente reclamato dai tuareg) e una dell’Ucraina; tra di loro anche due uomini in abiti occidentali, apparentemente di carnagione chiara. Uno scatto che lasciava supporre il supporto dei Tuareg alla causa ucraina e, addirittura, un coinvolgimento di uomini di Kiev nell’imboscata.

Per la BBC la foto era un falso ma l’intelligence ucraina ne ha confermato l’autenticità, dichiarando, inoltre, il pieno sostegno di Kiev a tutte le fazioni che stavano affrontando gli uomini del Gruppo Wagner sul continente africano. Andrii Yusov, portavoce dell’intelligence militare ucraina, ha dichiarato che «i ribelli hanno ricevuto le informazioni necessarie a condurre un’operazione militare di successo contro i criminali di guerra russi».
Fonti citate da Washington Post e Le Monde ritengono che gli ucraini non abbiano partecipato direttamente alla battaglia in Mali, ma innegabile sarebbe la loro cooperazione con i Tuareg. Questi, oltre ad informazioni vitali per l’attacco, da Kiev avrebbero ottenuto finanziamenti e addestramento all’impiego di droni FPV addirittura inviando personale ad addestrarsi in Ucraina a fine 2023 e inizio 2024.

In seguito alle dichiarazioni di Andrii Yusov, il 4 agosto il Mali ha interrotto le relazioni diplomatiche con Kiev, con effetto immediato. Il Governo maliano si è detto scioccato e ha accusato l’Ucraina della violazione della sua sovranità, contribuendo al successo di «un attacco codardo, infido e barbaro».
Il 7 agosto è stata la volta del Niger di annunciare la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Ucraina, accusandola di sostenere gruppi terroristici. Le autorità nigerine si sono, addirittura, rivolte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. 

Il supporto di Kiev ai terroristi jihadisti del Sahel ha risvolti che vanno ben oltre la guerra tra Mosca e Kiev estesa anche fuori dai confini europei e che riguardano direttamente gli interessi italiani nel Mediterraneo e nel Sahel.

La guerra contro ribelli tuareg, qaedisti e insorti legati allo Stato Islamico è stata combattuta fin dal 2013 al fianco del governo del Mali come in tutto il Sahel da due operazioni militari francesi (Serval e Barkhane) in un conflitto a cui hanno partecipato anche forze statunitensi e contingenti europei.  L’Italia ha inviato negli anni scorsi 200 militari nell’ambito dell’Operation Barkhane in Mali e decine di istruttori a Bamako ad addestrare le truppe maliane ed è l’unica nazione dell’Occidente a mantenere oggi truppe in Niger, per volontà di Roma ma anche della giunta militare di Niamey che ha cacciato americani e francesi.

Oggi che il Mali, come altre nazioni del Sahel, ha cacciato americani e francesi e chiesto l’appoggio russo per combattere i jihadisti, l’Occidente ha cambiato bandiera e sostiene gli insorti contro i quali ha combattuto in Sahel per oltre 10 anni? Per sostenere l’Ucraina diventeremo alleati di al-Qaeda? E ripetendo l’errore compiuto in Siria in cui l’Occidente ha in larga misura aiutato milizie jihadiste nel vano tentativo di far cadere il filorusso Bashar Assad? Errore gravissimo per l’Europa a cui peraltro il governo italiano tenta oggi, da solo, di porre rimedio riaprendo l’ambasciata a Damasco.



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