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MILLENNIUM GOALS

Sorpresa: il mondo è meno povero e vive meglio

Mancano pochi mesi alla conclusione dei Millennium Goals, gli Obiettivi del Millennio, un progetto di lotta alla povertà senza precedenti lanciato dalle Nazioni Unite nel 2000: 8 gli obiettivi, 15 gli anni di tempo per realizzarli.  Dimezzato il numero di persone in estrema povertà  e che soffrono la fame.

Economia 25_07_2015
Sorprendenti i  risultati dal Millennium Goals

Mancano pochi mesi alla conclusione dei Millennium Goals, gli Obiettivi del Millennio, un progetto di lotta alla povertà senza precedenti lanciato dalle Nazioni Unite nel 2000: 8 gli obiettivi, 15 gli anni di tempo per realizzarli. Un rapporto dell’Onu appena pubblicato traccia un bilancio dei risultati conseguiti, aggiornato al 30 giugno. «Mentre il tempo sta per scadere», si legge nell’introduzione, «la comunità internazionale ha motivo di festeggiare. Grazie agli sforzi coordinati a tutti i livelli, il progetto ha salvato la vita a milioni di persone e a molte di più ha garantito una vita migliore. Ma l’opera non è completata, deve proseguire nell’era del nuovo sviluppo». 

In effetti nessuno degli 8 obiettivi è stato raggiunto. Però in molti ambiti si sono conseguiti risultati notevoli anche se, nel valutarli, c’è da considerare che il confronto per lo più è stato fatto non tra il 2000 e il 2015, bensì tra il 1990 e il 2015. Il primo obiettivo era sradicare la povertà estrema e la fame ed è forse qui che si sono ottenuti i risultati più rilevanti. Rispetto al 1990, il numero delle persone in condizioni di estrema povertà si è più che dimezzato: da 1,9 miliardi a 836 milioni. Il risultato è tanto più considerevole perché, nel frattempo, la popolazione mondiale è passata dai 5,2 miliardi del 1990 agli attuali 7,3 miliardi, un incremento concentrato inoltre nei Paesi poveri: e dunque in termini percentuali la popolazione sotto la soglia di povertà è scesa dal 47% al 14%. Un buon risultato si è ottenuto anche nella lotta contro la fame. La percentuale delle persone affamate si è quasi dimezzata, passando dal 23% del 1990 al 12,9% di quest’anno. 

Quasi dimezzato, in questo caso rispetto al 2000, risulta anche il numero di bambini in età scolare che non frequentano le elementari: sceso da 100 a 57 milioni. Tra i tanti risultati da festeggiare c’è poi la netta riduzione del tasso di mortalità entro i primi cinque anni di vita, da 90 bambini su mille nel 1990 a 43 su mille oggi; la pressoché totale scomparsa delle sostanze che riducono la concentrazione di ozono nell’atmosfera; l’estensione delle aree naturali terrestri protette, che erano l’8,4% delle terre emerse nel 1990 e nel 2014 sono diventate il 15,2%; il numero degli ammalati di Aids che accedono a terapie antiretrovirali, da 700.000 nel 1990 a 13,6 milioni nel 2014, e quello dei nuovi casi di Aids, scesi del 50%.

Il rapporto riconosce tuttavia che resta molto da fare e che i divari da colmare sono ancora enormi. Ma c’è dell’altro a smorzare l’entusiasmo. Innanzi tutto alcuni dati richiederebbero ulteriori verifiche, tanto più alla luce di quel che si legge alla fine del rapporto. Vi si informano, infatti, i lettori dei rigorosi metodi di rilevazione impiegati, ma anche del fatto che in generale i dati sono stati ricavati da statistiche ufficiali fornite dai governi. Questo solleva non poche perplessità essendo nota la disinvoltura, per non dire altro, con cui molti governi, soprattutto di Paesi in via di sviluppo, manipolano dati e statistiche. Sta di fatto che, per fare un esempio, gli elevatissimi tassi di scolarizzazione riportati potrebbero essere stati sovrastimati; e si fa fatica a credere che «nel complesso nei Paesi in via di sviluppo sia stata eliminata la disparità di genere nell’accesso all’istruzione elementare, secondaria e superiore». Ma in più quei dati si limitano a indicare l’iscrizione scolastica senza dar conto delle reali condizioni in cui spesso si svolge l’insegnamento. 

Un problema in molti Stati è il sovraffollamento delle classi: in Africa la media è di 60 allievi, ma in Kenya, ad esempio, e in Uganda, da quando la scuola elementare è diventata gratuita, ci sono classi di oltre 100-150 bambini. Un altro problema è l’effettiva frequenza scolastica: in Mozambico dal 2003 al 2010 il numero di alunni iscritti alle elementari è passato da 3,3 a 5,3 milioni. Però in media le lezioni si svolgono solo per 30 giorni sui 193 dell’anno scolastico. A questo il rapporto non accenna. Non parla neanche del fatto che, se le aree naturali protette sono quasi raddoppiate, sempre più però in Africa e Asia i bracconieri agiscono quasi indisturbati, facendo strage di animali, decimando elefanti e rinoceronti, uccisi ogni anno a migliaia per contrabbandarne zanne e corni. 

Altre perplessità riguardano l’effettiva sostenibilità dei traguardi raggiunti. Per le terapie antitretrovirali, ad esempio, molto si deve alla cooperazione internazionale. Se venisse meno, tanti ammalati di Aids nei Paesi in via di sviluppo ne sarebbero privati per mancanza di mezzi e di assistenza da parte dei rispettivi governi. Per finire, in tutte le 75 pagine del rapporto, inspiegabilmente, non vi è un solo accenno agli aspetti finanziari del progetto: quanto è costato, come sono state spese le risorse, chi le ha fornite... tutte informazioni necessarie per una valutazione del lavoro svolto. 

È compito del nostro governo colmare almeno in parte questa lacuna, con un rapporto relativo se non altro all’ammontare dei contributi forniti dall’Italia e al loro impiego. Peraltro un rapporto globale sugli oneri finanziari sostenuti nell’ambito degli Obiettivi del Millennio è indispensabile in vista degli impegni estremamente onerosi richiesti dal prossimo progetto dell’Onu contro la povertà: gli Obiettivi di sviluppo sostenibile post-2015. Gli obiettivi questa volta saranno 17. Si è stimato che realizzarli costerà più di tre trilioni di dollari all’anno che graveranno sui bilanci dei Paesi sviluppati aggiungendosi ai miliardi necessari per sostenere le iniziative di cooperazione bilaterale e multilaterale già in atto: 135 miliardi di dollari nel 2014, con un incremento del 66% rispetto agli 81 miliardi destinati alla cooperazione allo sviluppo nel 2000.