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GIOVEDI' SANTO

«Sono stanco anch'io. Il vero riposo? Affidarsi a Dio»

Alla Messa crismale del Giovedì Santo in San Pietro, Papa Francesco ha pronunciato una lunga omelia dedicata ai i temi della stanchezza e del riposo. Il Pontefice ha esaminato tre diverse forme di stanchezza: la stanchezza del lavoro apostolico, quella che viene dal demonio e la pericolosa «stanchezza di se stessi».

Ecclesia 02_04_2015
Papa Francesco

Presiedendo la Messa crismale del Giovedì Santo in San Pietro, Papa Francesco ha pronunciato una lunga omelia, dedicata soprattutto – ma non solo – ai sacerdoti e incentrata sui temi della stanchezza e del riposo. Il Pontefice ha esaminato tre diverse forme di stanchezza – la stanchezza del lavoro apostolico, la stanchezza che viene dal demonio e la pericolosa «stanchezza di se stessi», una sorta di depressione che porta a continuare nell’apostolato come routine e non come gesto di amore – e ha indicato come antidoto il vero riposo, che non è quello della «società dei consumi» ma l’abbandono fiducioso alla compagnia e alla protezione di Dio.

Il Papa è partito dal Salmo 88, dove il Signore parla di Davide: «La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui / … Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre, / mio Dio e roccia della mia salvezza”». «È molto bello», ha commentato Francesco, «entrare, con il salmista, in questo soliloquio del nostro Dio». Egli parla anzitutto dei sacerdoti, «pensa e si preoccupa tanto di come potrà aiutarci, perché sa che il compito di ungere il popolo fedele non è facile, è duro; ci porta alla stanchezza e alla fatica». La stanchezza è una caratteristica fondamentale non solo dei sacerdoti, ma di chiunque si dedica alla missione, «dalla stanchezza abituale del lavoro apostolico quotidiano fino a quella della malattia e della morte, compreso il consumarsi nel martirio». Alla stanchezza, confida Francesco, «penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io». Ma la stanchezza del sacerdote e dell’apostolo, ha aggiunto, «è come l’incenso che sale silenziosamente al Cielo (cfr Sal 140,2; Ap 8,3-4). La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre». Inoltre, siamo «sicuri che la Madonna si accorge di questa stanchezza e la fa notare subito al Signore. Lei, come Madre, sa capire quando i suoi figli sono stanchi e non pensa a nient’altro. “Benvenuto! Riposati, figlio mio. Dopo parleremo… Non ci sono qui io, che sono tua Madre?” – ci dirà sempre quando ci avviciniamo a Lei». 

Capire la stanchezza significa anche capire che cos’è veramente il riposo. Talora «ci può venire la tentazione di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio. Non cadiamo in questa tentazione». Gesù stesso ci rivela che cos’e il vero riposo cristiano: «Venite a me quando siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). «Quando uno sa che, morto di stanchezza, può prostrarsi in adorazione, dire: “Basta per oggi, Signore”, e arrendersi davanti al Padre, uno sa anche che non crolla ma si rinnova». C’è una pedagogia del riposo. Dobbiamo imparare a riposare. Una «chiave della fecondità» dell’apostolato «sta nel come riposiamo e nel come sentiamo che il Signore tratta la nostra stanchezza. Com’è difficile imparare a riposare! In questo si gioca la nostra fiducia». Su questo il Papa ha invitato i sacerdoti, e chiunque è impegnato nell’apostolato, a uno dei suoi consueti esami di coscienza: il riposo è il momento in cui mi affido all’amore di Dio? «O dopo il lavoro pastorale cerco riposi più raffinati, non quelli dei +poveri, ma quelli che offre la società dei consumi? Lo Spirito Santo è veramente per me “riposo nella fatica”, o solo Colui che mi fa lavorare?». E ancora: «So riposare da me stesso, dalla mia auto-esigenza, dal mio auto-compiacimento, dalla mia auto-referenzialità? So conversare con Gesù, con il Padre, con la Vergine e san Giuseppe, con i miei Santi protettori amici per riposarmi nelle loro esigenze – che sono soavi e leggere –, nel loro compiacimento – a essi piace stare in mia compagnia –, nei loro interessi e riferimenti – ad essi interessa solo la maggior gloria di Dio? So riposare dai miei nemici sotto la protezione del Signore? Vado argomentando e tramando fra me e me, rimuginando più volte la mia difesa, o mi affido allo Spirito che mi insegna quello che devo dire in ogni occasione? Mi preoccupo e mi affanno eccessivamente o, come Paolo, trovo riposo dicendo: “So in chi ho posto la mia fede” (2 Tm 1,12)?».

Il sacerdote – ma vale per chiunque partecipi al lavoro apostolico e missionario della Chiesa – è invitato dalla Scrittura a «curare quelli che hanno il cuore spezzato e consolare gli afflitti. Non sono compiti facili, non sono compiti esteriori, come ad esempio le attività manuali – costruire un nuovo salone parrocchiale, o tracciare le linee di un campo di calcio per i giovani dell’oratorio; gli impegni menzionati da Gesù implicano la nostra capacità di compassione, sono impegni in cui il nostro cuore è “mosso” e commosso». Compassione significa capacità di gioire con chi gioisce e piangere con chi piange. Le emozioni, però, moltiplicandosi «affaticano il cuore». Se davvero entriamo nel cuore degli altri, «il nostro, nel patire con loro, ci si va sfilacciando, ci si divide in mille pezzetti, ed è commosso». Qui abbiamo bisogno del riposo del Signore. La stanchezza, ha detto il Papa, non è sempre un male. C’è «una stanchezza buona, una stanchezza piena di frutti e di gioia». La stanchezza di chi moltiplica gli sforzi del suo apostolato, perché vede che vanno nella direzione giusta. Ma c’è anche una stanchezza malsana, che porta a fare apostolato «con la faccia acida, lamentosi, o, ciò che è peggio, annoiati». E c’è «quella che possiamo chiamare “la stanchezza dei nemici”. Il demonio e i suoi seguaci non dormono e, dato che le loro orecchie non sopportano la Parola di Dio, lavorano instancabilmente per zittirla o confonderla». Il demonio e i suoi seguaci non si stancano, ma cercano di stancare noi. Qui la stanchezza di affrontarli è più ardua. Non solo si tratta di fare il bene, con tutta la fatica che comporta», ma occorre nello stesso tempo difendersi dal male. «Il maligno è più astuto di noi ed è capace di demolire in un momento quello che abbiamo costruito con pazienza durante lungo tempo. Qui occorre chiedere la grazia di imparare a neutralizzare: è un’abitudine importante, imparare a neutralizzare. Neutralizzare il male, non strappare la zizzania, non pretendere di difendere come superuomini ciò che solo il Signore deve difendere». 

Quando ci troviamo davanti «allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi», che spesso vengono davvero dal demonio, ricordiamo la parola di Gesù: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). «Questa parola ci darà la forza». Infine, c’è «la stanchezza di sé stessi» che è «forse la più pericolosa». Perché le altre due – la stanchezza del lavoro apostolico e la stanchezza indotta dal diavolo – «provengono dal fatto di essere esposti, di uscire da noi stessi» per evangelizzare. Mentre la stanchezza di sé stessi «è più auto-referenziale: è la delusione di sé stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono, di aiuto: questi chiede aiuto e va avanti. Si tratta della stanchezza che dà il “volere e non volere”, l’essersi giocato tutto e poi rimpiangere l’aglio e le cipolle d’Egitto, il giocare con l’illusione di essere qualcos’altro». Questa stanchezza al Pontefice «piace chiamarla “civettare con la mondanità spirituale”. E quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità, e abbiamo persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire. Qui può esserci una stanchezza cattiva. La parola dell’Apocalisse ci indica la causa di questa stanchezza: “Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore” (2,3-4). Solo l’amore dà riposo. Ciò che non si ama, stanca male, e alla lunga stanca peggio».

Ogni anno il Papa insiste sul rito della lavanda dei piedi, cui attribuisce un’importanza che a qualcuno può sembrare perfino eccessiva. Qui spiega perché è così importante. Perché il cristiano stanco di se stesso continua forse a pregare, ad andare in chiesa, perfino a fare apostolato, ma lo fa con la «mondanità spirituale» – che per Papa Francesco non è l’amore delle ricchezze (quella è la mondanità materiale) ma il compiere opere buone per se stessi o per puro umanitarismo, non per Dio – e lo fa avendo dimenticato il «primo amore», quell’amore per il Signore che lo aveva spinto all’origine a scegliere di essere cristiano, apostolo, sacerdote, laico impegnato nella missione. Con la lavanda dei piedi il Signore «si fa carico in prima persona di pulire ogni macchia, quello smog mondano e untuoso che ci si è attaccato nel cammino che abbiamo fatto nel suo Nome». Secondo la cultura ebraica «nei piedi si può vedere come va tutto il nostro corpo». E «nel modo di seguire il Signore si manifesta come va il nostro cuore. 

Le piaghe dei piedi, le slogature e la stanchezza, sono segno di come lo abbiamo seguito, di quali strade abbiamo fatto per cercare le sue pecore perdute». Con la lavanda dei piedi «il Signore ci lava e ci purifica da tutto quello che si è accumulato sui nostri piedi per seguirlo. Questo è sacro. Non permette che rimanga macchiato. Come le ferite di guerra Lui le bacia, così la sporcizia del lavoro Lui la lava». Contempliamo in questi giorni il Signore morto e risorto. «E per favore, chiediamo la grazia di imparare ad essere stanchi, ma stanchi bene!».