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INTERVISTA

Solženicyn, l'erede di Dostoevskij

Lo scrittore russo e l'amore per la verità. Parla Liudmila Saraskina, autrice di una biografia monumentale.

Cultura 11_12_2010
solzenicyn


Era quello che viveva la libertà tra le coordinate di un destino. Senza tempo per scendere a patti. Scriveva in mezzo a segni, visioni, desideri, Aleksandr Solženicyn. L’ossessione della verità come una stella. Circondato dalla menzogna, perché ha un prezzo, lo spiegava Tolstoj, “la moralità di un uomo verso la parola”. E proprio a un senso di pudore rispondeva la scelta di non pubblicare, in vita, nessuna autobiografia. Le lezioni di un secolo, attraverso la sua esistenza, lo scrittore russo desiderava che a raccontarle fosse qualcun altro. Magari con il suo aiuto. E chissà se a Liudmila Saraskina, scrittrice e studiosa di Dostoevskij, saranno tremati i polsi quel giorno- era il 1995- in cui rispose al telefono di casa e una voce le disse:”Sono Aleksandr Solženicyn”. Da quella telefonata un’amicizia il cui frutto è ora una biografia monumentale, scritta da Saraskina, con notazioni –in fase di redazione- dell’autore di Arcipelago GULag.

Il volume, da poco arrivato in libreria per i tipi della San Paolo, si intitola semplice: Solženicyn (1441 pp., 84 euro). E’ un testo di riferimento per comprendere le problematiche di un’esistenza controversa, ma anche i mille rivoli di un’opera letteraria enorme. La Bussola ha raggiunto a Mosca la sua autrice.

Come finisce un’esperta di Dostoevskij ad occuparsi di Solženicyn?
C’è continuità. Solženicyn ha tracciato nel XX secolo la medesima linea di indagine artistica e pubblicistica della vita russa, delineata nel XIX secolo da Dostoevskij. Parlando in senso metaforico, i personaggi de I fratelli Karamazov (che hanno rispettivamente 20, 24 e 28 anni) nella maturità sarebbero finiti sotto la «Ruota rossa» della rivoluzione, e ciascuno avrebbe dovuto fare la propria scelta di vita. La vicenda di Solženicyn mi è apparsa estremamente interessante, perché vi ho scorto lo stesso potenziale di esperienza esistenziale e letteraria che possedeva Dostoevskij. I due scrittori sono molto simili nello sviluppo della propria concezione del mondo, nelle proprie ricerche e tensioni spirituali.

Perché scrivere un’opera così monumentale?
Aleksandr Isaevi? quando si imbatteva nelle diffamazioni, diceva: «Dicono il falso, come se fossi già morto». E io mi sono fatta un punto d’onore di scrivere di lui come di un vivo.

Dunque non siamo di fronte a un’apologia?
Dopo aver steso una prima redazione del libro, io stessa mi sono rivolta ad Aleksandr Isaevi? pregandolo di rivedere il testo solo sotto l’aspetto dei fatti esposti. Lui si meravigliò molto della mia richiesta, ma acconsentì, perché gli dissi: «Io non ho combattuto, non sono mai stata arrestata né detenuta in prigione e in lager, non ho mai avuto malattie mortali, e quindi posso commettere degli errori su aspetti concreti di queste realtà. Sarebbe un gran peccato se qualche errore grossolano su questi aspetti fattuali dovesse minare la fiducia nel libro. E lui è stato molto leale nel limitarsi al tipo di aiuto che gli avevo chiesto.

Erano molte le sue annotazioni?
Conservo le 900 pagine di quella prima stesura del libro, con le sue note in margine, e quando alcuni giornalisti televisivi esaminarono il dattiloscritto e lo ripresero nel corso di una trasmissione, si meravigliarono che le sue osservazioni fossero così poche. Non ho mostrato ad Aleksandr Isaevi? né la seconda redazione, né le bozze. Ha visto il libro solo quando è uscito. Direi che non si può certo parlare di agiografia.

Attualità e fortuna di Solženicyn restano comunque in bilico. Troppe incomprensioni, troppo odio.
In Solženicyn mi ha sempre impressionato l’onestà di fronte a se stesso. Non conosco nessun altro scrittore delle sue proporzioni, che in modo tanto franco e impietoso abbia riconosciuto i propri errori, abbia mostrato le proprie cattive azioni, i pensieri maligni, pentendosene davanti a tutto il mondo. E i suoi nemici ne hanno approfittato per trasformare le sue confessioni in «scoperte»: come se non fosse stato lui stesso a parlarne, ma fossero stati loro a trovare notizie per smascherarlo. Sarebbe come raccogliere un dossier attraverso la confessione per rovinare pubblicamente il suo autore. Oggi bisogna innanzitutto che Solženicyn venga letto. Quelli che lo insultano, al 99% non hanno mai letto niente di suo. Attualmente Solženicyn è lo scrittore meno letto in Russia. Conosco parecchie persone che, dopo averlo letto in maniera più o meno ampia, sono passati da una posizione negativa a una positiva. Il fenomeno Solženicyn è la storia dei pregiudizi esistenti su di lui.

Solženicyn si interrogava sulla sua ricezione critica in Occidente da parte dei colleghi scrittori? Aleksandr Isaevi? non si è limitato a interrogarsi sulla ricezione critica in Occidente da parte degli intellettuali occidentali, ma è entrato nel vivo della polemica con loro. Vorrei ricordarle che gli intellettuali europei degli anni ’60-70 erano, secondo Solženicyn, eccessivamente di sinistra, sostenevano eccessivamente il socialismo. Solženicyn riteneva che non si rendessero conto di che cosa sia stato il comunismo russo. E denunciando gli intellettuali di sinistra, egli esemplificava loro ciò che intendeva dire, mostrando come il socialismo teorico si fosse tramutato nello stalinismo e nei lager a regime speciale.

Nomi, grazie..
Condannò Sartre, quando questi propose Šolochov per il Nobel («Sartre non avrebbe potuto offendere più gravemente la letteratura russa»). Solženicyn rifiutò di incontrarlo, quando questi venne a Mosca: «Che incontro ci può mai essere fra due scrittori, se uno dei due interlocutori ha la bocca tappata e le mani legate?». Questo incontro per Solženicyn era «amaro, insostenibile», e non si recò al pranzo indetto in onore di Sartre all’albergo Pekin. La stessa amarezza gliela causò l’atteggiamento degli organizzatori del premio Nobel, che, impauriti dalla possibilità di complicazioni con l’URSS, gli proposero di andare a Stoccolma a riceverlo senza però pronunciare discorsi, senza tenere la lezione del Nobel, senza rilasciare interviste, senza incontrarsi con i giornalisti e senza vedere nessuno. A questo punto Solženicyn ricusò di andare, tanto più che sapeva che, una volta varcata la frontiera, gli avrebbero tolto la cittadinanza.

C’era un modello di indipendenza?
Certo che c’era. Prima di tutto Puškin. Per lui rappresentano dei punti di riferimento sia il respiro epico di Tolstoj, sia la sublimità profetica di Dostoevskij. A Solženicyn piaceva molto Zamjatin. Anna Achmatova era un suo idolo. Ma più di tutti amava Michail Bulgakov, negli anni ’60 era in contatto con sua moglie, e considerava l’autore del Maestro e Margherita come un proprio fratello spirituale, ne avvertiva profondamente l’affinità sebbene, naturalmente, non l’avesse mai visto: Bulgakov morì nel 1940.

Proprio per il suo amore per la libertà da noi pochi hanno capito la sua passione prima per Eltsin e poi per Putin.
La simpatia iniziale di Solženicyn per Eltsin si trasformò in acuta delusione: lo aveva infatti interpretato come una sorta di «orso russo», retto, onesto e disinteressato, estraneo a cupidigie e maneggi. Tuttavia, una volta tornato in Russia, Aleksandr Isaevi? dovette rendersi conto che questi, anziché ricostruire il Paese, pensava ad assicurarsi poltrone e residenze. Putin, quando Aleksandr Isaevi? lo ricevette nel 2000 a casa sua, gli sembrò invece un’altra persona: un uomo che non pensava alle proprie tasche ma al bene del Paese.

Con un cattivo rapporto però – per usare un eufemismo - con i giornalisti.
Solženicyn riponeva grandi speranze in Putin. Ma la sua critica del regime putiniano era così argomentata, che non sarebbe mai potuto diventare un’icona della propaganda, e in effetti non lo è mai diventato. I nostri liberali avevano una gran paura che Putin ascoltasse Solženicyn e abolisse gli esiti della privatizzazione ladresca. È ancora da appurare chi abbia esercitato un influsso su chi. È quello che Putin ha detto ai giornalisti nel 2007, recandosi da Solženicyn: «Abbiamo preso molte cose da lui». Per iniziativa di Putin nel 2010 è stata pubblicata una versione ridotta di Arcipelago GULag, diventato materia d’obbligo nella scuola, e io stessa nell’ottobre scorso ho partecipato a una conferenza-stampa indetta su questo tema da «Rossijskaja gazeta». La stampa ne ha parlato come di un paradosso: che bisogno aveva un ex-?ekista di far leggere e studiare a scuola Arcipelago GULag? Natal’ja Solženicyna ha affermato pubblicamente che sulla bilancia della storia questo gesto di Putin avrà un suo peso.

Come valutava l’autore la secolarizzazione della Russia?
La Russia è catastroficamente incapace di trarre lezioni dal proprio passato, come pure dagli ammonimenti dei propri scrittori, che possiedono una capacità di riflettere sulla storia e di prevedere gli esiti futuri degli avvenimenti presenti. A suo tempo la Russia non aveva creduto ai Demoni di Dostoevskij, ed è successo quello che è successo. D’altra parte la Russia è sempre stata un paese «letterariocentrico», in cui spesso la letteratura ha sostituito la filosofia e la religione. Sovente nel nostro paese si sente dire: la mia religione sono i classici della letteratura russa. Per quanto riguarda la secolarizzazione della Russia, Solženicyn ne ha parlato ampiamente nella Ruota rossa: intere classi e ceti sociali avevano abbandonato la fede e la Chiesa prima ancora della rivoluzione, e non dopo.

Questo che significa?
La colpa del fatto che la Russia sia precipitata in un bagno di sangue grava anche sulla Chiesa storica, che, come ha scritto Solženicyn, rimase sorda alle sventure del popolo. Non molto tempo fa si è acceso un vasto dibattito sulle Riflessioni sulla rivoluzione di febbraio di Solženicyn, da cui è emersa la consapevolezza che sulle questioni della storia russa Solženicyn sia una figura consolidante a livello nazionale. Ma a me sembra che la cultura russa non abbia ancora raggiunto al proprio interno una consapevolezza unanime sul significato che Solženicyn riveste per essa, e su chi lo scrittore sia stato per la Russia – un disintegratore dell’URSS o un geniale veggente della storia russa e del nostro futuro.