Socialisti di tutta Europa: uniti! Ma nella sconfitta
La notizia non è solo quella della vittoria della destra, ma anche quella del crollo rovinoso dei socialdemocratici, che in Austria escono ridimensionati. Ed è così ovunque in Europa: in Spagna, Olanda, Grecia, Francia e Germania i socialisti perdono. Ma in Italia non riescono a farsi un esame di coscienza.
La notizia non è solo quella della vittoria della destra, ma anche quella del crollo rovinoso della sinistra, che in Austria esce ridimensionata dalle urne. Il successo del giovanissimo Kurz spinge quello Stato sempre più verso il gruppo di Visegrad, ma soprattutto apre altre crepe nel disegno europeista alimentato dalle cancellerie europee negli ultimi decenni e fondato più sugli accordi di vertice che sull’effettivo coinvolgimento dei popoli nelle scelte politiche.
Al di là delle letture di parte, al netto di inevitabili strumentalizzazioni assai praticate anche nel nostro Paese, bisogna ragionare su un dato inequivocabile: il declino dei socialdemocratici in tutta Europa, in Spagna, Olanda, Grecia, Francia, Germania e oggi anche Austria, nazione nella quale negli ultimi cinquant’anni la sinistra era più o meno sempre rimasta al potere. Paradossalmente l’unica nazione in cui potrebbe ipotizzarsi un riscatto della sinistra europea è proprio il Regno Unito che, nel post-Brexit, sta registrando un calo progressivo dei consensi per la conservatrice Theresa May. Altrove si celebrano i funerali di quel sogno socialista spacciato come definitiva affermazione di un ideale europeista fondato su principi di uguaglianza e solidarietà, ma in realtà foglia di fico per legittimare una completa finanziarizzazione delle dinamiche europee, sulla pelle dei cittadini del Vecchio Continente.
I nodi vengono al pettine, prima o poi, e i socialdemocratici pagano lo scotto di una cattiva gestione dell’emergenza immigrati, un progressivo allontanamento della loro condotta politica dai principi ispiratori della sinistra europea, una conversione non credibile al libero mercato e alle privatizzazioni, fondata su un matrimonio innaturale tra socialismo e liberalismo, una spiccata attitudine alla demonizzazione dell’avversario, identificata, a seconda delle circostanze, nel polo conservatore o nei movimenti populisti, una gestione fallimentare dello Stato sociale, con l’attitudine a voler dare tutto a tutti, assecondando sempre nuovi bisogni e dilatando in modo eccessivo la spesa pubblica, senza contribuire ad aumentare la coesione sociale e l’interclassismo.
Il campanello d’allarme per la sinistra austriaca è peraltro risuonato di recente dopo che in Germania l’Spd di Schulz ha toccato il suo minimo storico, a riprova della crisi di identità che attraversa quell’area politica un po’ in tutt’Europa. Dopo il ko a Vienna, è giunta l’ora di un severo esame di coscienza e di una trasparente autocritica per l’intera famiglia dei socialisti europei, sempre più percepita dai suoi simpatizzanti come una sinistra non popolare ma elitaria e vicina alla nomenklatura autoreferenziale di Bruxelles.
Ora i riflettori non possono che essere puntati sull’Italia, dove tutti i sondaggi accreditano le forze di centrodestra in vantaggio sulla sinistra, senza escludere possibili exploit dei Cinque Stelle. La sinistra è dunque in grosse difficoltà anche nel nostro Paese, dove peraltro sconta la progressiva perdita di sponde nel resto d’Europa. Per Renzi e soci i guai sono iniziati con la vittoria di Trump negli Usa e sono proseguiti con le sconfitte in moltissimi Stati europei. E’ giusto quindi quanto affermato nei giorni scorsi dal segretario Pd, che ancora una volta ha rivendicato al Pd il ruolo di faro dei socialisti europei in Europa, considerate le batoste prese altrove dai partiti di sinistra. Ma questo progressivo isolamento non prelude a nulla di buono per i dem italiani. Da anni, peraltro, i loro governi si reggono su appoggi di forze politiche nate da scissioni nel campo avverso (vedi Alfano e Verdini), dunque già ora la sinistra governa pur non essendo maggioranza. Con l’aria che tira, con le divisioni laceranti e gli abbandoni clamorosi di Bersani e altri, con la diffidenza progressiva dei leader storici come Prodi, ben difficilmente la sinistra potrà riuscire in Italia dove non sta riuscendo altrove.
E non potrà bastarle la propaganda mediatica, che induce commentatori e analisti della politica a reagire sempre in modo diverso quando vince la sinistra o quando perde la sinistra in qualche Stato europeo. Nel primo caso essi battono le mani, danno un plauso alla stabilità e celebrano la conservazione degli assetti politico-istituzionali, che pure stanno portando l’Europa in un vicolo cieco; nel secondo caso, anziché analizzare con obiettività le cause del risultato elettorale e anziché rispettare la volontà popolare, che non è giusto considerare sovrana a giorni alterni, lanciano l’allarme populista e paventano disastri per l’Europa e rischi per gli Stati nei quali si è votato e nei quali la sinistra ha perso. E’ questa una grave deformazione culturale che affligge il nostro sistema mediatico e che appare più che mai destinata a ritorcersi come un boomerang sulle sorti di una sgangherata sinistra italiana, sempre più lacerata da insanabili bizantinismi e sempre più in crisi d’identità.