Siria, la zona cuscinetto attorno a Idlib e i nuovi rischi
Raggiunto l'accordo fra Russia e Turchia, è stata effettivamente creata una zona demilitarizzata attorno alla sacca di Idlib. Le milizie legate ai turchi la rispettano, non così i jihadisti che non si ritirano e non depongono le armi. Intanto resta aperto il problema del Kurdistan siriano, difeso da militari Usa la cui presenza è denunciata da Mosca.
Meno di un mese dopo l'accordo raggiunto nel summit tra Russia e Turchia per scongiurare l’offensiva dei governativi siriani a Idlib, Mosca e Ankara hanno reso operativa la zona smilitarizzata intorno alla provincia controllata dagli insorti, per il 60% qaedisti di Hayat Tahrir al Sham, l’ex Fronte al-Nusra.
La zona che di fatto isola l’area in mano ai ribelli dal contatto con le truppe siriane, si estende per 15-20 chilometri lungo le linee del fronte intorno a Idlib e comprende anche parte delle province di Latakia, Hama e Aleppo. L'accordo ha evitato l'offensiva di Damasco con l'ultima grande roccaforte dei ribelli in Siria, dove migliaia di miliziani, inclusi jihadisti stranieri, vivono insieme a quasi 13 milioni di civili. Lo scorso 17 settembre a Sochi il presidente russo Vladimir Putin e quello turco Recep Tayyip Erdogan hanno raggiunto un'intesa per la creazione di una zona demilitarizzata profonda 15-20 km lungo il perimetro della provincia di Idlib, che tenga separate le truppe del governo siriano, alleate della Russia, e quelle ribelli, alcune delle quali alleate della Turchia (quelle riunite nel Fronte di Liberazione Nazionale, NLF, parte dell'Esercito Libero Siriano).
La zona smilitarizzata inizia pochi chilometri a nordovest di Aleppo, prosegue a sud sul perimetro est della provincia di Idlib fino a lambire la zona nord della provincia di Hama e, risalendo verso nord, quella orientale della provincia di Latakia, fino ad esaurirsi al confine tra quest' ultima e il territorio turco. Disseminati attorno al perimetro della zona demilitarizzata ci sono i punti di osservazione turchi, russi e iraniani. Uno degli obiettivi logistici dell'intesa è quello di liberare l'autostrada M5, che collega Damasco ed Aleppo, passando per Hama e la campagna di Idlib. Tutti i gruppi ribelli presenti nella zona smilitarizzata dovevano ritirarsi e deporre le armi pesanti entro ieri e secondo la stampa turca i ribelli filo-Ankara del NLF avevano già completato tali operazioni nei giorni scorsi ma altri non vogliono saperne, come il fronte Hurras al Din, con base vicino Jisr al Shoghur, e quello di Ansar al Din, con base nel sud di Aleppo, che hanno fatto sapere di considerare il ritiro come una resa. Dello stesso avviso sembrano essere i combattenti uighuri del Turkestan Islamic Party, di ispirazione qaedista. Se non vi saranno ripensamenti sarà difficile evitare scontri con queste milizie.
Non a caso Bashar Assad ha definito l’accordo positivo ma "temporaneo" lasciando intendere di non aver rinunciato a riconquistare anche il lembo nordoccidentale del territorio nazionale. "L'accordo è una misura temporanea attraverso la quale lo Stato ha realizzato molti risultati sul terreno", ha detto Assad la scorsa settimana durante una riunione del comitato centrale del partito Baath. Il ministro degli Esteri siriano, Walid al Mualem, ha avvertito ieri che "le nostre forze sono pronte intorno a Idlib per sradicare il terrorismo nel caso in cui l'attuazione dell'accordo a Idlib non venga soddisfatta", ha detto Al Mualem in una conferenza stampa a Damasco con il suo omologo iracheno, Ibrahim al-Jaafari. "Idlib, come qualsiasi area in Siria, deve inevitabilmente tornare alla sovranità dello Stato siriano", ha sottolineato il ministro, aggiungendo che "se l'accordo su Idlib non viene rispettato, il governo siriano opterà per altre opzioni. Il Fronte al-Nusra (ora Hayat Tahrir Al-Sham) appare in 27 'liste terroristiche' nelle Nazioni Unite e deve essere rimosso dalla sua ultima roccaforte", ha concluso.
Fonti della sicurezza turca hanno riferito a media internazionali che circa un terzo dei 15.000 combattenti qaedisti di Hayat Tahrir al Sham operavano fino a poco tempo fa nella zona demilitarizzata; di quei 5000 solo un migliaio si sarebbero ritirati. Secondo fonti locali in contatto con Middle East Eye, questi miliziani avrebbero permesso il passaggio di truppe turche attraverso il valico di frontiera di Bab al Hawah (controllato dagli stessi qaedisti) in direzione dei punti di osservazione istituiti da Ankara, dai quali poter attaccare altri gruppi ribelli. Un comandante del' Esercito Siriano Libero ha riferito sempre a MEE che l'Esercito turco si sta ammassando nel distretto turco di Yayladagi, confinante con le postazioni ribelli nel nord della provincia di Latakia. Sempre secondo il comandante, le truppe turche da quelle postazioni possono condurre offensive contro le fazioni che non rispettino l'applicazione della “zona demilitarizzata”.
Il successo dell’intesa russo-turca taglia fuori Washington dalle decisioni sul futuro assetto della Siria, ma gli Usa si vendicano costituendo un “quasi Stato” nelle regioni orientali oltre il fiume Eufrate controllate dalle milizie curde sostenute da 2mila militari americani. Nelle terre siriane a est dell'Eufrate, gli Usa vogliono "creare un quasi-Stato in maniera completamente illegale" servendosi dei "loro alleati curdi" ha detto il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. "Vogliono crearvi un territorio che sarà la base di un nuovo Stato - ha precisato il capo della diplomazia russa – oppure sarà di nuovo un gioco pericolosissimo con il Kurdistan iracheno, la cosiddetta idea del Grande Kurdistan". Lavrov ha infine accusato gli Usa di instaurare in quelle zone "autorità alternative agli organi legittimi siriani" e di "favorire attivamente il ritorno dei profughi" in quelle terre. In quel settore sono del resto ripresi negli ultimi giorni gli scontri tra forze curde/Usa e miliziani dello Stato Islamico arroccati nell' ultima sacca di resistenza lungo il fiume Eufrate. Lo riferiscono fonti locali, secondo cui gli scontri sono in corso nel distretto di Hajin, tra Abukamal e Deir Ezzor, principali località sull' Eufrate e vicine al confine con l'Iraq. Da settimane, le forze curdo-siriane appoggiate dalla Coalizione anti-Isis a guida Usa tentano di avere la meglio sui gruppi jihadisti dell'area.
Sul lato occidentale dell'Eufrate, le forze governative siriane, sostenute da Iran e Russia, sono invece impegnate a evitare che miliziani jihadisti in fuga possano spostarsi nella Siria centrale, dove rimangono dei gruppi armati affiliati all' Isis. Damasco punta ormai decisamente alla normalizzazione post bellica tesa a ridare slancio all’economia e favorire la ricostruzione del paese. Un programma ben rappresentato dalla riapertura dei valichi di confine con i paesi vicini. Dopo molti ritardi il 14 ottobre è stato riaperto il valico di frontiera con la Giordania di Nassib (Jaber per i giordani), arteria di comunicazione cruciale per gli scambi commerciali, prima che i ribelli siriani ne prendessero il controllo e Amman ne decidesse la chiusura, nell' aprile del 2015. Riconquistato lo scorso luglio dalle forze di Damasco, la riapertura di Nassib favorisce le merci libanesi dirette in Arabia Saudita via terra passando per la Siria e la Giordania ma anche altri scambi commerciali tra i diversi paesi della regione passano per Nassib.
Il ministro degli Esteri dell'Iraq, Ibrahim al-Jafaari, ha detto a Damasco che "l'apertura dei valichi di frontiera tra Iraq e Siria è imminente" nonostante “qualche ritardo a causa di circostanze eccezionali. La Siria rappresenta un vicino dal punto di vista umanitario, politico ed economico e non solo geografico e le relazioni devono essere ulteriormente sviluppate", ha aggiunto il ministro iracheno. Ieri ha riaperto dopo quattro anni anche il valico di Quneitra fra il territorio siriano e le alture del Golan controllate da Israele, limitatamente alle pattuglie di osservatori dell'Undof (United Nations Disengagement Observer Force), la missione dell’Onu che sorveglia i due versanti delle alture.