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GINEVRA2

Siria, la pace si allontana di nuovo

Siria: Assad non lascia il potere. L'opposizione non accetta la sua presenza in ogni eventuale governo di transizione. E l'opposizione jihadista è la grande assente del negoziato. Ecco le premesse di un probabile disastro diplomatico.

Esteri 11_02_2014
Ban Ki-moon

Ginevra 2, round 2: sono ripresi ieri i colloqui di pace per la Siria sponsorizzati dall’Onu. La prima fase delle trattative si è conclusa, alla fine di gennaio, con un nulla di fatto. La seconda, per ora, sta semplicemente tracciando un agenda. Opposizione e governo di Damasco non si sono ancora guardate in faccia. E probabilmente non lo faranno nemmeno nei prossimi giorni. Manca un accordo sulla questione più basilare: chi dovrà partecipare alla transizione politica siriana dalla dittatura alla democrazia.

Innanzitutto si deve ricordare che Ginevra 2 nasce al seguito di un altro accordo abortito, sempre a Ginevra, nel giugno 2012. Allora era ancora più difficile raggiungere qualche punto fermo perché la stessa comunità internazionale era profondamente divisa, con una Russia alleata di Assad e Stati Uniti vicini all’opposizione. Ginevra 1 si era conclusa con un “comunicato” emanato dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in cui si affermava la necessità di un governo di transizione che traghettasse la Siria dalla dittatura alla democrazia, senza ulteriori spargimenti di sangue o vendette, includendo sia membri dell’attuale regime di Damasco, sia membri dell’opposizione. Non si tratta di un piano utopistico, perché già in un altro Paese arabo, lo Yemen, questo schema ha funzionato: l’ex dittatore Alì Abdullah Saleh rassegnò le dimissioni, anche se un altro uomo di regime, l’ex vicepresidente Abd Rabbo Mansur Hadi, gli è subentrato. Saleh dirige ancora la politica yemenita da dietro le quinte. La guerriglia prosegue, alimentata sia da Al Qaeda che dalle milizie separatiste sciite. Ma almeno la fase più acuta della guerra civile yemenita e il rischio di destabilizzazione generale è stato evitato. Per la Siria la conferenza di pace sponsorizzata dall’Onu mira a raggiungere uno scenario simile, se non analogo a quello yemenita. Nel frattempo, fra Ginevra 1 e Ginevra 2, le relazioni fra potenze esterne sono molto migliorate. Dopo aver messo da parte l’idea di un intervento armato (per mancanza di consenso interno, soprattutto), Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna si sono adeguate all’idea della Russia di una transizione politica. Quindi, per la prima volta dall’inizio della crisi siriana, le grandi potenze, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu si trovano abbastanza allineate fra loro.

Quel che è cambiato in peggio, però, è lo stato della crisi sul terreno. L’attore principale della guerra contro il regime di Assad non è più il cartello di partiti del Consiglio Nazionale Siriano, presente a Ginevra, ma la galassia multiforme di milizie islamiche, quelle legate ad Al Qaeda e quelle autoctone (sempre più in conflitto con la rete fondata da Bin Laden), in lotta fra loro e unite solo dalla comune inimicizia per il regime di Bashar al Assad. Senza di esse, che ormai spadroneggiano il campo dell’opposizione armata, sarà difficile ottenere qualunque risultato realistico. Negativo è anche il ruolo degli attori internazionali più direttamente coinvolti nel conflitto. La forza delle milizie islamiste dipende soprattutto dal sostegno, finanziario e militare, dell’Arabia Saudita, oltre che dell’appoggio politico del Qatar. D’altro canto, l’Iran continua a fornire armi e specialisti (e forze speciali delle brigate Qods) al regime di Bashar al Assad. Quella siriana, insomma, si configura ormai come una guerra per procura combattuta dalle potenze sunnite contro quelle sciite. Ban Ki-moon aveva invitato anche l’Iran a partecipare alla conferenza di Ginevra 2, ma il 22 gennaio scorso, all’ultimo minuto, aveva ritirato l’invito sotto il peso delle proteste degli Stati Uniti e dei rappresentanti del Consiglio Nazionale Siriano. La presenza iraniana avrebbe potuto riequilibrare il peso, considerando che Arabia Saudita e Qatar erano già fra gli invitati più influenti. Ma si trattava di una presenza incendiaria, perché, come si legge chiaramente nelle note di protesta americane, l’Iran non ha mai formalmente accettato il comunicato di Ginevra 1.

Questi sono i presupposti che hanno causato il fallimento completo del primo round di colloqui. Che di fatto si sono trasformati in un’occasione per scambiarsi accuse. Sfidando l’ira del Cns e degli Usa, il ministro degli Esteri siriano ha dichiarato che Assad resta al suo posto e che solo il “popolo siriano”, non un’assemblea internazionale, può decidere altrimenti con regolari elezioni. Dall’altra parte il Cns ha dichiarato che con Assad ancora al potere non si tratta: le sue dimissioni sono precondizione di ogni accordo. Fine del dialogo nel primo round.

Le premesse del secondo round, comunque, non fanno ben sperare, perché sempre Assad ha compiuto alcune mosse che non rasserenano affatto gli animi dei negoziatori. Prima di tutto è in ritardo sulla consegna delle armi chimiche: solo parte di esse è stata spedita neutralizzazione al largo di Gioia Tauro, una terza tranche è salpata proprio ieri, ma il grosso è ancora nei depositi. Non c’è alcuna particolare difficoltà logistica: l’esercito siriano ha spostato più volte tutte le riserve, anche in piena guerra. Dunque si tratta di una mossa di renitenza che preoccupa soprattutto gli Stati Uniti, arbitri dell’accordo sulle armi chimiche. Mentre la Russia tace. Il secondo segnale negativo arriva dalla città occidentale di Homs, roccaforte dei ribelli assediata dai regolari. Le truppe di Assad, contrariamente alle intenzioni inizialmente dichiarate, non hanno mollato la presa, non hanno lasciato entrare gli aiuti umanitari internazionali (quale gesto distensivo) e stanno permettendo l’evacuazione di civili solo a piccoli gruppi. Molti degli evacuati sono stati tratti in arresto e non rilasciati. Russia e Cina, fra le altre cose, si oppongono alle clausole umanitarie del comunicato. Assad teme che assieme agli aiuti arrivino anche rinforzi per i suoi nemici. E sia la Russia che la Cina non intendo lasciar passare il principio di “ingerenza umanitaria” che contempla la presenza di forze straniere e potrebbe essere usato contro di loro. Ora si attende solo di vedere come andrà a finire il secondo round.