Siria, è l'Onu che riaccende la miccia
Mentre pareva raggiunto un accordo diplomatico definitivo sulla Siria, l'intervento di Ban Ki-moon, segretario generale dell'Onu, riattizza la tensione. Ban ha condannato il regime di Assad (pur senza nominarlo) per l'uso di armi chimiche.
Il rapporto delle Nazioni Unite sull’impiego di armi chimiche il 21 agosto scorso nei sobborghi di Damasco non precisa nomi e cognomi dei responsabili, ma rappresenta in ogni caso un pesante capo d’accusa nei confronti del regime siriano e del presidente Bashar Assad. Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, presentando al Consiglio di Sicurezza il rapporto sulla Siria, lo ha definito il peggior attacco sulla popolazione civile dal 1988. «Con l'attacco con i gas in Siria è stato commesso un crimine di guerra. Il più significativo attacco coi gas contro civili da quando Saddam Hussein li usò ad Halabja». Il rapporto degli ispettori dell'Onu parla chiaro: il 21 agosto nel sobborgo di Ghouta ad est di Damasco è stato usato il Sarin, diffuso su larga scala tramite razzi terra-terra contro civili tra i quali anche bambini.
«L'85% dei campioni di sangue prelevati sono risultati positivi» al Sarin e anche dai «prelievi di tessuti delle persone ricoverate» ne hanno mostrato tracce, trovate anche sui resti dei razzi utilizzati , nelle aree di Ein Tarma, Moadamyah e Zalmaika a Ghouta affermano gli ispettori delle Nazioni Unite. A “incastrare” gli uomini di Assad contribuirebbero diversi elementi. Gli ispettori hanno verificato che il tipo di ordigno usato per lanciare i gas è un razzo specifico per l'uso di armi chimiche. Il governo siriano ne possiede ma non risulta che li abbiano i ribelli. I razzi d’artiglieria venivano da nord ovest rispetto al bersaglio, da un'area controllata dalle forze regolari siriane e vicina alla base militare di Mezzeh. Se fossero stati lanciati dai ribelli sarebbero arrivati da sud est. I 30 campioni analizzati risultati positivi al Sarin contenevano anche altre sostanze chimiche "come gli stabilizzatori". Questo suggerisce che le armi chimiche venivano da un luogo di stoccaggio controllato da cui potevano esser prelevate da truppe specializzate nel loro uso. Le lettere incise su alcuni pezzi di artiglieria suggeriscono una fabbricazione russa. Mosca è un grosso fornitore di armi alla Siria dove combattono però tra le fila dei ribelli miliziani ceceni che avrebbero potuto avere accesso a munizioni dell’ex Armata Rossa con scritte in caratteri cirillici.
Di fronte a un rapporto che "fa venire i brividi", Ban si dice «pronto a convocare la Conferenza sulla Siria a Ginevra» il più presto possibile perché «dobbiamo fare tutto il possibile per portare le parti al tavolo dei negoziati, l'unica strada per una soluzione duratura». Ban confida anche che «tutti possano unirsi a me nel condannare questo crimine spregevole. La comunità internazionale deve far sì che i responsabili siano consegnati alla giustizia» ha detto anticipando un eventuale processo internazionale per Bashar Assad e i vertici del suo regime. Se il rapporto dell’Onu non lascia molto spazio a dubbi circa l’attribuzione delle responsabilità le interpretazioni non sono certo univoche. L’Occidente e il mondo arabo rinnovano le accuse ad Assad e il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, non ha dubbi sulla colpevolezza del regime siriano. «Quando si guarda attentamente alla quantità di gas usati, alla complessità della miscela, non c'è dubbio sull'origine degli attacchi». Nemmeno gli ambasciatori statunitense e britannico all'Onu, Samantha Power e Mark Lyall Grant, hanno dubbi e nei dettagli del rapporto vedono la firma di Bashar Assad.
Mosca invece non solo sottolinea che nel rapporto non c’è un’accusa esplicita a Damasco ma riferisce di avere ricevuto dai siriani nuove prove che a impiegare il Sarin sono stati i ribelli. Il vice ministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov ha riferito di prove che dovrebbero dimostrare che le forze ribelli hanno accesso alle armi chimiche e che le hanno utilizzate nel conflitto ma si è detto anche deluso dal rapporto dell’Onu. «Siamo rimasti insoddisfatti da questa relazione, pensiamo che sia distorta, unilaterale e la base delle informazioni su cui è costruita non è sufficiente. In ogni caso ci sarebbe bisogno di conoscere e sapere di più su quello che è successo nell’incidente del 21 agosto». Allo stesso tempo, il vice ministro degli Esteri russo ha esortato Damasco a consegnare in maniera "accurata e tempestiva" tutte le informazioni sui depositi di armi chimiche.
Il confronto diplomatico si sposta ora proprio sul fronte dello smantellamento delle armi chimiche siriane e sui tempi di esecuzione. Washington e Parigi, sostenuti dallo stesso Ban, vorrebbero una risoluzione dell’Onu che contenesse già l’autorizzazione all’uso della forza contro Damasco qualora il disarmo e la consegna degli arsenali chimici venissero disattesi. Mosca, vera vincitrice del round negoziale che ha bloccato l’attacco militare alla Siria, si oppone con decisione definendo “senza fondamento" le dichiarazioni dei Paesi occidentali e del segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, sulla possibile adozione di una risoluzione delle Nazioni Unite in base al capitolo VII della Carta Onu, che prevede l'uso della forza in Siria.
Che l’ipotesi di un intervento non sia del tutto tramontata lo conferma anche la decisione di Pechino di inviare un gruppo navale nelle acque siriane al fianco della flotta russa. Una manovra che ha finalità soprattutto politiche mettendo in luce la determinazione di Pechino e Mosca a non abbandonare il regime siriano. Dal mondo arabo e soprattutto da Ankara e Riad si moltiplicano le pressioni e le provocazioni tese a innescare una spirale bellica come ad esempio l’abbattimento di un elicottero siriano il 16 settembre da parte di un caccia F-16 turco lungo la frontiera tra i due Paesi. La lunga e complessa fase di disarmo chimico sarà probabilmente costellata di provocazioni con cui i ribelli e i loro alleati regionali cercheranno di dar fuoco alle polveri contando anche sul fatto che il categorico responso del rapporto dell’Onu potrebbe elevare il per ora risicato margine di consenso di cui gode l’ipotesi di intervento militare contro Assad presso l’opinione pubblica occidentale.
Il numero uno del Pentagono, Chuck Hagel, ha infatti sottolineato che gli Stati Uniti manterranno la minaccia della forza contro la Siria nell'eventualità che il regime non mantenga l'impegno di dismettere il controllo delle sue armi chimiche: «Dovremo mantenere questa opzione militare esattamente dove si trova. Abbiamo assicurato al presidente che la dimensione e la posizione delle nostre forze rimangono le stesse. Siamo pronti a esercitare qualunque opzione egli scelga», ha spiegato Hagel. Toni bellicosi anche dalla Nato con il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen, favorevole a mantenere aperta «la minaccia di un'azione militare contro la Siria per convincere Damasco a consegnare le armi chimiche». Se Barack Obama e François Hollande potranno contare su un maggior supporto interno al loro interventismo, russi, cinesi e iraniani dovranno mettere in campo tutta la loro deterrenza per difendere Damasco.