L'EDITORIALE
Siria e Libia, vergogna d'Europa
I massacri che stanno avvenendo in Siria e l'andamento della guerra in Libia dimostrano che i leader europei tutto perseguono fuorché la tutela dei civili e il bene dei popoli.
Editoriali
01_08_2011
Le tragiche notizie provenienti dalla Siria unite alla sconcertante situazione di stallo in Libia dovrebbero spingere i responsabili della politica estera europea, come minimo, a pubbliche scuse per aver raggirato l’opinione pubblica e per aver fatto perdere qualsiasi credibilità alla diplomazia dei paesi dell’Unione Europea.
Quattro mesi fa infatti sono iniziati i bombardamenti sulla Libia, decisi in quattro e quattr’otto dopo che, sull’onda di altre rivolte in Nordafrica e Medio Oriente, anche nella Cirenaica ci furono cenni di rivolta contro il colonnello Gheddafi. Una rivolta che fin dall’inizio apparve come un regolamento di conti fra tribù, niente a che fare con le manifestazioni per la democrazia di altre piazze arabe. Ma l’Occidente, trascinato dalla Francia e a ruota dal Regno Unito, decise di dare subito grande risalto a queste manifestazioni, esagerando palesemente – con l’aiuto dei media, anche cattolici - la ferocia della repressione di Gheddafi, nella peggiore delle ipotesi non diversa da quella che altri regimi avevano già attuato (vedi Egitto) o stavano attuando (vedi Yemen, Bahrein) nel disperato tentativo di salvarsi. Fu invocato perciò il diritto umanitario per giustificare una risoluzione dell’Onu che, in nome della protezione dei civili, formalmente legittimava un intervento aereo internazionale per impedire che si alzasse in volo l’aviazione di Gheddafi; in realtà serviva da copertura per perseguire il vero obiettivo: eliminare Gheddafi e installare al suo posto un nuovo governo, più incline a soddisfare gli interessi dei paesi europei promotori dell’intervento.
Senonché pochi giorni dopo, siamo in marzo, anche in Siria cominciò una rivolta che il presidente Bashar al-Assad si preoccupò immediatamente di reprimere nel sangue. Condanne imbarazzate quanto timide da parte delle cancellerie occidentali, che si arrampicarono sugli specchi per giustificare un così diverso atteggiamento davanti a situazioni analoghe. La “lungimirante” strategia europea fu in questo caso “Speriamo che finisca presto”, ovvero la speranza che Assad chiudesse in fretta la questione togliendo tutti dall’imbarazzo. Un grosso aiuto in realtà è venuto anche dai media nostrani, compresi quelli cattolici, che hanno fatto da grancassa alla propaganda ufficiale spiegandoci perché Gheddafi andava assolutamente eliminato mentre per la Siria “auspichiamo il dialogo”.
A distanza di quattro mesi tutte le foglie di fico sono ormai cadute e la realtà appare per quella che è. In Libia la Nato – che ha preso in mano le redini dell’operazione – dopo migliaia di bombardamenti su Tripoli che hanno creato ai civili molti più danni di quelli che si volevano evitare, sta praticamente alzando bandiera bianca: Gheddafi è ancora lì; i ribelli, malgrado la generosa fornitura di armi e consiglieri militari da parte dell’Europa, il riconoscimento ufficiale del loro governo e l’afflusso di milioni di euro per sostenerlo, sono rimasti quell’armata Brancaleone che erano all’inizio e l’uccisione nei giorni scorsi del loro comandante militare offre un impietoso spettacolo di impotenza. In Siria invece, dopo fasi alterne, la repressione del regime di Damasco è scattata in tutta la sua violenza. Soltanto ieri a Hama, la città simbolo della rivolta, i militari hanno cannoneggiato sulla folla con un bilancio che parla di almeno cento morti. Ma dimostrazioni, incidenti e arresti di massa sono riportati in molte altre città. I bilanci ufficiali dicono che da marzo ci sono già stati 1.500 morti, 12mila arresti e 3mila altre persone di cui non si sa più nulla.
L'ambasciata americana a Damasco parla di un governo che ha "ingaggiato una guerra contro i propri cittadini". Curioso, proprio la stessa espressione che fu usata per giustificare l'attacco contro Tripoli, ma in questo caso non si va oltre la condanna verbale e le già approvate sanzioni simboliche contro Damasco.
E il nostro ministro degli Esteri Frattini auspica che si possa giungere ad “una soluzione della crisi, che deve essere trovata attraverso l'attuazione delle riforme da parte del governo e tramite l'avvio di un dialogo inclusivo con l'opposizione”. Lo stesso dialogo che è invece sempre stato escluso nel caso di Gheddafi, il quale si è invece meritato l’incriminazione da parte del Tribunale penale dell’Aja per crimini contro l’umanità.
Noi non siamo certo qui a invocare un intervento armato contro la Siria, tanto è vero che fin dal primo momento siamo stati fermamente contrari anche a quello in Libia. Non per simpatia verso i tiranni, ma perché l’intervento militare è sempre l’ultima risorsa per risolvere un problema e comunque, nell’ottica di tutelare la popolazione civile e garantire le possibilità di sviluppo umano a un popolo, bisogna considerare tutti i fattori in gioco. Cosa che non è stata fatta per la Libia.
Ma quello che è assolutamente inaccettabile e riprovevole è giocare con i princìpi umanitari, investirsi di una missione umanitaria, prendere a pretesto le sofferenze dei civili per attuare disegni e realizzare interessi - economici, energetici, geopolitici - che con il bene delle persone coinvolte non hanno niente a che vedere. Anzi, per dirla proprio tutta, gli avvenimenti di questi quattro mesi dimostrano che dei civili – libici, siriani o altro – non è mai fregato niente a nessuno. Non solo, nel perseguire i propri interessi nazionali – economici e strategici – i leader occidentali si sono pure dimostrati incompetenti e pasticcioni, come l'esito della guerra in Libia dimostra clamorosamente.
Ce ne sarebbe abbastanza per dimissioni di massa.