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MEDIO ORIENTE

Siria, bombardamenti russi e ambigue proteste Nato

I russi hanno iniziato a bombardare aree della Siria in cui l'Isis è assente, colpendo però altri gruppi jihadisti, fra cui Al Nusrah (qaedisti). La Nato protesta, a partire dal segretario della Difesa degli Usa Ashton Carter. Protestano per difendere chi? Al Qaeda in Siria?

Esteri 02_10_2015
Russi in azione

Gli attacchi aerei russi contro le postazioni jihadiste in Siria stanno avendo per ora un impatto più politico che militare. Certo il dispositivo militare messo in campo in breve tempo da Mosca comprende tre dozzine di aerei da combattimento Sukhoi (pare siano arrivati anche i cacciabombardieri Su-34) e una ventina di elicotteri, in parte da attacco Mi-24, sufficienti a garantire continuità ad un’operazione ad ampio respiro che potrebbe estendersi all’Iraq, con l’impiego di cisterne volanti, se Baghdad lo richiedesse. Ipotesi non impossibile dal momento che il governo iracheno spesso lamenta il ridotto numero di raid effettuati dai jet americani e della Coalizione. Inoltre l’Iran, grande sponsor di Baghdad e Damasco e alleato di Mosca, potrebbe esortare il governo iracheno a chiedere il coinvolgimento russo nelle operazioni contro lo Stato Islamico.

Di fatto, quindi, quella che è apparsa nel conflitto mediorientale non è un’estensione della Coalizione esistente, ma “un’altra Coalizione” composta dai Paesi sciiti e dai russi che hanno costituito il centro di coordinamento a Baghdad e a cui gli statunitensi, pur invitati, hanno deciso di non partecipare, forse per non irritare Turchia e monarchie saudite del Golfo che appoggiano i gruppi jihadisti siriani e non hanno mai, di fatto, combattuto l’Isis.

Al di là dei risultati bellici conseguiti finora l’intervento di Mosca non solo rilancia il ruolo russo di grande potenza, salvando il regime di Bashar Assad, ma ridicolizza la Coalizione arabo-occidentale che in un anno non è riuscita neppure a impedire al Califfato di estendere le aree sotto il suo controllo. Lo sbarco in forze a Tartus e Latakya degli uomini e dei mezzi di Putin sana la frattura creatasi con l’estromissione della Siria e dell’Iran da una Coalizione così ambigua da non riuscire neppure a chiarire chi siano davvero i suoi nemici: i turchi bombardano i curdi invece dell’Isis, gli arabi sono più impegnati ad appoggiare i ribelli siriani che a far la guerra al Califfato e gli europei ricoprono come sempre un ruolo a dir poco marginale.

Ma la differenza tra le due coalizioni non è solo che quella guidata dai russi promette di essere più incisiva dell’altra contro lo Stato Islamico. La differenza sta soprattutto nella certezza che russi e sciiti non si limiteranno a combattere le armate del Califfo ma, come è già emerso chiaramente dai primi 28 raid aerei, concentrerà le sue azoni belliche anche contro i gruppi jihadisti della ribellione siriana, cioè contro quell’Esercito della Conquista composto da salafiti, fratelli musulmani e dai qaedisti del Fronte al Nusra che gode del supporto di sauditi, turchi e Qatar. “Esiste una lista dei gruppi estremisti in Siria che Mosca intende colpire nei suoi raid aerei” ha detto il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, aggiungendo che "gli obiettivi sono stati determinati in coordinamento con le forze armate siriane. L'aeronautica russa sta fornendo sostegno alle forze siriane che combattono contro l'Isis e altri gruppi terroristici ed estremisti", ha osservato Peskov rispondendo alla domanda se Mosca classifica alcuni movimenti di opposizione siriana come "terroristi".

Questo significa che il Cremlino conferma la sua coerenza nella lotta a tutti i movimenti jihadisti, una coerenza che invece sembra difettare ad arabi e occidentali. Non c’è dubbio che nelle aree colpite dai jet di Mosca (Homs, Idlib, Latakya e Hama) la presenza dell’Isis è limitata o inesistente mentre sono le milizie di al-Qaeda a farla da padrone e a minacciare le forze governative di Assad. Le proteste di Washington e dei franco-britannici per i raid russi, colpevoli di non aver colpito l’Isis ma di aver aiutato Assad, sono imbarazzanti perché evidenziano l’ambiguità di Washington nella guerra ai terroristi islamici e confermano il servilismo delle potenze europee nei confronti delle monarchie petrolifere del Golfo.

Il segretario alla Difesa, Ashton Carter, ha accusato Mosca di “gettare benzina sul fuoco” bollando l’intervento militare russo come una vera e propria “aggressione”. Paradossale che una reazione così stizzita ai raid su forze di al-Qaeda giunga dal capo di quel Pentagono che 14 anni or sono venne colpito come le Torri Gemelle proprio da al-Qaeda. Tra l’altro le milizie di al-Nusra dovrebbero essere anche nel mirino degli Stati Uniti dopo che nelle scorse settimane hanno sconfitto e inglobato i miliziani delle Forze della Nuova Siria, i ribelli “moderati” addestrati e armati dai consiglieri militari americani in Turchia. Anche il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha espresso “preoccupazione per le notizie secondo le quali i raid della Russia in Siria non abbiano come obiettivo l’Isis” ma il fatto che Washington e la NATO si rammarichino o considerino negative le bombe russe lanciate sui qaedisti la dice lunga sull’affidabilità di alleanze contro i jihadisti guidate dall’America e dall’Occidente confermando indirettamente perché Mosca ha deciso di scendere in campo con una nuova coalizione.

Il Cremlino ha ribadito che la sua presenza militare in Siria è temporanea, ma non ha posto scadenze e del resto il rafforzamento di basi e infrastrutture lascia presagire un impegno prolungato che potrebbe coinvolgere le forze terrestri (un battaglione di fanti di Marina con blindati BTR 82 e carri armati T-90) già schierati a Latakya. Il dispositivo militare russo comprende anche sistemi missilistici di difesa aerea che destano sospetti negli ambienti occidentali poiché né l’Isis né gli altri ribelli siriani dispongono di forze aeree. “Non ho visto volare aerei dell’Isis. Perché la Russia installa in Siria missili antiaerei Sa15 o Sa22?” ha chiesto polemicamente il comandante supremo delle forze Nato in Europa, il generale statunitense Philip Breedlove.

Naturale che per far fronte a ogni eventualità, basi militari in zona di guerra dispongano di difese contraeree, ma in questo caso è impossibile non mettere in relazione le batterie russe (che forse includono gli antimissile S-300 a lungo raggio) con le tensioni aperte con Usa e alcuni Paesi europei già manifeste circa la crisi ucraina. Certo al momento è improbabile pensare a una battaglia tra i jet russi e quelli della Coalizione ma nulla può essere escluso in una guerra che vede tantissimi protagonisti muoversi liberamente sul campo di battaglia per colpire nemici diversi da quelli dichiarati.