Sinodo, la Cei cambia volto pure allo Spirito Santo
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Alla base del Documento finale Cei del Sinodo c’è una singolare visione dello Spirito Santo: si esprimerebbe nelle sfide che le novità lanciano alla Chiesa, sempre in ritardo rispetto a quanto lo Spirito ci suggerisce nella storia.

L’attenzione dei fedeli a come procede il cammino sinodale non è diminuita con il pontificato di Leone XIV, anzi si può dire che sia aumentata. Molti si erano chiesti se ci sarebbero state delle novità, dei cambiamenti di rotta o delle correzioni tramite una migliore modulazione di cosa sia questo cammino e quali siano i fini a cui deve tendere. I responsabili del cammino sinodale nominati da Francesco sono ancora al loro posto, il processo ha già fatto una lunga strada, i sinodi continentali e nazionali erano già stati programmati ed è stata già prodotta una valanga di documenti metodologici, collegati tra loro appunto in un processo consequenziale, sicché sarebbe stato difficile rallentare o semplicemente precisare. Si può dire, quindi, che il processo sia continuato così come era stato originariamente pensato, con tutte le molte gravi questioni aperte che aveva suscitato.
Proprio questo si può dire anche del Documento di sintesi dal titolo “Lievito di Pace e di Speranza” predisposto per la nuova fase del sinodo della Chiesa italiana che verrà votato dalla Terza assemblea sinodale il 25 ottobre prossimo. La Bussola si è già interessata a questo documento, evidenziando un punto che suscita sconcerto: l’apertura all’omosessualità e al transgenderismo. Oltre ad analizzare aspetti particolari come questo, sembra interessante ed utile chiedersi se la ratio del processo sinodale sia rimasta la stessa o sia cambiata. Il punto fondamentale, infatti, è la forma che la nuova sinodalità assume e dalla quale dipendono poi le scelte particolari. Queste scelte possono essere assunte anche in tempi diversi, in base all’evolversi delle situazioni, ma si può essere certi fin d’ora che esse saranno in linea con la logica che guida il processo, è quindi su questo che vale la pensa spendersi. Questa logica è tuttora presente anche nel Documento in oggetto?
La nuova sinodalità e l’intero processo in corso sembra essere caratterizzato da una precomprensione di tipo storicistico. Qualcuno lo ha anche chiamato “hegeliano”. Sono molti gli indizi che guidano a questa considerazione. Innanzitutto, la definizione della sinodalità come un processo storico, esperienziale, esistenziale. Sono scarse le definizioni dell’essenza della nuova sinodalità, sono invece moltissime quelle circa la sua dimensione storica e procedurale. Il processo sinodale viene inteso come un continuo confronto partecipativo tra tutti i soggetti ecclesiali condotto in modo dialettico e questo farebbe maturare l’autocoscienza della Chiesa. La sinodalità consisterebbe nel discutere e decidere insieme, lasciandosi attrarre dalle novità che il vento dello Spirito semina nella storia. La storia provoca la Chiesa e questa deve superare le resistenze negative, l’immobilismo e le mancanze di coraggio per aprirsi ad una sintesi nuova, aderendo alle esigenze della storia. Questo percorso è per sua natura dialettico, perché passa dalla negazione e il suo superamento per giungere alla novità dell’aggiornamento attuato dalla Chiesa in uscita. Tanto è vero che tutti i documenti, compreso questo ultimo della Chiesa italiana, invitano a non avere paura del nuovo né dei conflitti, perché ogni tensione è utile al processo.
Alla base del Documento finale c’è una singolare visione dello Spirito Santo (chiamato spesso hegelianamente con il solo termine di Spirito). Lo Spirito si esprimerebbe negli eventi storici e nelle sfide che le novità lanciano alla Chiesa, la quale sarebbe sempre in ritardo rispetto a quanto lo Spirito ci suggerisce tramite gli accadimenti della storia. L’adesione alla chiamata dello Spirito rischia così di ridursi ad accettare il nuovo per il nuovo e di prendere i criteri per il giudizio sinodale non dalla dottrina e dalla tradizione ma dalle provocazioni effettuali degli eventi esistenziali. Quando a guidare il processo è il processo, è logico che i criteri nascano dal processo stesso, dalla realtà effettuale, dal sentire comunemente diffuso, dalla mentalità prevalente e condivisa. In una parola: dall’esistente.
Ci sono i fatti sociali e culturali nuovi, questi vengono assunti come provocazione dello Spirito a procedere senza paura in avanti, nasce la tensione dialettica con la dottrina che si risolve in un aggiornamento della dottrina per sintonizzarla con quanto lo Spirito dice alle Chiese. La “conversione alla sinodalità” appare nella sostanza come una conversione al nuovo e al diverso. Alla Chiesa viene chiesto di “rinunciare alla pretesa di mettersi al centro” e aprirsi invece “all’accoglienza di altre prospettive”. Il fattuale e il diverso sono visti come utili molle dialettiche verso le esigenze dello Spirito.
Questo schema operativo è evidente per il tema dell’omosessualità o del gender, come accennato nell’articolo visto sopra, ma anche per la democrazia (n. 26), l’ambientalismo, la posizione della donna nella Chiesa (n. 71), l’assemblearismo. Il Documento finale sostiene che la Chiesa deve proteggere la democrazia liberale (n. 26), invita a trasformare le parrocchie in Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (CERS) (n. 25), pone il tema della partecipazione non solo consultiva ma anche deliberativa dei laici, postula una revisione del diritto canonico in funzione di “nuovi carismi” resi necessari dalle nuove situazioni storiche, invita le diocesi a tenere regolarmente la loro assemblea (n. 69/g).
Tutti questi problemi vengono affrontati in questo Documento con lo stile storicistico visto sopra: si tratterebbe di esigenze del mondo animato dallo Spirito che provocano la Chiesa chiedendole di aggiornare il proprio modo di pensare e agire. Si tratta di questioni che rimangono strutturalmente aperte perché impostate storicisticamente: ciò che oggi solo si adombra in documenti di questo tipo potrà essere affermato domani, quando “i tempi” lo permetteranno. L’assemblearismo, per esempio, è potenzialmente destinato a disarticolare la struttura della Chiesa, basta aspettare il tempo necessario. Sarà la prassi assembleare a radicare in futuro l’assemblearismo che per ora è solo accennato. Quando ogni diocesi e ogni parrocchia terrà regolarmente la propria assemblea la concezione dell’essere Chiesa sarà cambiata… per prassi.