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LA POLEMICA

Sinistra razzista, la foto della staffetta dice il contrario

La foto delle quattro atlete italiane vincitrici dei Giochi del Mediterraneo strumentalizzata da intellò e radical chic per fini politici. In realtà sono tutte e quattro espressione di un'integrazione riuscita. Perché anzitutto libera, legale e controllata. 

Editoriali 03_07_2018
La foto delle 4 staffette diffusa dalla federazione

L’isterismo sinistro delle laureboldrini e dei robertosaviano che hanno alzato il vessillo patriottico soltanto di fronte a 4 atlete italiane nere è la ciliegina del razzismo à la carte mascherato dal falso buonismo della Sinistra al caviale. Hanno vinto la staffetta 4 x 400 ai Giochi del Mediterraneo di Tarragona, in Spagna. Fossero state bianche e tutte di origine italiana nessuno se le sarebbe filate. Invece l’Italia intera, quella del mito del meticciato a tutti i costi le sta celebrando non in quanto atlete ma in quanto nere. Se non è razzismo questo, allora come bisogna chiamarlo?

Per tutta la giornata di ieri non si è parlato d’altro. La foto delle quattro ragazze che sventolano il Tricolore in pose da Charlie’s Angels è diventata il solo argomento politico degno di nota. E questo, in un Paese come il nostro che non è nuovo a sorprese di questo tipo e vive di problemi enormi, dovrebbe portare il termometro sulla tragedia. Ma questo passa il convento: basta un tweet del Saviano di turno che accusa il mostro Salvini e tutti come pecoroni ci andiamo dietro.

Ora, succede che la vittoria di Maria Benedicta Chigbolu, Ayomide Folorunso, Raphaela Lukudo e Libania Grenot ai Giochi del Mediterraneo abbia creato un caso. Essendo tutte nere di pelle e rappresentando l’Italia in quanto italiane a tutti gli effetti, sono state elevate a simbolo dell’Italia che reagisce alle brutture di Pontida e a quei cattivoni dei leghisti che vogliono far morire i poveri migranti in mare. Che brutto modo di festeggiare quattro belle e brave ragazze. E che brutto modo per strumentalizzarne i notevoli sacrifici.

Anche perché, se proprio vogliamo essere pignoli, quelle ragazze dimostrano sì che il colore della pelle non conta, e ci mancherebbe, ma anche che loro sono il simbolo di un’integrazione riuscita perché regolare e controllata. In poche parole: la foto delle Charlie’s angels di casa nostra rappresenta proprio l’esatto contrario di quello che si vuole far credere.

Nessuna infatti di queste ragazze è arrivata in Italia a bordo di un barcone di una ong che le ha caricate in acque internazionali da un gommone mafiocriminale africano. Nessuna storia di schiavismo da tratta come invece capita a tante loro connazionali, ma una storia di emigrazione sana. Probabilmente sofferta, ma sana, fiorita in un Paese come l’Italia che dà davvero una possibilità a tutti.

Basta leggere per sommi capi la loro storia di integrazione per capire che non siamo di fronte a immigrati clandestini e finalmente riscattati con sudore della fronte, ma a qualche cosa di diverso che non piacerà ai vari robertosaviano che oggi pontificano.

Andiamo con ordine. Libania Grenot è italiana dal 2008 per via matrimoniale, era già una forte atleta a Cuba, poi si è sposata con un nostro connazionale e in virtù di questo oggi può sventolare il tricolore. Tra l’altro, è figlia di un sindacalista cubano e di una giornalista. Difficile dunque immaginarla alle prese con gommoni e scafisti.

Maria Benedicta Chigbolu ha padre nigeriano e madre italiana, dunque è italiana per ius sanguinis ed è nata a Roma. L’atletica ce l’ha nel sangue: il nonno infatti era un saltatore in alto nigeriano, arrivò secondo alle Olimpiadi di Melbourne ed è stato pure presidente della Federatletica della Nigeria. Improbabile dunque che il padre abbia avuto a che fare con le estenuanti pratiche di ricorsi e controappelli per ottenere la cittadinanza – pagati da noi - come invece capita al 93% dei richiedenti asilo attuali che vengono respinti. Per giunta: il padre di Benedicta, Augustine, su Wikipedia figura come consulente internazionale, incarico che non si addice alle simpatie del poeraccismo de sinistra.

Raphaela Boaheng Lukudo è nata ad Aversa e dal 1996 vive a Modena. Immaginiamo che se è nata qui negli anni ’90, difficilmente il padre era un clandestino a piede libero sul territorio italiano. Dal suo italiano perfetto, molto emiliano si intuisce che la ragazza era integrata alla perfezione da sempre. Del suo Paese, il Sudan, non ha alcun ricordo. Ha vissuto tra Caserta, Reggio Emilia, Modena e quando a 16 anni si è dovuta trasferire con la famiglia a Londra i giornali locali piangevano la sua dipartita. Finché non è tornata da sola in Italia dove la sua carriera è esplosa.

Infine, a chiudere la carrellata Ayomide Temilade Folorunso: è giunta bambina da genitori nigeriani regolari. Il padre Emmanuel infatti è geologo minerario che dalla Nigeria sud-occidentale venne ad abitare a Fidenza, provincia ricca e generosa emiliana. Al compimento dei 18 anni ha ottenuto il passaporto italiano, ma questo non le aveva impedito di avere già da adolescente un palmares di medaglie e trofei da far impallidire un enfant prodige. Curiosità: Ayomide vorrebbe diventare medico pediatra, ma studia anche le Sacre Scritture, interesse che le deriva dalla sua fede pentecostale, segno ancora una volta che la dottrina Biffi sull’integrazione dei cristiani coi cristiani è sicuramente più facile.

La legge italiana sulla cittadinanza con queste quattro atlete ha funzionato benissimo. Il problema infatti non è razziale, né del colore della pelle. Ma è la presenza legale e regolare sul territorio italiano. Sono, se vogliamo fare un parallello, le “Tony Iwobi” dell’atletica italiana. Per la Sinistra al caviale, il colore è diventato invece la discriminante per giudicare il valore di una persona. “Sono nere, quindi vanno sostenute”. Poco o niente importa la loro storia personale.

Non c’è niente da fare: la Sinistra passa con nonchalance dal rosso al nero all’arcobaleno come colori preferiti, ma razzista è e razzista rimane.