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IL RITORNO

Silvia-Aisha: l'Italia perde, vincono Turchia e jihadisti

La gestione del nostro governo della liberazione e del rimpatrio di Silvia Romano, per 18 mesi nelle mani delle milizie jihadiste di al-Shabab, ha significato il riconoscimento del primato turco anche in Somalia, nostra ex colonia. Ma soprattutto l'arrivo trionfale in diretta tv a Ciampino è stato un indecoroso spot per i gruppi qaedisti; un successo regalato dal governo italiano a terroristi nemici anche dell’Italia, che più volte hanno attaccato i nostri soldati.
- PAGARE IL RISCATTO AI TERRORISTI È IMMORALE, di Tommaso Scandroglio
- SONO MILLE ANNI CHE GLI ISLAMICI RAPISCONO I CRISTIANI, di Graziano Motta

Politica 12_05_2020

Silvia Romano è tornata a casa dopo un anno e mezzo di prigionia nelle mani dei qaedisti somali di al-Shabab ma la gestione mediatica di questa operazione va tutta a vantaggio della Turchia e dei terroristi islamici qaedisti di al-Shabab grazie al dilettantismo del governo italiano.

Molte le polemiche scoppiate in seguito all’arrivo a Ciampino della giovane italiana, alcune importanti, altre pretestuose, altre ancora imbarazzanti.
Tra queste ultime, la lite a colpi di dichiarazioni anonime tra Palazzo Chigi e la Farnesina con il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, che recrimina di non essere stato informato dal premier che Silvia Romano era libera e in mano ai nostri servizi segreti.
Il dibattito circa il riscatto pagato non è certo nuovo ma rientra nella tradizione di un’Italia che non ha mai avito il coraggio di ricorrere a blitz delle forze speciali per recuperare i suoi connazionali caduti nelle mani dei jihadisti.

Al di là della cifra pagata, vale la pena ricordare che tutti pagano per liberare propri connazionali, negando pubblicamente di averlo fatto.
Hanno pagato anche quegli Stati che sostengono ad alta voce che “non si tratta coi terroristi” e che spesso hanno impiegato le maniere forti per tentare di liberare i propri ostaggi, come Stati Uniti e Gran Bretagna.
Nel 2014 l’Amministrazione Obama accettò di liberare 5 importanti esponenti talebani detenuti a Guantanamo per liberare Bowe Bergdahl, militare catturato dai jihadisti in Afghanistan.

Che il riscatto venga corrisposto in denaro o con la liberazione di prigionieri poco cambia: i terroristi liberati tornano a colpire così come il denaro dei riscatti viene impiegato per compiere altre azioni terroristiche e insurrezionali.
Nel caso degli Shabab somali anche per ammazzare italiani, come hanno tentato più volte di fare colpendo i militari della missione europea EUTM Somalia (220 soldati per metà italiani). L’ultima volta ci hanno provato con un’autobomba il 30 settembre 2019, per fortuna senza successo. 

Qualcuno ha sollevato critiche all’Operazione che ha portato alla liberazione dell’ostaggio a causa della stretta cooperazione con i servizi segreti turchi.
Certo, l’Italia paga in Somalia come in Libia di aver trascurato di mantenere l’influenza di un tempo sulle sue ex colonie, da anni “terra di conquista” per l’asse Turchia-Qatar.
Ankara ha oggi in Somalia un peso decisamente superiore a quello italiano: ha costruito il nuovo porto e aeroporto e ha provveduto a illuminare Mogadiscio, oltre a costruire una base militare alla periferia nord della capitale.

Dall’immagine diffusa dall’agenzia di stampa turca Anadolu, che ritrae la giovane italiana dentro un veicolo con addosso un giubbotto antiproiettile delle forze armate turche, si può ipotizzare che siano stati i servizi di Ankara a prenderla in consegna dagli Shabab per poi portarla ai colleghi italiani.
In ogni caso in missioni come questa conta solo raggiungere l’obiettivo e se in Somalia l’intelligence turca ha la rete necessaria a far liberare un ostaggio italiano è giusto e necessario chiedere il loro supporto, anche se desta non poche perplessità il fatto che i servizi segreti di Ankara abbiano voluto subito far sapere quanto importante sia stato il loro ruolo nell’operazione. Un’esibizione che poco ha a che fare con la tradizionale riservatezza dell’intelligence.

Invece la conversione di Silvia Romano all’islam "per libera scelta" assume un valore politico e strategico. Convivere 18 mesi con i jihadisti somali, specie per una giovane donna “infedele”, comporta necessità di adattamento all’ambiente difficilmente immaginabili da chi non ha vissuto esperienze simili. Al di là delle molte ipotesi che si possono fare la scelta religiosa appartiene strettamente alla sfera personale ma in questo caso ha avuto un rilevante impatto mediatico.

L’aspetto su cui le polemiche sono doverose riguarda infatti lo show televisivo del rimpatrio di Silvia Romano. Le immagini dell’italiana che scende dall’aereo col capo islamicamente coperto, indossando un vestito somalo da donna musulmana, accompagnate dalle dichiarazioni circa la sua libera conversione all’islam rappresentano un successo propagandistico per al-Shabab, per al-Qaeda e per tutta la galassia jihadista e dell’estremismo islamico.
Un successo regalato dal governo italiano a terroristi nemici anche dell’Italia. Queste immagini verranno utilizzate dalla propaganda jihadista per dimostrare al mondo islamico la loro superiorità ideologica e religiosa presentando una giovane “infedele” che, dopo essere stata rapita, afferma di essere stata trattata bene e di avere aderito spontaneamente all’islam.

Aspetti che riguardano la propaganda di guerra che non dovrebbero suonare nuovi dopo 20 anni di guerra ai jihadisti. Basti pensare che i paesi anglosassoni da tempo non diffondono immagi del ritorno a casa degli ostaggi liberati e persino dei funerali dei propri caduti militari per non far circolare immagini preziose per la propaganda e le operazioni psicologiche del nemico.

Domenica a Ciampino Giuseppe Conte e Luigi Di Maio hanno vanificato due decenni di studi e analisi sull’efficacia della propaganda di al-Qaeda e dello Stato Islamico. Mentre in Italia scoppia la polemica tra Palazzo Chigi e la Farnesina, nessuno sembra preoccuparsi del disastroso autogol commesso nei confronti dei jihadisti. 
Il rientro di Silvia Romano, specie in quel contesto e con la simbologia che il suo abbigliamento rappresentava, doveva essere gestito senza immagini, in forma riservata e con i soli famigliari, oppure con la presenza del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri ma senza dichiarazioni ai media e riprese televisive.
La ricerca spasmodica di una photo-opportunity, di qualche minuto sui tg della sera o di qualche “like” in più sui social rischia di produrre danni gravissimi alla credibilità e alla sicurezza nazionale.