Si sfalda il partito filocinese, torna l'atlantismo
Il G7 in Cornovaglia rilancia l’asse atlantico in funzione anti-cinese. Grillo non l’ha presa bene e rema contro incontrando l’ambasciatore cinese in Italia e pubblicando sul blog un intervento anti-Nato. Il riposizionamento dell’Italia sullo scacchiere in un’ottica atlantista è destinato a rimescolare le carte.
Verrebbe da definirla la caduta degli dei. Nel Movimento Cinque Stelle, dopo la rottura con Davide Casaleggio, figlio di cotanto padre, quel Gianroberto fondatore dei pentastellati, ora si percepiscono con crescente imbarazzo anche le esternazioni del Garante dei grillini, Beppe Grillo.
Il G7 in Cornovaglia sembra aver rilanciato l’unità dell’Occidente e rinvigorito l’asse atlantico in funzione anti-cinese. L’ex comico, probabilmente, non l’ha presa bene e ha deciso di remare contro, provando a scompaginare i piani del Governo italiano. In che modo? Incontrando venerdì scorso l’ambasciatore cinese in Italia, Beppe Grillo ha di fatto preso le distanze dalle scelte di Draghi e ha creato tensioni nell’area giallorossa. Il Ministro degli esteri, Luigi Di Maio, messo fin da subito in riga dal premier Mario Draghi su europeismo e atlantismo, si è affrettato a precisare che l’iniziativa di Grillo è puramente personale e non coinvolge in alcun modo la linea del Movimento. Giuseppe Conte non ha accompagnato Grillo nella visita all’ambasciata cinese adducendo altri impegni, ma non è ben chiaro se abbia o meno intenzione di smarcarsi del tutto da lui.
Anche perché Grillo non si è fermato a quella visita di cortesia. Ha anche pubblicato sul suo blog un intervento filocinese a firma di Andrea Zhok, docente di filosofia all’Università Statale di Milano. Quello scritto trasuda riserve e scetticismo verso la Nato e contiene critiche tutt’altro che morbide al summit in Cornovaglia. La stroncatura è pesantissima: «Una parata ideologica come non se ne vedevano dalla caduta del muro di Berlino. Il messaggio veicolato dai leader occidentali, capitanati dal mite Biden è che ci siamo noi, l’Occidente, e poi ci sono loro, gli altri, dalla cui aggressività ci dobbiamo difendere e che minacciano i nostri valori. Finchè erano gli Usa ad estendere il proprio potere a colpi di accordi commerciali e flussi di capitale strategici, quella era l’apoteosi del libero commercio. Quando lo fa la Cina, questo è perfido imperialismo economico. Ad averci reso le colonie e i protettorati che siamo non sono né i russi né i cinesi».
A questo punto c’è da chiedersi quale sia la linea ufficiale dei Cinque Stelle su alleanze e collocazione geopolitica dell’Italia. Il particolare non è secondario perché in questa legislatura la pattuglia pentastellata è comunque maggioritaria sia alla Camera che al Senato e dunque in grado di influenzare in modo decisivo gli atti parlamentari. All’epoca del primo governo Conte l’appiattimento sulle posizioni filocinesi era a dir poco imbarazzante, peraltro condito da strafalcioni come quello, memorabile, dell’allora vicepremier, Luigi Di Maio che, nella sua visita di Stato in Cina, nel novembre 2018, aveva più volte storpiato in “Ping” il cognome del Presidente cinese Xi Jinping. Senza dimenticare gli accordi sbandierati ai quattro venti da Giuseppe Conte a proposito della via della seta, nel marzo 2019, e ora sconfessati dallo stesso Di Maio. L’Italia è stata la prima in Europa ad avere firmato entusiasticamente il memorandum Italia-Cina durante il Conte-1 e ora, mentre l’America di Biden cerca il riavvicinamento all’Europa, l’Italia è di fatto vincolata a quegli accordi assai favorevoli all’espansione cinese nel nostro Paese.
Anche nel Pd ci registrano tante prese di distanza dalle parole e dalle scelte di Grillo, visto che anche tra i dem prevale il filo-atlantismo, rilanciato con la segreteria Letta. Tuttavia, le voci filocinesi nella sinistra non mancano. Una in particolare, e anche assai autorevole, soprattutto nel mondo degli affari e della finanza, quella di Massimo D’Alema, che in un’intervista all’emittente New China Tv ha elogiato il comunismo in occasione dei cent’anni della fondazione del Partito comunista cinese e «lo straordinario salto verso la modernità e il progresso» compiuto dalla Cina.
Alle giravolte grilline gli elettori sono ormai abituati. Mai stati europeisti e atlantisti fino alla vittoria alle politiche del 2018, per ragioni di potere sia Conte che Di Maio che il resto dello stato maggiore del Movimento hanno modificato radicalmente le loro posizioni, anche in politica estera, e ora ingoiano di tutto pur di rimanere in sella.
Il loro tallone di Achille si chiama Beppe Grillo, che è financo diventato ingombrante nella progressiva “draghizzazione” di quel che resta dell’esercito pentastellato. Sembrano già lontanissimi i giorni in cui il Garante dei 5 Stelle, per persuadere gli iscritti ad accettare il sostegno grillino all’esecutivo a guida Draghi, si era fatto personalmente sponsor della rivoluzione green del super-ministero della transizione ecologica, accreditando la tesi che il ministro Roberto Cingolani fosse di fede pentastellata, cosa del tutto infondata, come i fatti stanno dimostrando.
L’impressione è che il riposizionamento dell’Italia sullo scacchiere internazionale in un’ottica atlantista sia destinato a rimescolare le carte anche in politica interna, scomponendo gli attuali schieramenti e ricomponendoli su basi completamente nuove. La lontananza delle prossime elezioni politiche (mancano due anni) è un fattore determinante che lascia agli eventi tutto il tempo di agire per realizzare questa radicale trasformazione.