Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

MEDIORIENTE

Shalit è libero, ma è Hamas che ha vinto

Dopo lo scambio tra il soldato isareliano rapito e 1027 prigionieri palestinesi Hamas punta a "tornare
in Egitto" dai suoi Fratelli Musulmani.

Attualità 19_10_2011
Gilad Shalit

 

Gilad Shalit è stato liberato da Hamas. 1027 prigionieri palestinesi sono stati liberati dalle carceri israeliane. Shalit consegnato prima all’Egitto e poi passato agli israeliani. I prigionieri palestinesi passati dalle prigioni israeliane all’Egitto e infine fatti rientrare nei territori. Shalit, dopo sei anni di prigionia, ha dichiarato alla televisione egiziana di essere stato trattato bene. Dall’altra parte viene descritto come il «militare sionista». Per il rientro di Gilad festeggiamenti misti a preoccupazione per la sproporzione nello scambio. A Gaza festeggiamenti in pompa magna con tanto di manifesti recanti uomini dal viso coperto e armati di mitraglia e la scritta: «Non dimenticheremo gli altri prigionieri in carcere e resteremo fedeli al nostro patto con gli eroi». Sebbene alcune dichiarazioni provenienti sia dalla parte egiziana sia da quella palestinese abbiano accennato a un passo verso la pace, credo purtroppo che questa sia ben lontana e, dispiace dirlo, soprattutto dopo la "primavera" araba.

La rivoluzione del Loto in Egitto ha sdoganato il movimento dei Fratelli Musulmani che è considerato il favorito nelle prossime elezioni. Il legame tra la Fratellanza e Hamas, acronimo che significa Movimento di Resistenza Islamico, è chiaro. È sufficiente leggere l’articolo 2 dello statuto di Hamas: «Il Movimento di Resistenza Islamico è una delle succursali dei Fratelli Musulmani in Palestina. […] È caratterizzato dalla profonda comprensione, da nozioni precise, e da una totale padronanza di tutti i concetti islamici in tutti i settori della vita: nelle visioni e nelle credenze, in politica e in economia, nell’educazione e nella società, nel diritto e nella legge, nell’apologetica e nella dottrina, nella comunicazione e nell’arte, nelle cose visibili e in quelle invisibili, e comunque in ogni altra sfera della vita». Il che significa anche che lo scopo finale non può che essere l’instaurazione di uno Stato islamico come d’altronde conferma l’articolo 6: «Il Movimento di Resistenza Islamico è un movimento palestinese unico. Offre la sua lealtà a Dio, deriva dall’islam il suo stile di vita, e si sforza di innalzare la bandiera di Dio su ogni metro quadrato della terra di Palestina. All’ombra dell’islam, è possibile per i seguaci di tutte le religioni coesistere nella sicurezza: sicurezza per le loro vite, le loro proprietà e i loro diritti. È quando l’islam è assente che nasce il disordine, che l’oppressione e la distruzione si scatenano, e che infuriano guerre e battaglie».

All’articolo 7 viene invece confermata la natura antisionista di Hamas e dei Fratelli musulmani: «Il Movimento di Resistenza Islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Dio, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto. Il Profeta - la pace e la benedizione di Dio su di Lui - ha detto: "L’Ultimo Giorno non arriverà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Dio, c’è un ebreo nascosto dietro di me - vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei”». La citazione della tradizione non fa che ammantare di divino la missione finale di distruzione degli ebrei ovvero di Israele. Un altro interrogativo al quale lo statuto di Hamas risponde chiaramente è quello concernente la possibilità di pace con lo stato israeliano. All’articolo 13, in maniera tutt’altro che ambigua, viene esposto quanto segue: «Le iniziative di pace, le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono tutte le credenze del Movimento di Resistenza Islamico. In verità, cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione. Il nazionalismo del Movimento di Resistenza Islamico è parte della sua religione, e insegna ai suoi membri ad aderire alla religione e innalzare la bandiera di Dio sulla loro patria mentre combattono il jihad. […] Ma il Movimento di Resistenza Islamico - che conosce le parti che si presentano alle conferenze e il loro atteggiamento passato e presente rispetto ai veri problemi dei musulmani - non crede che queste conferenze siano capaci di rispondere alle domande, o restaurare i diritti o rendere giustizia agli oppressi. Queste conferenze non sono nulla di più che un mezzo per imporre il potere dei miscredenti sui territori dei musulmani. E quando mai i miscredenti hanno reso giustizia ai credenti? […] Non c’è soluzione per il problema palestinese se non il jihad».

Se ancora ci fosse bisogno di conferme, i comunicati odierni sul sito ufficiale dei Fratelli musulmani parlano di «nemico sionista», «entità sionista», ma mai di Israele, perché pur essendo un sostantivo ricorrente nel testo coranico, lo Stato di Israele non esiste nel vocabolario di Hamas e dei Fratelli musulmani.
Non va dimenticato che sino a pochi mesi fa l’Egitto aveva svolto il ruolo di mediatore nel conflitto arabo-israeliano, purtroppo oggi non solo i Fratelli musulmani, ma chiunque oggi andrà al potere nel paese dei Faraoni non avrà un occhio di riguardo nei confronti di Israele. Resta evidente che i Fratelli musulmani e Hamas, legati a duplice mandata l’uno all’altro, hanno nell’Egitto il punto di riferimento e la base operativa.

L’Egitto ha assistito alla nascita dei Fratelli Musulmani nel 1928, Hamas oggi vorrebbe spostare la propria direzione da Damasco, dove la rivoluzione imperversa, al Cairo. Sarebbe bene quindi non illudersi sul futuro delle relazioni tra Israele e il resto del mondo arabo, in particolare, e islamico, in generale. Uno dei tanti comunicati comparsi oggi sul sito dei Fratelli musulmani egiziani si conclude con queste parole: «La campagna sionista che mira a esaltare il valore del soldato sionista liberato non è vera; perché la tenacia dei prigionieri,  la saggezza e la bravura delle persone che hanno gestito le trattative hanno raggiunto la liberazione di un grande numero di prigionieri e questo corrisponde al conseguimento degli obiettivi della resistenza». D’altronde le dichiarazioni di Mosab Hassan Yousef, figlio di un leader di Hamas convertitosi al cristianesimo, riguardo i rapporti tra Hamas e Israele non lasciano ombra di dubbio: «Non credo sia possibile. È forse pensabile che il fuoco e l’acqua coesistano? Hamas può fare politica per 10, 15 anni; ma se chiedessimo ad un capo di Hamas che cosa pensa che potrà accadere in futuro, se ci potrà essere una convivenza con Israele, la risposta sarà inevitabilmente negativa... a meno che non si voglia andare contro agli insegnamenti del Corano. Si tratta pur sempre del loro libro sacro, non di ideologie che possono semplicemente venire accantonate. Per questo non c’è scelta, non si tratta di Israele o di Hamas: la questione riguarda le loro idee. Non c’è altra scelta».