Sguainare le spade per dire che le donne sono donne
L'8 marzo, giornata internazionale della donna, verrà presentata al parlamento europeo e recapitata a governi e istituzioni internazionali la “Dichiarazione delle Donne del Mondo”. L’iniziativa, sottoscritta da 90 associazioni, nasce dal desiderio di dimostrare che esistono donne che non considerano la maternità un valore desueto.
Quest’anno, l’8 marzo, giornata internazionale della donna, verrà presentata al parlamento europeo e recapitata a governi e istituzioni internazionali la “Dichiarazione delle Donne del Mondo”, un documento redatto da quattro istituti e associazioni europei – Profesionales por la Etica, Femina Europea, Istituto di Studi Superiori sulla Donna e Woman Attitude – al quale hanno aderito 90 associazioni, quasi tutte attive in Europa e in America Latina.
Il documento si articola in 10 dichiarazioni, riguardanti il ruolo economico e sociale delle donne, l’identità femminile e la maternità, e in cinque richieste fondamentali, affinché ruoli e identità femminili, così come il documento li enuncia, si possano pienamente realizzare. L’iniziativa nasce dal desiderio di dare un segnale, dimostrare che esistono donne che non considerano la maternità un valore desueto e che non condividono i principi del femminismo radicale e dell’ideologia del gender: “in questi ultimi anni siamo stati bombardati dall’ideologia del gender, dai principi del femminismo radicale e da rivendicazioni di presunti diritti sessuali e riproduttivi – spiega Leonor Tamayo, presidente di Profesionales por la Etica nel presentare la Dichiarazione – ma quest’anno sarà diverso, perché quest’anno in occasione dell’8 marzo si farà sentire la voce di donne salde nella loro identità e nella loro missione materna. Il mondo ha bisogno, ora più che mai, di donne che agiscano nella pienezza della loro femminilità in ruoli e status complementari a quelli degli uomini”. Per questo è ora di “fare chiarezza su quel che siamo e su quel che vogliamo essere” – conclude Leonor Tamayo, invitando donne e uomini a firmare la dichiarazione per dare un sostegno forte, che consenta di contrastare il femminismo radicale e l’ideologia del gender – è l’ora di un nuovo femminismo e di donne vere”.
Si, c’è bisogno di un nuovo femminismo e di donne vere e sembra proprio giunto il tempo in cui, come scriveva Chesterton, “fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro, spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate” se davvero c’è bisogno di ricordare al mondo certe verità richiamando l’attenzione delle maggiori istituzioni politiche.
Non è tanto il fatto che la maternità abbia un valore, un’utilità sociale ed economica – “rappresenta un investimento per tutta la società”, si legge al punto VII della Dichiarazione – e con essa tutte le attività domestiche e di assistenza ai famigliari – “il lavoro non retribuito e la cura esclusiva o prioritaria della famiglia hanno un valore sociale ed economico”, recita il punto IX – cose che il femminismo storico ha rivendicato con decisione per decenni, chiedendo a sua volta riconoscimento e rispetto per i cosiddetti “lavori di cura” e tutele per chi li svolge. Ciò per cui sembra essere arrivato il tempo di attizzare fuochi e sfoderare spade è invece quel che una volta nessuno avrebbe messo in dubbio, vale a dire, come afferma la Dichiarazione al punto VIII, che “maternità e cura della famiglia non reprimono lo sviluppo personale e intellettuale delle donne, ma, al contrario, ne consolidano la personalità e contribuiscono allo sviluppo della loro identità femminile”: in altre parole, che per una donna essere madre, accudire i propri famigliari, nutrirli, ricreare ogni giorno per loro un ambiente domestico sicuro e confortevole, provvedere ai loro bisogni, assisterli se necessario nella malattia non rappresenta una rinuncia, un intralcio, così come un uomo non vive come una rinuncia né un intralcio destinare gran parte dei propri guadagni ai bisogni e al benessere dei propri famigliari, appagato e fiero di poterlo fare (e viceversa, all’occorrenza, nel caso in cui i ruoli si invertano, anche se più spesso succede che vengano in parte condivisi).
Quanto alle richieste, per le prime quattro che vertono sulla parità tra uomo e donna e sul riconoscimento e la tutela dell’identità femminile, della maternità, del valore del lavoro domestico non retribuito, occorrono, oltre a delle leggi che in parte già esistono, modifiche radicali nell’organizzazione del lavoro, degli spazi urbani e lavorativi, la possibilità di uscire e rientrare nel mercato del lavoro, il che però presuppone una economia dinamica, in crescita, e altri cambiamenti ancora che migliorino la qualità della vita e consentano a tutti, donne e uomini, di dedicare più tempo alla vita famigliare, sociale, comunitaria.
Come muoversi per soddisfare l’ultima richiesta, vietare la maternità surrogata che viola la dignità di donne e bambini, è più chiaro – prima di tutto occorre agire sul piano legislativo – ma non per questo è più semplice e la battaglia è appena iniziata.
Per finire, però, un rilievo: perché mai chiamarla Dichiarazione delle donne del mondo? perché usare espressioni come “quello che noi, le donne del mondo, pensiamo, crediamo, chiediamo”? Si capisce che chi l’ha formulata aspiri a che la sua diventi una dichiarazione universale, ma perché pretendere di essere tutte le donne del mondo e di parlare a loro nome? Al momento è la Dichiarazione delle associazioni e delle persone che l’hanno sottoscritta, ed è già molto.
“Dichiareremo ad alta voce – si legge in una presentazione del documento – che noi, le Donne del Mondo, vogliamo essere donne alle condizioni delle donne, vogliamo essere femminili, vogliamo essere ed amare il nostro essere madri”: un modo di esprimersi che non corrisponde a quello usato nel testo della Dichiarazione, ma che farà inarcare qualche sopracciglio.