Sgravi al Sud, tiene banco la questione settentrionale
Divide lo sgravio, previsto nel Decreto Agosto e pari al 30%, sul lavoro dipendente nel Sud. Diversi big del Pd chiedono un’adeguata decontribuzione anche per il Nord, molto colpito dal Covid. Pure il centrodestra pare diviso. Ma questo esecutivo è ostaggio della mentalità assistenzialistica dei Cinque Stelle
Con l’esplosione della pandemia sono riemerse le differenze territoriali e, per certi versi, si è anche riacceso un certo razzismo tra Nord e Sud, questa volta spinto dai meridionali che sovente vedono i settentrionali come gli untori del Covid-19. Colpa anche di certa informazione terroristica cavalcata da virologi imprudenti, che da mesi minacciano seconde ondate, terapie intensive nuovamente al collasso e genitori meridionali infettati dai figli di rientro dal Nord. La realtà sta quotidianamente sconfessando questi allarmismi, ma intanto anche il Governo non fa nulla per armonizzare le ragioni del Sud e quelle del Nord, anzi lancia benzina sulle rivalità tra aree del Paese.
Alcune settimane fa il sindaco di Milano, Beppe Sala, non senza qualche ragione, aveva rilanciato la proposta di gabbie salariali, sottolineando il fatto che al Sud la vita costa in generale molto meno che al Nord e che, a parità di stipendi, i dipendenti pubblici e privati del Nord risultano danneggiati rispetto a quelli del Sud in termini di potere d’acquisto.
Nel Decreto Agosto, però, c’è l’esatto opposto. Un ulteriore favore alle imprese del Sud, a scapito di quelle del Nord, che peraltro sono state molto più penalizzate dal lockdown, visto e considerato che il virus ha infestato in modo particolarmente grave il Settentrione d’Italia. Uno sgravio contributivo sul lavoro dipendente nel Sud, pari al 30%, sia sui contratti a tempo determinato che su quelli a tempo indeterminato. La misura, nelle intenzioni del Governo, e in particolare del ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, dovrebbe dare ossigeno alle aziende del Mezzogiorno intenzionate ad assumere per poter ripartire dopo il blocco delle attività indotto dalla pandemia.
Ma evidentemente non tutti, nella maggioranza, sono d’accordo. Si levano voci di dissenso soprattutto nelle file del Pd. «È sbagliato innescare una contrapposizione tra Nord e Sud, ma il governo e il Pd non devono dimenticare la questione settentrionale», tuona Maurizio Martina, ex ministro, ex segretario del Pd, bergamasco, che aggiunge: «La fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno nasce da ragioni comprensibili, ma la decontribuzione dovrebbe essere estesa a tutto il territorio nazionale perché sarebbe un errore una competizione sfrenata tra territori».
Un modo elegante per dire che se c’è una storica questione meridionale, è altrettanto innegabile che oggi esiste anche una questione settentrionale e che il Nord dell’Italia rischia di non farcela. Stremato dall’emergenza sanitaria, con perdite mensili di circa 40 miliardi di euro (contro i 10 del Sud), senza un taglio netto del costo del lavoro e una maggiore libertà d’impresa rischia di perdere competitività a livello europeo e internazionale. Stando ad alcune stime attendibili, quattro punti di taglio del costo del lavoro varrebbero dieci miliardi. Che in questo periodo non sono pochi.
Ma l’amara verità è che questo esecutivo è ostaggio della mentalità assistenzialistica del Movimento Cinque Stelle, che è in caduta libera nei sondaggi e che da Roma in su non tocca palla, mentre al Sud è ancora decisivo sul piano dei consensi. La strategia pentastellata di fidelizzazione dell’elettorato mediante il reddito di cittadinanza e le mancette a pioggia consente al Movimento fondato da Beppe Grillo di avere un certo seguito al Sud. Lo stesso premier Giuseppe Conte è pugliese e la gran parte dei ministri proviene dalle regioni meridionali. Visto che la coperta è sempre più corta, a prevalere sono dunque le spinte elettoralistiche di impronta clientelare e meridionalista.
Peccato che i dem siano spaccati sul punto. L’ala nordista - alla quale appartengono i sindaci Beppe Sala, Giorgio Gori, il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, lo stesso Martina e molti parlamentari - teme di lasciare alla Lega il monopolio della difesa delle ragioni delle imprese del Nord, il che potrebbe rivelarsi esiziale, tanto più ora che le difficoltà della giunta lombarda di centrodestra alimentano le speranze della sinistra di conquistare il Pirellone. Perfino l’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, paventa il rischio di una ritirata del Pd da un Nord sempre più dominato dal Carroccio, impegnato peraltro in una campagna acquisti di consiglieri regionali lombardi di Forza Italia pronti a traslocare nel partito di Matteo Salvini.
Anche nel centrodestra si percepisce uno scollamento tra parlamentari del Sud e parlamentari del Nord. Probabilmente i primi, se fossero stati in maggioranza, avrebbero votato a favore di misure di sostegno ai loro territori di provenienza, non foss’altro che per un tornaconto elettorale. I secondi, invece, sono doppiamente in dissenso con le misure governative, che considerano sbagliate e lesive del mondo produttivo e industriale del Nord.
Ora che la Lega di Salvini ha scelto di diventare un partito nazionale, non è escluso che al Nord, sia nell’area di sinistra che in quella di destra, possano nascere formazioni fortemente connotate territorialmente e impegnate nella difesa specifica ed esclusiva degli interessi del Settentrione. Sarebbe la riprova che ormai, più che le ideologie e le appartenenze a partiti e schieramenti, conta la difesa degli interessi particolari dei cittadini e delle imprese. Le specificità territoriali avranno sempre più la meglio sui simboli e le sigle. E questo alimenterà scissioni negli attuali partiti. È solo questione di tempo.