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TORINO

Sgomberato l'Askatasuna, il centro sociale più violento (e impunito)

Attualità 19_12_2025
Sgomberato l'Askatasuna, il centro sociale più violento (e impunito)

Ieri mattina, giovedì 18 dicembre, le forze dell’ordine hanno sgomberato il centro sociale Askatasuna. Famoso quasi quanto il Leoncavallo, ma protagonista di molte più azioni violente negli ultimi anni, era diventato celebre per aver animato le peggiori manifestazioni No Tav, le più radicali manifestazioni pro-Pal, blocchi ferroviari e assalti a sedi di istituzioni, forze dell’ordine e media (fra cui La Stampa di Torino, a fine novembre). «Dallo Stato un segnale chiaro: non ci deve essere spazio per la violenza nel nostro Paese» il commento fiero di Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno. Pronta la risposta dei militanti: «Possono chiudere, sgomberare o arrestarci, ma ci troveranno sempre nelle strade. Sgomberare Askatasuna è la volontà chiara di un governo fascista di contrastare le manifestazioni oceaniche per la Palestina». Per tutta la giornata di ieri si sono registrati scontri fra la polizia e i militanti che volevano rientrare nella sede del centro sociale di Corso Regina Margherita 47. E il tutto è avvenuto perché sei attivisti avevano sbagliato piano.

Lo stabile è occupato dal 1996. Fra il comune, guidato dal sindaco Lo Russo (del PD), e un comitato di garanti del centro sociale Askatasuna ("libertà" in lingua basca), c’era un patto ufficiale di collaborazione. Il 19 marzo era stato prorogato di cinque anni e si sarebbe passati alla fase operativa. Prima la ristrutturazione degli spazi, poi luce verde a eventi «di carattere sociale, culturale, artistico, musicale sportivo ed educativo» per «favorire l’aggregazione e la coesione sociale». E per: «Promuovere i valori dell’antifascismo, dell’antisessismo, dell’antirazzismo, diritti sociali ed ecologia» e «aumentare la percezione di sicurezza». Il patto è saltato perché durante una perquisizione delle forze dell’ordine, sei attivisti sono stati trovati al terzo piano, inagibile come tutto lo stabile. Avevano diritto al piano terra e al cortile, ma non ad alloggiare altrove nello stesso palazzo. Ma perché la polizia è entrata, con carabinieri, vigili del fuoco, guardia di finanza al seguito? Perché era in corso un’indagine su decine di indagati per gli assalti alle Officine Grandi Riparazioni (Ogr) del 2 ottobre, alla sede di Leonardo il 3 ottobre, alla sede de La Stampa il 28 novembre. Perché il centro sociale con cui il comune aveva sinora collaborato anche per «aumentare la percezione di sicurezza» era la maggior minaccia alla sicurezza di Torino e dintorni. Quei tre assalti sono solo tre fra i tanti.

Appena due settimane fa, fra il 6 e il 7 dicembre, una massa di No Tav, fra cui i principali agitatori erano proprio dell’Askatasuna, aveva attaccato il cantiere della Val di Susa. Un primo attacco era stato respinto dalle forze dell’ordine senza troppe difficoltà. Ma la domenica 7 gli antagonisti erano tornati all’assalto, con fuochi d’artificio lanciati ad alzo zero e pietre di 5 chili scagliate con catapulte rudimentali.

In settembre e all’inizio di ottobre, si erano resi protagonisti degli assalti pro-Pal: prima il blocco delle stazioni ferroviarie torinesi, in risposta allo stop della Flotilla di Greta, poi l’attacco alle Ogr, alla Leonardo e, a seguito del decreto di espulsione dell’imam Mohammed Shahin, anche la sede de La Stampa.  

Il 4 aprile, quattro attivisti del centro sociale Askatasuna erano stati fermati per i disordini di gennaio, scoppiati in seguito alla morte di Ramy Elgaml, un ragazzo egiziano morto a Milano durante un inseguimento dei carabinieri. All’inizio di quest’anno, il 9 gennaio, convinti che si trattasse di un omicidio deliberato, gli antagonisti si erano resi protagonisti delle più violente manifestazioni contro la polizia, rompendo le vetrate del Commissariato di Dora Vanchiglia, lanciando oggetti, bombe carta, bottiglie di vetro contro gli agenti, sfasciando auto della polizia, danneggiando la segnaletica stradale (usata come arma impropria sempre contro gli agenti).

Meno di un mese prima, il 13 dicembre 2024, gli antagonisti avevano dato l’assalto al Politecnico di Torino, “complice del genocidio a Gaza”, secondo i militanti dell’Askatasuna: sassaiola, lancio di uova e di oggetti contundenti, due agenti erano rimasti feriti.  

Andando a ritroso, di mese in mese, si trovano sempre episodi di violenza. Anche nel decennio scorso. A fine gennaio era stato condannato a due anni ai domiciliari Giorgio Rossetto, 62 anni. La condanna è la conseguenza del processo che ha visto imputate decine di persone per gli scontri avvenuti il 27 giugno e il 3 luglio 2011. Dunque parliamo di 14 anni fa. In quell’occasione i militanti avevano scavato trincee per impedire l’avvio del primo cantiere dell’alta velocità Torino-Lione. A un tentativo di sgombero, avevano reagito con la forza. Bilancio degli scontri: in ospedale finirono oltre 60 agenti.

La lentezza dei processi e la mitezza delle pene sono le caratteristiche di tutta la vicenda Askatasuna. Anche il maxi processo, con 28 imputati, conclusosi il marzo scorso, sempre per le proteste No Tav, era finito con appena 18 condanne a pene lievi e 10 assoluzioni. Per tutti era caduto il reato più grave, quello di associazione a delinquere.

Insomma: sindaco collaborativo (in senso stretto) e giudici clementi, per decenni. Ora lo sgombero. Poi cosa ci attenderemo da Torino?