Sfratto Burke, a perderci sarà il Papato
Decisioni dispotiche e comunicazione attraverso "amici": gesti gravi che mettono in mostra un sostanziale disprezzo per l'istituzione e fanno perdere di credibilità il Papato.
Che il cardinale Raymond Burke sarà punito da papa Francesco, con il taglio a stipendio e casa, ormai non c’è più dubbio. Dopo la rivelazione della Nuova Bussola Quotidiana, diversi vaticanisti si sono precipitati a verificare la notizia, trovandone conferma, attraverso fonti presenti all’incontro dei Capi Dicastero della Curia Romana dello scorso 20 novembre, in cui papa Francesco ha dato l’annuncio. Ma sembra anche che qualcuno abbia fretta di vedere Burke sfrattato. Così nei giorni scorsi il direttore del quotidiano online Open, Franco Bechis, ha annunciato che sfratto e blocco dello stipendio erano esecutivi già dal 1° dicembre e che il cardinale – attualmente negli Stati Uniti – aveva ricevuto due raccomandate con le rispettive notifiche. Per l’appartamento comunque sarebbe stata offerta un’opzione per restare, ovvero il pagamento di un affitto superiore ai 10mila euro mensili.
Dal canto suo il gionale online americano The Pillar afferma che a Burke è arrivata una lettera il 1° dicembre, ma datata 24 novembre, secondo cui dovrà iniziare a pagare un affitto a prezzi di mercato altrimenti dovrà lasciare l’appartamento entro il 29 febbraio 2024.
Fonti vicine al cardinale americano però smentiscono recisamente l’arrivo di tali raccomandate, così come l’indiscrezione secondo cui Burke «ha chiesto ai suoi collaboratori di cercare fra le agenzie immobiliari un altro appartamento in affitto non lontano dal Vaticano ma a prezzi più abbordabili». Inoltre, contrariamente a quanto scritto da Open e Pillar, l’appartamento in cui vive il cardinale Burke non è in comodato gratuito, ma viene già pagato un affitto anche se, ovviamente, a un prezzo agevolato. In ogni caso per stipendio e casa è solo questione di tempo, e probabilmente le anticipazioni provengono da fonti vicine al mittente.
Tutti impegnati a speculare sull’arrivo delle raccomandate, si perde però di vista il vero punto della questione: un Papa che sfratta un cardinale è un evento senza precedenti, e lo fa non sulla base di un processo che abbia riconosciuto una qualche oggettiva colpa del porporato, ma in base a una sua valutazione personale. E anche se i soliti “pompieri” si sono subito attivati per giustificare la decisione del Papa, nessuno può negare il fatto che si tratti di un atto puramente arbitrario, segno di un potere gestito in modo dispotico. Ciò che il papato non è mai stato e non dovrebbe essere, come spiega in un altro articolo della Bussola la canonista Geraldina Boni.
E si fa confusione tra obbedienza al Papa ed essere d’accordo con qualsiasi cosa il Papa pensi, dica e faccia. Aver presentato dei Dubia (domande di chiarimento) non è un crimine contro l’unità della Chiesa o un attentato al Papato, ma è un atto perfettamente legittimo quando alcune affermazioni del Papa non appaiono in continuità con il costante insegnamento della Chiesa. Non è un atto di ostilità, tutt’altro: è proprio l’espressione di un amore al Papa, richiamato al suo compito di salvaguardare il depositum fidei.
È una forma di critica ben diversa dalle becere contestazioni fatte a San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI da tanti che oggi, guarda caso, si scoprono difensori entusiasti dell’infallibilità papale sempre e comunque.
Peraltro l’attitudine da parte di Papa Francesco a vivere in modo disinvolto l’uso del potere, è dimostrata anche da un altro curioso episodio legato al caso Burke. Mentre infatti, dopo le rivelazioni della Bussola, il direttore della Sala Stampa Matteo Bruni declinava ogni richiesta di conferma o smentita delle decisioni del Papa, è stato il vaticanista inglese, nonché biografo di Francesco, Austen Ivereigh a riferire pubblicamente il pensiero del Papa sulla vicenda: «Ho incontrato papa Francesco il pomeriggio del 27 novembre (…). Nel corso della conversazione mi ha detto che aveva deciso di togliere i privilegi cardinalizi a Burke – appartamento e stipendio – perché lui stava usando quei privilegi contro la Chiesa».
Il Pontefice aggiunge poi che aveva dato effettivamente l’annuncio nella riunione dei Capi Dicastero della Curia Romana ma senza aggiungere alcuna motivazione, cosa smentita da altre fonti presenti all’incontro che a Reuters e Associated Press hanno invece detto che il papa ha accusato Burke di «lavorare contro la Chiesa e contro il Papato» e di essere «una fonte di divisione». Stando sempre al racconto di Ivereigh, poi, il Papa gli avrebbe inviato un messaggio per dirgli di «non avere mai usato la parola “nemico”». E infine, chiude Ivereigh, «mi ha ringraziato per aver chiarito» questa faccenda.
Già su queste affermazioni ci sarebbe molto da dire per la concezione di Chiesa e Papato che emerge, ma l’aspetto su cui soffermarsi è anche quello della comunicazione. In Vaticano ci sono decine e decine di giornalisti che lavorano per il Dicastero della Comunicazione, c’è una Sala Stampa che ha proprio il compito di comunicare ed eventualmente chiarire il pensiero del Papa, ma da qui solo silenzio. E invece il Papa affida a un giornalista suo amico le sue decisioni e cosa pensa del cardinale Burke, ringraziandolo per averlo comunicato al mondo.
Le cose sono due: o il Dicastero della Comunicazione e la Sala Stampa boicottano il Papa e lo censurano così che egli deve trovare altre vie per far sapere le sue intenzioni (cosa assai poco probabile) oppure il suo disprezzo per le istituzioni della Chiesa (da lui stesso peraltro riformate) arriva a tal punto da ignorare i suoi più stretti collaboratori per affidarsi di volta in volta a quanti riconosce in quel momento come suoi amici.
Certamente affidarsi a portavoce improvvisati ha l’indubbio vantaggio di poter sempre smentirli se le cose si mettono male, ma è altrettanto certo che la prima vittima di questo agire è proprio il Papato.