Sermonti, l'artista totale che fece riscoprire Dante
Narratore, saggista, attore, regista, in questi decenni Vittorio Sermonti ha ottenuto grande successo con le letture delle tre cantiche di Dante. È il desiderio di compimento e di salvezza che alberga in tutti noi che permette ai grandi scrittori di parlare sempre anche a distanza di centinaia di anni.
Proprio quest’anno Vittorio Sermonti era stato finalista al Premio Strega con il suo ultimo romanzo Se avessero (2016), edito da Garzanti. Già nel 1954 si era cimentato nella narrativa con La bambina Europa, cui erano seguiti Giorni travestiti da giorni, Novella storica su come Pierrot Badini sparasse le sue ultime cartucce e il Il tempo fra cane e lupo. Confesso che ho seguito la finale tifando in maniera plateale per lui. È una simpatia, quella per Sermonti, che è nata subito quando ho incontrato la grande capacità dello studioso di trasmettere amore e passione per le grandi opere del passato. Nella mia biblioteca si trovano, infatti, la sua trilogia, che ha dedicato alle tre cantiche dantesche, i commenti e le traduzioni dell’Eneide virgiliana e delle Metamorfosi di Ovidio.
Narratore, saggista, attore, regista, in questi decenni Vittorio Sermonti ha ottenuto grande successo con le letture delle tre cantiche di Dante, declamate e commentate di fronte a grandi folle e, poi, divulgate per conto di Rizzoli in una pregevole introduzione alla lettura. Si è cimentato, poi, con l’Eneide di Virgilio, anch’essa presentata in pubblico e poi editata con un’accattivante introduzione al testo e una moderna traduzione. Sermonti è, poi, avventurato alla riscoperta delle Metamorfosi di Ovidio, un altro grande capolavoro della letteratura occidentale, ricettacolo di tutti i grandi miti greci e latini, uno dei più grandi repertori di simboli del mondo antico, fonte fondamentale del poema dantesco, nonché grande ricettacolo di immagini e di personaggi per la fantasia degli scrittori di ogni epoca.
Sermonti ha sempre dimostrato una grande vena affabulatrice, sapeva raccontare e coinvolgere con le attualizzazioni delle storie, sapeva avvincere con le ricostruzioni delle vicende. Il suo amore per le grandi opere del passato ha documentato che il cuore dell’uomo è immutabile. I classici sono nostri amici e contemporanei, perché possono aiutare a dare concrete risposte alle domande, aiutano ad essere se stessi, a conoscere gli altri. Come hanno parlato agli uomini del proprio luogo e del proprio tempo, così parlano agli uomini di ogni luogo e che si succedono nei tempi. I grandi geni sanno interpretare la propria epoca e sanno capirla, perché comprendono meglio degli altri le chiavi di accesso alla cultura coeva. Per questo, quasi sempre, non sono compresi dai lettori contemporanei, ma vengono apprezzati dai posteri. Le grandi opere hanno, infatti, in sé anche un valore profetico.
Nella nostra epoca di massa, quando i più ritengono che si possa imparare per sentito dire, senza fatica e impegno, Sermonti ha sempre seguito il precetto di Goethe: «In generale non si impara nulla per semplice sentito dire e chi non si impegna di persona nella pratica di certe cose le conosce solo superficialmente e a metà». Di qui il suo desiderio di scoprire le grandi opere del passato, che hanno caratterizzato i tempi antichi, il Medioevo, l’età moderna. Di qui la volontà di incontrare personalmente i poeti per verificare che c’è una comunione universale di tutti gli uomini che hanno attraversato il nostro pianeta: è un’universalità non imposta con ideologie, sovrastrutture, indottrinamenti, ma che costituisce il punto luminoso dell’uomo di ogni epoca e luogo. Che cos’è questo punto luminoso che permette che Virgilio, Ovidio, Dante e tanti altri grandi scrittori possano parlare sempre anche a distanza di migliaia di chilometri e dopo che sono passati centinaia o migliaia di anni dalla composizione di questi grandi capolavori? È il desiderio di compimento e di salvezza che alberga in tutti noi.