Separazione e divorzio express, matrimonio sempre più svilito
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Già quattro tribunali hanno applicato la Riforma Cartabia, che ha introdotto il cumulo delle domande di separazione consensuale e di divorzio congiunto. In linea con la progressiva riduzione dei tempi per divorziare, che svilisce sempre più il matrimonio.
La Riforma Cartabia ha introdotto, dal febbraio scorso, il cumulo delle domande di separazione consensuale e di divorzio congiunto. Come funziona? Prima della riforma, i due coniugi dovevano firmare l’accordo di separazione, aspettare almeno sei mesi, ritornare dagli avvocati, depositare un secondo ricorso e relativa seconda memoria e quindi ottenere la sentenza di scioglimento del vincolo.
Ora invece la Riforma Cartabia prevede, tramite l’art. 413 bis del Codice di procedura civile, la possibilità di trattare in un'unica domanda tutte le questioni che attengono alla separazione e al divorzio e risolverle in un unico atto da depositare in tribunale (non esisterà più la struttura bifasica: prima davanti al presidente e poi al giudice istruttore). Seppure la domanda di separazione e divorzio sia contestuale, rimane però in vigore la previsione che tra separazione e divorzio passino sei mesi, in caso di separazione consensuale, o un anno, in caso di separazione giudiziale.
La riforma mira a ridurre i tempi burocratici, snellire il procedimento, ingolfare meno le aule di tribunale eliminando alcune fasi ritenute superflue. Lo scorso 17 ottobre la Corte di Cassazione ha respinto un ricorso contro questa riforma, già applicata dai tribunali di Milano, Genova, Vercelli e, infine, Verona.
In questa sede non ci interessa mettere in rilievo le possibili criticità di ordine tecnico, che pur ci sono, ma gli aspetti culturali che soggiacciono alla Riforma Cartabia. Una volta il divorzio era inteso come eccezione all’indissolubilità matrimoniale. Seppur in modo contraddittorio, si voleva difendere l’istituto del matrimonio e in specie i figli. Infatti, nella previsione iniziale, tra separazione e divorzio dovevano intercorrere cinque anni, affinché la scelta fosse ben ponderata. Poi si ridussero a tre anni. Nel 2015 si arrivò a un anno o sei mesi in caso di separazione consensuale. Segno che quel lasso di tempo non veniva più inteso come tempo prezioso per tentare di fare marcia indietro, bensì come tempo sprecato, come una lungaggine senza senso che andava contro le esigenze degli ormai ex. Dunque c’è stato un capovolgimento dei princìpi ispiratori: se vuoi difendere il vincolo coniugale dilati i tempi tra separazione e divorzio, se vuoi invece difendere gli interessi dei singoli li accorci.
La Riforma Cartabia si muove lungo il solco di questa sensibilità anti-matrimoniale e molto individualista. Vero è che viene confermato il breve periodo intercorrente tra separazione e divorzio, ma i due procedimenti dal punto di vista processuale, potremmo così dire, si sovrappongono perché sono contestuali. E coincidono proprio per velocizzare i tempi. L’anomalia è diventata il matrimonio, perché vincolo rifiutato da entrambi e dunque tale vincolo deve essere sciolto il più rapidamente possibile. Se decine di anni fa il matrimonio era realtà indisponile, dopo la legge sul divorzio del 1970 non è stato più così. Lo scrivono bene i magistrati del Tribunale di Verona che qualche giorno fa si sono pronunciati su un caso di separazione e divorzio presentati congiuntamente: «Alla luce delle disposizioni processuali introdotte dalla cosiddetta “riforma Cartabia” si deve ritenere che sia ammissibile il cumulo delle domande di separazione consensuale e di divorzio congiunto, non ostandovi neppure ragioni di carattere sostanziale, tenuto conto del percorso di graduale, ma incessante, superamento del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale».
Ora, se dal punto di vista procedimentale la separazione può sovrapporsi al divorzio, il prossimo passo inevitabile sarà la cancellazione della separazione, ritenuta superflua. Se la volontà di sciogliere il vincolo c’è, perché ritardarla con la separazione? Che si passi subito al divorzio, è il ragionamento di fondo. Il focus, lo ripetiamo, non è più sul matrimonio, ma sulla volontà di rompere il vincolo.
Questo cambio di rotta è da rinvenirsi nella legge sul divorzio: accettato il principio che si può sciogliere il patto matrimoniale, ne consegue che le tempistiche non possono che ridursi perché il tempo non può che diventare nemico del diritto di divorziare. È un po’ come se si trattasse di un accordo commerciale: se le due parti sono d’accordo, perché temporeggiare?
Su questo particolare aspetto, la Riforma Cartabia conferma inoltre che il matrimonio è interpretato sempre meno come fenomeno sociale, come patto tra privati che ha valenza pubblica, e sempre più come mera questione privata, perché fondata sugli affetti. Ora se il matrimonio è questione sempre più sentimentale e sempre meno pubblica, il diritto deve agevolare lo scioglimento quando gli affetti vengono meno. Questi scioglimenti sempre più express, quasi istantanei, rispecchiano la sensibilità di legislatori e magistrati che vedono il matrimonio, alla fine, come un affare di cuore tra due persone (i figli vengono in subordine nonostante la riforma preveda un piano condiviso sul loro amaro futuro), un affare in cui lo Stato non ci deve metter becco. Appare quindi congruo, in questa ottica, che il diritto faccia un passo indietro, abbia un approccio il più soft possibile nel disciplinare la fine di un amore, perché questione ritenuta privatissima. Ecco allora cumulare separazione con divorzio, assottigliare le procedure, abbreviare i tempi.