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IL NUOVO DECRETO

Semplificazioni: meno burocrazia, "salvo intese"

Avrebbe dovuto essere il volano per abbattere gli ostacoli burocratici e rilanciare l’economia. Ma il Decreto semplificazioni, oltre ad arrivare con grandissimo ritardo (avrebbe dovuto essere approvato all'inizio del lockdown), riflette ancora le divisioni fra partiti. Quella clausola "salvo intese" fa capire che nulla è ancora definitivo

Politica 08_07_2020
Presentazione del Decreto Semplificazioni

Avrebbe dovuto essere la madre di tutte le riforme, il volano per abbattere gli ostacoli burocratici e rilanciare l’economia, facendo ripartire sul serio il Paese. Sarebbe dovuto arrivare all’inizio di maggio, insieme con il primo allentamento delle misure di contenimento e distanziamento. E invece il tanto atteso decreto semplificazioni arriva a luglio, dopo un Consiglio dei ministri molto burrascoso e contrassegnato dalle consuete laceranti divisioni tra i principali azionisti di maggioranza. Pd e Cinque Stelle hanno discusso fino all’alba di ieri per trovare la quadra su opere pubbliche da realizzare, deroghe alle norme sugli appalti, riforma dell’abuso d’ufficio, rimodulazione del danno erariale, che scatta solo in caso di dolo. Lo snellimento delle procedure burocratiche viene teorizzato, ma poi bisognerà capire in che modo verrà attuato, visto che il provvedimento è stato approvato anche in questo caso, non in via definitiva, ma “salvo intese”. Peraltro già nell’attuale versione supera le cento pagine, realizzando il paradosso di una norma concepita per semplificare, ma che si presenta tutt’altro che semplice e snella.

Quella clausola “salvo intese”, usata e abusata dall’esecutivo in questi mesi di navigazione tempestosa, pone le premesse per ulteriori rinvii e per un continuo rimescolamento di carte destinato ad annacquare le roboanti promesse fatte agli italiani. Infatti, come detto, un testo approvato “salvo intese” non è un testo definitivo e gli articolati di quel testo potranno essere riveduti e corretti prima dell’invio al Parlamento e prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Formalmente, quindi, il Governo può cantare vittoria e annunciare la “svolta epocale” della semplificazione, ma poi gli effetti di questa novità dovranno tutti essere discussi e approvati nelle aule parlamentari. Considerato che, al Senato, i numeri della maggioranza sono risicati, non è detto che il traguardo sia a portata di mano.

Su questo ha ragione il centrodestra quando parla di “scatole vuote” che la maggioranza confeziona per compiacere imprese e famiglie, che però rischiano di rimanere deluse dalla mancanza di contenuti davvero rivoluzionari su temi caldi come le infrastrutture da realizzare, gli appalti da far ripartire, le procedure da snellire, i reati da riformare per eliminare negli amministratori locali il terrore di mettere una firma col rischio di ritrovarsi coinvolti in indagini che durano anni.

Alla fine, quindi, pur essendosi trovata ufficialmente la quadra, rimangono le divergenze tra Pd e Cinque Stelle, destinate ad amplificarsi in Parlamento, visto che il via libera al decreto semplificazioni è arrivato dopo una discussione lunga più di quattro ore in Consiglio dei ministri. Ma Conte aveva fretta di partire per Lisbona (dove è sbarcato ieri), per poi andare a Madrid, dove sarà oggi. E quindi doveva portare in dote agli alleati europei qualche risultato concreto sul fronte delle riforme.

La verità è che il decreto semplificazioni era il primo decreto da varare in pieno lockdown, al fine di sospendere, oltre alle libertà fondamentali dei cittadini, ufficialmente sacrificate sull’altare dell’interesse superiore alla salute collettiva, anche le procedure farraginose che impediscono alle imprese di essere competitive e al mondo produttivo di affrontare l’emergenza Covid-19 senza impantanarsi nelle secche della burocrazia. Il cosiddetto “modello Genova” stenta tuttora a diventare una best practice da riprodurre nella realizzazione delle opere pubbliche, che dovrà peraltro essere preceduta dalla nomina, entro fine anno, dei commissari.

Si sarebbe dovuto semplificare fin dallo scoppio della pandemia il funzionamento della macchina statale, al fine di poter erogare in modo agile e tempestivo gli aiuti necessari ad alcune categorie particolarmente vessate, come quelle dei lavoratori autonomi. E invece si è scelta la strada del rinvio, dell’immobilismo su questioni altamente sensibili e divisive, nella speranza che le questioni più spinose si risolvessero da sole, quasi per inerzia. La realtà si è incaricata di smontare questa pia illusione. I dossier irrisolti si moltiplicano, i nodi vengono al pettine, le divisioni nella maggioranza si acuiscono e il premier Giuseppe Conte spera di scavallare l’estate per potersi blindare alla poltrona di Palazzo Chigi approfittando delle scadenze di bilancio e della precaria situazione economica del Paese.

Senza contare che il decreto legge semplificazioni prevede misure di semplificazione per il sostegno e la diffusione dell’amministrazione digitale, laddove le infrastrutture inadeguate e il digital divide ancora molto marcato di fatto allontanano il traguardo di una piena cittadinanza digitale. Non a caso il Presidente del Consiglio, nel tentativo di dare credibilità ai buoni propositi del decreto, ha annunciato un massiccio piano per la banda ultra larga. Ma il tempo stringe e l’impressione è che anche questo decreto semplificazioni si rivelerà inadeguato a fronteggiare lo tsunami socio-economico destinato ad abbattersi sul nostro Paese già in autunno.