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DOPO L’ABROGAZIONE

Segreto pontificio e abusi, due esperti fanno chiarezza

La differenza tra il segreto d’ufficio, che rimane, e il segreto pontificio (abolito), che comunque “non imponeva agli uomini di Chiesa un vincolo di silenzio”. La possibilità che le autorità civili chiedano la documentazione pure per i procedimenti canonici già chiusi, e il probabile aumento di richieste di risarcimento. Due esperti di diritto canonico, Carmela Ventrella Mancini e Claudio Gentile, spiegano alla Nuova BQ i cambiamenti introdotti da Francesco.

Ecclesia 02_01_2020 English Español

La promulgazione dell’istruzione “Sulla riservatezza delle cause” ha conquistato le prime pagine di giornali e telegiornali per l’abolizione del segreto pontificio sulle denunce e i processi riguardanti i casi di abusi sessuali su minori commessi da prelati o a loro attribuiti. La gravità di questa piaga è stata confermata le scorse settimane dall’Ufficio della sezione disciplinare della Congregazione per la Dottrina della Fede, che - incaricato di raccogliere le denunce sugli abusi - ha indicato nel 2019 il suo annus horribilis, con circa mille casi da affrontare. John Joseph Kennedy, capo dell'Ufficio, ha parlato di “uno tsunami di casi” che ha “sopraffatto” il personale.

L’istruzione promulgata da Francesco e allegata a un rescritto firmato dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ponendosi l’obiettivo di agevolare la collaborazione con le autorità civili, si presenta come un tentativo di dimostrare la volontà della gerarchia della Chiesa a contrastare il fenomeno degli abusi. Ma quali sono le conseguenze reali di questa novità sul piano giuridico e qual è l’impatto che avrà sull’azione della magistratura civile?

La Nuova Bussola ne ha parlato con due esperti della materia: la professoressa Carmela Ventrella Mancini, ordinario di Diritto ecclesiastico e canonico presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Bari “Aldo Moro”, e Claudio Gentile, dottore in Diritto canonico e grande conoscitore dell’argomento, a cui ha anche dedicato un volume dal titolo “I delicta graviora contra mores. Normativa sostanziale e procedurale”.

Il doppio parere degli studiosi consultati consente di avere un quadro più completo sulle importanti modifiche introdotte da Francesco con il documento emanato a inizio dicembre 2019 e reso pubblico il 17 dello stesso mese.

Salta subito agli occhi l’abolizione del segreto pontificio, che va di pari passo con il mantenimento del segreto d’ufficio. La differenza tra i due ce la spiega Gentile: “Il segreto d’ufficio è il segreto che tutti gli operatori, in ogni ordinamento, compreso quello canonico, devono tenere riguardo alle questioni conosciute in ragione del loro servizio e che possono rendere note solo con determinate condizioni. Il segreto pontificio è un qualcosa di più stringente, un livello di riservatezza maggiore, e riguarda situazioni vitali per la Chiesa (per esempio, le nomine dei Vescovi), tant’è che a chi divulga notizie conosciute sotto segreto pontificio è comminata la sanzione della scomunica latae sententiae. Il segreto pontificio potrebbe essere paragonato, nell’ambito civile, in un certo senso al segreto di Stato”.

Nell’istruzione viene specificato che il segreto d’ufficio “non osta all’adempimento degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, compresi gli obblighi di segnalazione, nonché all’esecuzione delle richieste esecutive delle autorità giudiziarie civili”. Un aspetto che potrebbe rendere più facile le richieste di risarcimenti dirette alle diocesi.

Secondo la professoressa Ventrella Mancini, questo è “quanto accadde negli Stati Uniti dove, a partire dal 2002, diverse diocesi dichiararono fallimento in seguito agli ingenti esborsi necessari per risarcire le vittime degli abusi sessuali; in quegli anni, la Conferenza episcopale americana, come risposta ai numerosissimi casi di abuso sessuale su minori da parte di membri del clero, per combattere la pedofilia e l’efebofilia approvò le Linee guida che, tra le norme essenziali, prevedevano proprio il dovere da parte delle diocesi di collaborare con le autorità civili dando la notitia criminis tutte le volte in cui la mancata comunicazione avrebbe comportato la violazione di norme statali”.

C’è inoltre da fare chiarezza sulla natura del segreto pontificio da poco abolito: la sua ‘caduta’ toglie ogni alibi canonico ai vescovi intenzionati a non agire di fronte a questo genere di casi, ma la vecchia normativa, come ci ricorda la professoressa Ventrella Mancini, “non imponeva agli uomini di Chiesa un vincolo di silenzio e l’obbligo alla riservatezza non impediva loro di denunciare alle autorità civili i casi di pedofilia di cui erano a conoscenza”. Aggiunge la docente: “Tutte le disposizioni canonistiche in materia di pedofilia non prescrivevano né vietavano la denuncia all’autorità civile, senza dimenticare che Francesco ha introdotto, tra i delicta graviora,  il reato canonico di «abuso d’ufficio episcopale» per i vescovi che non hanno dato seguito alle denunce”.

Le modifiche volute dal Papa, però, potrebbero avere conseguenze rilevanti non solo sui procedimenti ancora aperti, ma anche su quelli ormai chiusi. “Da questo momento - chiarisce Ventrella Mancini - le autorità civili, ove lo ritengano,  potranno chiedere di avere accesso alla  documentazione esistente, al materiale conservato negli archivi  relativamente ai procedimenti canonici su casi di abuso sessuale e ciò potrebbe portare a riaprire dinanzi alle autorità civili casi da perseguire secondo le norme degli Stati”.

Bisogna tenere conto però, come ci ricorda Gentile, che “le situazioni variano a seconda delle normative nazionali e, per esempio, in alcuni ordinamenti c’è necessità di una querela previa della vittima entro un certo tempo e quasi dovunque ci sono norme sulla prescrizione”.

L’istruzione “Sulla riservatezza delle cause”, in continuità con quanto fatto negli ultimi due decenni, dovrebbe portare ulteriore trasparenza in materia nella Chiesa con la pubblicazione della giurisprudenza su questi specifici casi. Claudio Gentile, che aveva auspicato un intervento in questo senso nel febbraio 2019 in un’analisi sul vertice contro gli abusi tenutosi in quello stesso mese in Vaticano, ne illustra così i benefici: “Far conoscere quanto appurato dai tribunali ecclesiastici è utile in primis per le vittime che sapranno come sono giunti a conclusione i procedimenti iniziati con le loro denunce e poi è utile per gli accusati perché se assolti vedranno ristabilita la loro buona fama, per le comunità, perché si rafforzerà il senso della giustizia, per gli operatori dei tribunali perché potranno avere dei precedenti giurisprudenziali su cui basarsi e, infine, per la dottrina che potrà analizzare le soluzioni adottate ed eventualmente proporre ulteriori migliorie”.