Segreto confessionale, violarlo è contro l'uomo
Sull'iniziativa australiana di obbligare la Chiesa a violare il segreto confessionale per i casi di pedofilia, si dimentica che qui si va contro l’uomo prima di andare contro Dio o contro la Chiesa. La “tolleranza zero” va benissimo se è decisa dalla Chiesa e anche in funzione “riparatrice” verso le vittime, ma non può essere condizionata da una mentalità esclusivamente laica e mediatica che faccia scomparire del tutto il margine di misericordia e “recuperabilità” del colpevole.
La recente notizia di una proposta di legge australiana che obbligherebbe il sacerdote a riferire entro 30 giorni a un funzionario della giustizia civile la notizia di abusi su bambini appresa nella celebrazione del Rito della Penitenza o Confessione, è una ulteriore e continua «spina nella carne» (2Cor 12,7) per la Chiesa di oggi e per i buoni cristiani.
La Bussola ne ha dato notizia con un articolo ben documentato, dove si troveranno le risposte del Vescovo e le considerazioni canoniche per le quali è impossibile obbedire a una simile legge. Nulla da aggiungere, se non una considerazione teologica e spirituale di san Tommaso d’Aquino secondo il quale il confessore non deve in nessun modo testimoniare ciò che ha conosciuto nel sacramento «poiché non conosce queste cose in quanto uomo, ma in quanto ministro di Dio, per cui il vincolo del sacramento è maggiore del vincolo di qualsiasi altro precetto» (II-II, q 70, a 1, ad 2um).
La notizia è però uno stimolo ad allargare il campo con altre considerazioni.
Come spesso capita, qui si va contro l’uomo prima di andare contro Dio o contro la Chiesa. Il segreto di confessione infatti non si basa unicamente sulla volontà di Gesù Cristo e su una disposizione disciplinare della Chiesa, ma ha un fondamento “naturale”, che, se violato, induce conseguenze lesive per le singole persone e per la convivenza civile.
Infatti i manuali di morale classici distinguevano un segreto “naturale”, cioè derivante dalla natura stessa dell’oggetto conosciuto (ad esempio se vengo a conoscere qualcosa di infamante per una persona che lederebbe la sua buona fama); un segreto “promesso” in forza di un patto (una promessa) tra chi rivela il segreto e chi ne riceve la rivelazione; un segreto “commesso”, cioè il segreto di chi professionalmente (medici, psicologi, confessori, avvocati ecc.) viene a conoscenza delle azioni e dell’intimità di una persona. Questo segreto si definisce “commesso” perché presuppone almeno implicitamente il patto che il professionista manterrà il segreto circa quanto gli è confidato.
Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica la veracità o sincerità «rispetta il giusto equilibrio tra ciò che deve essere manifestato e il segreto che deve essere conservato» (CCC 2469), in quanto «il diritto alla comunicazione della verità non è incondizionato» (CCC 2488).
I vecchi manuali di cui sopra elaboravano poi una casistica di casi limite che permettevano la rivelazione del segreto “commesso” o professionale. Il CCC 2491 sinteticamente recepisce l’istanza: i segreti professionali vanno custoditi «tranne i casi eccezionali in cui la custodia del segreto dovesse causare (...) danni molto gravi ed evitabili soltanto mediante la divulgazione della verità».
A questo punto è chiaro che il segreto confessionale è un segreto anche professionale, che suppone un “quasi contratto” tra confessore e penitente circa la sua non rivelazione. È anche chiaro che non si possono addurre ragioni gravissime di pericolo circa il mantenimento del segreto perché in confessione il penitente è... pentito e dunque non è nell’atteggiamento di nuocere ulteriormente.
Ma se la proposta di legge australiana fa saltare tutto questo, non si vede perché la stessa legge debba valere solo per il confessore: potrebbe valere per un avvocato, per uno psicologo, per un commercialista ecc., obbligati a rivelare notizie di pedofilia e - perché no? - altri crimini appresi dai rispettivi clienti.
Così facendo lo stato - totalitario - calpesta il valore e la struttura della persona la quale, non solo nel sacramento della confessione, ha il diritto a un’apertura ben tutelata in funzione della sua difesa e della sua crescita. Ne verrebbe anche danneggiata la fiducia nelle relazioni sociali, fiducia che invece non viene intaccata quando lo stato indaga con i mezzi leciti e senza violare l’interiorità delle persone.
Un secondo allargamento della questione è che in queste materie la Chiesa dovrebbe rivendicare sempre la sua autonomia giudiziaria nello spirito del cap. 6 della 1Cor sull’appello ai tribunali pagani. Ma come, sbotta l’Apostolo, se qualche cristiano litiga «osa forse appellarsi al giudizio degli ingiusti anziché dei santi?» (1Cor 6,1). Non ci sarebbe «nessuna persona saggia tra voi, che possa fare da arbitro tra fratello e fratello?» (1Cor 6,5). Anzi, in un caso particolarmente grave, l’Apostolo decreta che il responsabile venga temporaneamente separato dalla comunità (1Cor 5,1-5).
Appoggiandosi su questi e altri inizi, la Chiesa ha elaborato un suo diritto anche penale, che ad oggi nel caso di pedofilia “clericale” è severissimo sino alla “tolleranza zero”. La quale “tolleranza zero” va benissimo se è decisa dalla Chiesa e anche in funzione “riparatrice” verso le vittime, ma non può essere condizionata da una mentalità esclusivamente laica e mediatica che faccia scomparire del tutto il margine di misericordia e “recuperabilità” del colpevole, sempre che ve ne siano le condizioni e se non si ledano i diritti di terzi.
Un terzo allargamento della questione è che la legge in oggetto riguarda la Chiesa Cattolica ed è l’ennesima segnalazione o provvedimento che in essa c’è qualcosa che non funziona a questo livello. Il che per lo più è vero, ma a livello mediatico il messaggio diventa un altro: non solo “nella” Chiesa Cattolica succedono queste cose, ma “solo nella” Chiesa Cattolica succedono queste cose. Nei ministri di altre confessioni cristiane o di altre religioni non c’è pedofilia? in altre culture non cristiane non c’è pedofilia? nelle famiglie atee o scristianizzate non c’è pedofilia?
Certo, per chiedere perdono a Dio non c’è bisogno di arrivare alla pedofilia, basta un peccato veniale e ogni peccato è a “tolleranza zero”: figurarsi per la pedofilia! Per cui la Chiesa di fronte a Dio sempre deve presentarsi come penitente e chiedere perdono. Ma forse è opportuno che il modo di presentarsi di fronte a Dio non coincida con la gestione mediatica delle accuse dei media o anche del sottinteso di leggi tipo quella australiana: di fronte a questi la Chiesa non può e non deve soccombere e deve ricordare di non essere l’aggregazione sociale in cui prevalentemente si danno casi di pedofilia, che invece sono trasversali all’umanità. E ciò non per un discutibile “mal comune mezzo gaudio”, ma per rivendicare i diritti della verità e della correttezza.
Un quarto allargamento è di tornare alla “spina della carne”, da cui abbiamo preso l’inizio. Certo queste leggi e queste notizie fanno soffrire, e non solo queste, ma anche tante deviazioni sessuali tra maggiorenni cristiani non perseguibili con le leggi civili, ma che macchiano comunque la Chiesa. Per non parlare poi di soldi, di ingiustizie, di incomprensioni ecc.
Tuttavia un raffronto può consolare: il capo di governo che ha proposto la legge in questione è «un gay dichiarato, unito civilmente con il suo compagno» (E. Dovico sito de Il Timone 14.6.2018). Al contrario, nella Chiesa c’è sempre qualcuno «che prega molto per il popolo e per la città santa» (2Mac 15,14), un servo del Signore «che porta il peccato di molti e intercede per i colpevoli» (Is 53,12): è Gesù Cristo e con lui tanti altri che lo seguono con amore e fanno lo stesso. Vista la differenza di chi siamo in mano, la conclusione è che i cristiani e ancora di più i cattolici sono in buone mani e la spina nella carne può essere sopportata con serenità e speranza di guarigione.