Segnali importanti dall'Austria
Austria, il risultato delle elezioni era prevedibile, così come la grande coalizione di governo fra popolari e socialisti. Sono altri i risultati interessanti, come l'affermazione di Strache (che non è xenofobo come si dice) e dei liberali.
Ad una prima occhiata i risultati delle elezioni per il Consiglio Nazionale svoltesi ieri in Austria non sembrano aver prodotto sul sistema politico dell’ex Kakania scossoni particolari. Tutt’altro che una situazione “eccezionale”, la versione austriaca della “Große Koalition”, se è vero che tutti davano per scontato il riproporsi di un governo SPÖ (socialdemocratici) - ÖVP (popolari) con alla guida lo stesso Wolfgang Schüssel e vice-cancellieri il popolare Michael Spindelegger. Entrambi i due maggiori partiti hanno subito una flessione significativa (oltre il 2% in meno ciascuno) e tuttavia il primo è riuscito a riaffermarsi come prima forza (27,1%) e il secondo con il 23,8% ha superato, seppur di poco, la terza forza politica del Paese, lo FPÖ (21,4%) guidato da quel “giovane, dinamico, aggressivo e telegenico” (così Andrea Tarquini) di Heinz-Christian Strache.
Pericolo scampato, dunque, a leggere i più “autorevoli” commentatori italiani. Pur di imporre una propria immagine di questo partito, evitando così di fare i conti con la concretezza dell’agire politico (visto che si tratta di un partito ormai radicato da anni nella società austriaca), si ricorre a definizioni di natura squisitamente ideologica e del tutto astratte: lo FPÖ sarebbe, secondo il “mainstream” nostrano (ma non solo) un partito di “ultradestra”, “populista”, di “destra radicale”, “xenofobo”, e, cosa ancor più grave, fu fondato da Jörg Haider. Ora, ricordato che Haider, in virtù di duri contrasti, lasciò questo partito già nel 2005, per fondare una nuova formazione, il BZÖ (Alleanza per il futuro dell'Austria), il rievocare il nome del fondatore significa semplicemente voler distogliere da ciò che lo FPÖ è ora. E significa soprattutto non voler capire i motivi del pur parziale successo (circa + 4%).
Proviamo a rileggere il programma col quale Strache si è presentato agli elettori: lo si definisce rappresentante di una “destra radicale” e “xenofoba” forse perché pone al primo posto la “patria” (Heimat), la “lingua”, la “storia” e la “cultura” dell’Austria, la “famiglia come comunità tra uomo e donna” e ricorda che la maggioranza degli austriaci è, appunto, per lingua, storia e cultura, parte della più grande comunità germanica? Ma nello stesso programma si legge anche che “minoranze” residenti nel Paese, come quelle “croate, ungheresi, slovene, ceche, slovacche e rom sono un arricchimento e una parte integrata” dell’Austria. Quanto all’essere “nazionalista”, con l’accusa tutt’altro che velata di essere anti-europeo, in realtà si legge che lo FPÖ pone come “fondamento della politica europea un’unione tra popoli liberi e nazioni che siano poste nelle condizioni di autodeterminarsi”.
Ma delle elezioni austriache vanno posti in risalto anche altri risultati, quelli relativi a partiti minori, da poco costituitisi, che pure sono riusciti a superare lo sbarramento del 4% (in definitiva i veri vincitori di queste elezioni). Si pensi dunque ai neoliberali di Neos (Nuova Austria, 4,4%), guidati da Matthias Strolz, con un risultato in controtendenza rispetto alle elezioni per il Bundestag tedesco, e al Team Stronach für Oesterreich, creato dal milionario autro-canadese Frank Stronach (5,8%). Che dire dei Verdi austriaci, anch’essi, come i loro corrispettivi tedeschi, alle prese con scandali legati al passato (accuse documentate di cospicui finanziamenti ricevuti dal leader libico Gheddafi negli anni Novanta)? Anziché raggiungere l’auspicato 20%, devono accontentarsi di un 12% che significa ininfluenza sul prossimo esecutivo nazionale.