"Sedazione profonda": è l'eutanasia alla francese
La Francia a passo di marsigliese marcia spedita verso l’eutanasia legale. Martedì 17 marzo l’Assemblea nazionale ha approvato con larghissima maggioranza bipartisan la proposta di legge Claeys-Leonetti inerente la «creazione di nuovi diritti per il malato e per le persone in fine vita».
La Francia a passo di marsigliese marcia spedita verso l’eutanasia legale. Martedì 17 marzo l’Assemblea nazionale ha approvato con larghissima maggioranza bipartisan la proposta di legge Claeys-Leonetti inerente la «creazione di nuovi diritti per il malato e per le persone in fine vita», come si legge nel titolo della proposta stessa. Il voto definitivo è previsto verso maggio-giugno al Senato.
L’articolo 1 recita: «Tutte le persone hanno diritto ad un fine vita degno». A parte l’ambiguità pericolosa contenuta nell’espressione «fine vita»- dato che ognuno di noi sta già sperimentando questa condizione di “fine vita” - occorre domandarsi cosa intenda il legislatore quando afferma che ogni cittadino francese deve vivere il proprio ultimo miglio con dignità. Vedremo che questo può anche significare morire per mezzo di un atto eutanasico. Analizziamo il resto dell’articolato di legge.
L’articolo 2 ci informa che «l’alimentazione e l’idratazione artificiali costituiscono un trattamento medico». Ciò è falso, perché considerare alimentazione e idratazione come terapie comporterebbe qualificare fame e sete come patologie, quando invece sono semplici bisogni fisiologici. Quindi alimentazione e idratazione, seppur somministrati tramite artifici (e chi tra noi non mangia e non beve per mezzo di strumenti artificiali?), non sono cure bensì mezzi di sostentamento vitale. Come spiegheremo tra poco, per i proponenti del disegno di legge era indispensabile qualificare alimentazione e idratazione come terapie, altrimenti avrebbero avuto qualche problema in più a far passare l’eutanasia di stato.
L’articolo 3 è stato quello che ha acceso più discussioni e così recita: «Dietro richiesta del paziente al fine di evitare sofferenze e non prolungare inutilmente la sua vita, un trattamento sedativo e antalgico che provochi un’alterazione profonda e continua della coscienza fino al decesso, con associata l’interruzione di qualsiasi trattamento di sostegno vitale, è attuato nei seguenti casi: quando il paziente colpito da un’affezione grave e incurabile con il rischio per la vita a breve termine presenta una sofferenza refrattaria al trattamento; quando la decisione del paziente, con una malattia grave ed incurabile, di interrompere un trattamento implica una prognosi di vita a breve termine».
In parole povere questo articolo ci sta dicendo che si può uccidere un paziente, dietro suo consenso, con una forte dose di analgesici se le cure palliative hanno fallito. È noto, infatti, che in dosi massicce farmaci antalgici provocano la morte. Perché l’evento morte poi sia certo, la proposta di legge obbliga a interrompere tutte le terapie salvavita, comprese l’alimentazione e l’idratazione che, come abbiamo prima visto, sono considerate mezzi terapeutici. Il caso differisce dal seguente che è invece lecito dal punto di vista morale. Siamo in presenza di un paziente terminale, cioè di una persona che ha pochi giorni se non ore di vita, i dolori aumentano e quindi per farli diminuire si somministrano in modo proporzionato ad esempio degli oppioidi, fino a quando tale somministrazione provoca la morte del paziente stesso. Nel caso della legge francese il medico somministra antidolorifici al fine di far morire nel sonno il paziente: si tratta né più né meno che di eutanasia attiva. Nel caso invece del malato terminale il medico somministra antidolorifici al fine di non fare soffrire il paziente, tollerando come effetto non ricercato la sua morte: si tratta di azione terapeutica.
Nel primo caso la volontà è quella di uccidere tramite una farmaco, nel secondo caso la volontà è terapeutica (togliere il dolore), sopportando come effetto collaterale non desiderato l’accelerazione del processo morte, la quale era imminente. Nell’ipotesi descritta dal progetto di legge si vuole dare la morte avendo prima addormentato la vittima, nell’altra ipotesi si provoca uno stato di incoscienza per non far soffrire più il paziente, ma non si voleva la sua morte. Insomma, un farmaco viene usato come una pistola per uccidere e l’espressione «ho un sonno da morire» diventerà ben presto una battuta dal sapore noir. Si vede che i francesi hanno preso alla lettera la celebre espressione di Amleto «dormire, morire», forse perché, come recita erroneamente la vulgata, si crede che la miglior morte sia quella che capita mentre si dorme. Morfeo scalzerà Tanato dal suo scranno.
Ma vi sono altri aspetti critici di questo articolo 3. Chi può richiedere la sedazione profonda e quindi l’eutanasia? Ci sono tre casi. Il primo: possono richiederla quei pazienti con una patologia incurabile il cui quadro clinico fa paventare l’esistenza di un «rischio per la vita a breve termine». Non solo quindi i malati terminali, cioè quelli che hanno pochi da vivere, ma anche ad esempio il malato di cancro la cui prognosi è infausta ma che, stando alla letteratura scientifica, ha un’aspettativa di vita di un paio di anni. Infatti l’espressione «vita a breve termine» è assai ambigua, stirabile e allungabile nel suo contenuto cronologico a piacere, non avendo nessun significato oggettivo e scientifico. Il suo significato è perciò demandato caso per caso alla libera interpretazione del medico. Ce lo dice lo stesso premier socialista Manuel Valls che nella relazione al testo di legge afferma in modo tautologico che «la fase terminale della vita è quella dove il pronostico sul tempo di vita afferisce ad un termine breve».
Da qui la possibilità di estendere l’accesso all’eutanasia per sonno anche ai malati cronici – la loro patologia è in effetti incurabile – dal momento che non si vedrebbe il motivo di concedere la “dolce morte” a chi ha un paio di anni di vita e di rifiutarla a chi ne ha 10 o 15 oppure a chi, a maggior ragione, magari ottantenne e con il diabete, forse a ben vedere ne ha di meno. Non solo. Il testo di legge usa la parola “rischio” di morire presto. Quindi non serve per chiedere l’eutanasia avere certezze di aver poco tempo da vivere, basta una mera probabilità o addirittura una certa possibilità che ciò accada.
C’è una seconda categoria di candidati alla fossa per letargia letale. Tutti quei malati gravi che magari hanno un’aspettativa di vita lunga, lunghissima, ma che nonostante ciò decidono di farla finita. Infatti, la legge ci dice che quando uno di questi pazienti decide di interrompere le cure che lo tengono in vita, dato che appunto sta per morire, allora versiamo nel caso “fine vita” e dunque è giustificata la sedazione mortifera. Prima di passare alla terza categoria, ricordiamo quale è il fine di tutta questa operazione di killeraggio clinico: «evitare sofferenze [del paziente] e non prolungare inutilmente la sua vita». L’avverbio «inutilmente» dà più di un grattacapo perché rimanda alla teoria della qualità della vita. Gli ultimi mesi di vita di una persona che ha un tumore, sono un periodo di vita inutile? Una vita di una persona disabile è inutile? E quella affetta da Alzheimer? E la persona in coma? Se uno dei parametri per accedere all’eutanasia è l’efficienza, la valida funzionalità fisiologica e psicologica della persona, i casi di “dolce morte” si allargheranno a macchia d’olio perché il numero di classi di candidati è pressoché infinito. Oltre a questo chi decide dell’inutilità della vita del paziente X? Come vedremo saranno tre soggetti: il paziente stesso, in subordine il medico e il fiduciario.
Questa riflessione sull’avverbio “inutilmente” ci torna, è proprio il caso di dirlo, utile per comprendere meglio gli effetti eutanasici su una terza categoria di persone. Si può procedere all’eutanasia tramite sedazione anche nel caso in cui il paziente non è vigile e il medico ritiene che continuare le terapie configuri accanimento terapeutico. Chiaro è che, usando i criteri interpretativi della legge, protrarre una vita inutile – come quella del paziente in stato vegetativo (rectius: colpito da sindrome della veglia arelazionale) – configura accanimento terapeutico e quindi si potrà procedere all’eutanasia in camice bianco. Il testo di legge all’art. 8 prevede poi l’istituzione delle direttive anticipate che «esprimono la volontà della persona sul fine della vita per quanto riguarda le condizioni di rifiuto, limitazione o interruzione di trattamenti e procedure mediche», direttive il cui contenuto sarà vincolante per il medico dal momento in cui il paziente verserà in stato di incoscienza. La dichiarazioni anticipate di trattamento sono assai problematiche per più motivi. Ricordiamo qui il più importante: si decide ora per allora. Sono strumenti inattuali per esprimere la propria volontà, volontà nata nella psiche di una persona sana e da applicare anni dopo a una persona malata che, se fosse vigile, magari deciderebbe diversamente. Quindi l’eutanasia potrà essere richiesta per atto scritto ed elaborato anche decadi prima dell’insorgere della patologia dall’esisto infausto.
Inoltre, si aggiunge che se le Dat sono «chiaramente inadeguate» rispetto al format previsto per legge, il medico, dopo consulto con un collega (un qualsiasi collega, anche un tricologo) e dopo aver fornito a lui delle spiegazioni (magari anche non fondate), potrà disattenderle. Starà quindi al medico giudicare la inadeguatezza o meno delle Dat: il numero di arbitrii possibili perciò aumenteranno come aumenteranno anche il numero di pazienti che andranno al Creatore anzitempo. Non sono previste poi la consultazione e il possibile veto dei familiari.
Infine viene istituita la figura del fiduciario (art. 9), eleggibile tra genitori, parenti o medici. Qualora il paziente non sia più capace di intendere e volere, in merito alla sospensione delle cure salvavita o alla loro prosecuzione, fa fede unicamente la decisione del fiduciario che quindi avrà potere di vita e di morte sul suo assistito, potendo disattendere facilmente i desiderata di questi dato che può venire eletto anche in assenza di Dat. Il fiduciario diventa una sorta di testamento biologico vivente le cui decisioni sono insindacabili. In buona sostanza in Francia si potrà morire sia perché lo avrà chiesto il paziente stesso in modo attuale o tramite documento scritto, oppure perché lo avrà deciso il medico o il fiduciario.