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PASTORI INDEGNI

Se un ex prete gay lavora in un tribunale diocesano

Un gay dichiarato, ex prete divenuto episcopaliano - per giunta «sposato» con un altro ex sacerdote - in un tribunale diocesano si occupa della supervisione dei matrimoni. Non è un film, succede veramente nella diocesi di Wilmington, Delaware, Stati Uniti. E il vescovo Bambera non ha nulla da dichiarare? 

Editoriali 19_09_2019
Episcopaliani pro-Lgbt

Lo vedreste bene un gay dichiarato, ex prete divenuto episcopaliano - per giunta «sposato» con un altro ex sacerdote - in un tribunale diocesano ad occuparsi della supervisione dei matrimoni? Se la vostra risposta è negativa, sappiate che comunque è ormai troppo tardi: per quanto possa apparire assurda, una situazione del genere è già reale. Dove? Nella diocesi statunitense di Wilmington, la città più popolosa dello Stato del Delaware, con Jack Anderson, ex sacerdote pubblicamente omosessuale e addirittura «sposato» con un altro ex prete, Ted Olson.

A scoprire questa storia, è stato il giornalista investigativo George Neumayr per The American Spectator.  Neumayr si stava occupando di monsignor Joseph Bambera, attuale e decimo vescovo di Scranton, in Pennsylvania, quando si è imbattuto in un album di seminaristi scoprendo che, sopra la foto di costui, campeggiava quella del reverendo Anderson. Solo che oggi Anderson non solo non è più reverendo ma, come si diceva, non è neppure più cattolico, essendo passato alla confessione episcopaliana. Questo – incredibile ma vero – non gli ha però impedito di restare in servizio presso il tribunale canonico locale dove opera, ha osservato sobbalzando Neumayr, «come difensore del legame coniugale, nientemeno!». Per fare luce su tutto questo il giornalista ha provato, senza riuscirci, a mettersi in contatto con Anderson.

E’ stato più fortunato quando si è messo sulle tracce del «marito», il quale ha confermato tutta questa surreale circostanza. Sembra invece che la diocesi di Wilmington non abbia voluto fornire alcuna risposta. Ora, tutto ciò è già evidentemente grave. Il problema è che non è ancora finita. Sì, perché il giornalista investigativo ricorda che nel 2012, su Times Leader, Anderson scrisse una lettera pubblica a monsignor Bambera per opporsi alla sua contrarietà al matrimonio omosessuale. «Vescovo Bambera, mi piacerebbe sentire quale sia la sua posizione personale relativamente al matrimonio tra due cattolici dello stesso sesso», furono allora le parole dell’ex sacerdote, che completava tale quesito con quella che aveva - ed ha - tutto il sapore di una frecciata: «Per favore, si risparmi di citare la legge canonica».

Ora, ricapitolando: abbiamo un ex prete gay «sposato» incredibilmente ancora in servizio presso un tribunale diocesano – dove, non è chiaro con quale faccia, si occupa di difesa del legame coniugale (!) - un uomo che nessuno ha avuto finora il coraggio di rimuovere giunto, velatamente ma non troppo, ad avanzare delle insinuazioni a carico di un vescovo, monsignor Bambera, già noto per aver invitato ripetutamente dalle sue parti il più pro Lgbt dei sacerdoti, padre James Martin, e per essere papabile successore, a Filadelfia, dell'arcivescovo Charles Chaput.

Sembra, inutile negarlo, un orrendo film – il genere stabilitelo pur voi - invece è tutto vero. Motivo per cui non pare superfluo chiedersi quale direzione stiano effettivamente prendendo settori della Chiesa dominati, sembrerebbe, da una rete di omertà e ricatti. Casualmente, ma forse no, si tratta spesso degli stessi settori del mondo cattolico che, come noto, si distinguono per posizioni aperturiste in materia di dottrina – forse più per legittimare le proprie condotte personali, viene a questo punto da supporre, che per reale volontà di inclusione.

Ad ogni modo, l’esplosivo pezzo di George Neumayr si conclude con una domanda - «Anderson sa forse qualcosa di compromettente su monsignor Bambera?» - che non possiamo, spettatori increduli di questa vicenda, non fare nostra senza avanzare sospetti gratuiti, certo, ma con l’auspicio che tutto, naturalmente, possa essere chiarito al più presto. Ne va, fra le tante cose, della trasparenza che è doveroso garantire ai fedeli i quali – specie in quest’epoca babelica – hanno il sacrosanto diritto di avere pastori quanto meno degni di questo nome.