Se tocca a un africano riportare ordine nella liturgia
Il cardinale Sarah, nominato prefetto della Congregazione per il Culto Divino, si troverà di fronte due sfide: valorizzare la voglia di sacro ponendo un freno alla liturgia-intrattenimento, e affrontare l'indisciplina diffusa in fatto di riti che mette in discussione la validità dei sacramenti.
Lunedì 24 novembre il papa ha nominato il nuovo Prefetto della Congregazione per il Culto Divino. Si tratta del cardinale Robert Sarah, originario della Guinea Conakry, fino ad oggi presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum e prima ancora segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide). Il cardinale Sarah è stato anche protagonista al recente Sinodo straordinario sulla famiglia, prendendo posizione contro le proposte del cardinale Kasper in fatto di ammissione all'Eucarestia dei divorziati risposati. Sostituisce il cardinale Antonio Canizares. Per capire il compito e le sfide che attendono il cardinale Sarah abbiamo chiesto il giudizio di un noto liturgista come don Nicola Bux.
L'uomo che prega è l'uomo per eccellenza: è l'atto supremo di autocoscienza della fede. Il culto è l'atto più grande che egli possa compiere, perché lo ricollega all'origine, a Colui che è il creatore e il salvatore dell'uomo.
Ma il culto cattolico, soffre attualmente dello squilibrio tra la forma comunitaria, cresciuta a dismisura dopo il Concilio, e la forma personale, annichilita di fatto proprio dal soverchio comunitarismo, che uccide la partecipazione devota. Questo è uno dei problemi, che il cardinal Robert Sarah, nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino, dovrebbe affrontare. La forma comunitaria, infatti, esprime la comunione, che non è una fusione: l’altro rimane un altro, non viene assorbito né diminuito, analogamente al mistero della Trinità: un solo Dio, una sola natura divina, ma allo stesso tempo tre persone.
Soprattutto, poi, il culto serve a far incontrare Dio all'uomo: è la sua mission, serve a introdurre l'uomo alla Presenza divina: questo, oggi, nel tempo della scristianizzazione, non è più evidente. Presenza evoca qualcosa a cui avvicinarsi, quasi toccare, ma che mi supera, perché sono peccatore. Allora, scatta la reazione di Pietro: «Allontanati da me, perché sono un peccatore». Presenza evoca il “sacro”: la liturgia è sacra, a motivo della Presenza divina. E questo “sacro” sembra crollato, travolgendo nella crisi anche la Chiesa, come ha scritto Benedetto XVI.
Così, molti cattolici, in specie i giovani, evadono pian piano dalle 'liturgie-intrattenimento' – litur-tainment, le chiamano in America, dove il sacerdote imita il conduttore televisivo, – e ricercano il mistero nel maestoso rito bizantino o nel sobrio rito romano antico. Molti vescovi cominciano ad accorgersi del fenomeno. È un nuovo movimento liturgico, nell'attuale passaggio di generazione. Beato chi se ne sarà accorto in tempo! Di tutto questo, la Congregazione per il Culto Divino deve tener conto.
Questa Congregazione, però, è anche preposta alla “disciplina dei sacramenti”. E qui suoneremo un tasto dolente: ovvero l'indisciplina diffusa, la mancanza di fedeltà al rito, che può anche toccare la validità stessa dei sacramenti (cfr. Giovanni Paolo II,Vicesimus Quintus Annus, 1988), inficiando nella liturgia i diritti di Dio, nonché dei fedeli. Nella liturgia, la fede e la dottrina, infatti, sono mediate dal rito: per preces et ritus, dice la Costituzione liturgica (n.48); la fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia è una esigenza della lex orandi che deve essere conforme alla lex credendi. Il rito, infine, scandisce il tempo della musica e struttura lo spazio dell'arte, rendendole capaci di comunicare all'uomo il 'sacro', perciò queste possiedono una dimensione apostolica, missionaria e apologetica. Il cardinal Sarah, che è stato segretario a Propaganda Fide, lo sa bene.
*Consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti