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PROPAGANDA VIRALE

Se l'Ue si auto-censura per compiacere la Cina

Se la Cina appare come vincitrice della lotta al coronavirus, nonostante sia stata la prima a diffonderlo, la colpa è anche dell’Unione Europea. La propaganda cinese è martellante, ma anche a Bruxelles, a quanto risulta, avrebbero deciso di assecondarla, nel nome del quieto vivere. Lo rivela un'inchiesta del quotidiano New York Times. 

Esteri 28_04_2020
Cina e UE

Se la Cina appare come vincitrice della lotta al coronavirus, nonostante sia stata la prima a diffonderlo, la colpa è anche dell’Unione Europea. La propaganda cinese è martellante, ma anche a Bruxelles a quanto risulta, avrebbero deciso di assecondarla, nel nome del quieto vivere. Lo rivela il New York Times, in un’inchiesta in cui si fanno nomi e cognomi e dove si può contemplare, dall’interno, come funziona questo meccanismo di auto-censura.

La storia è questa: il 22 aprile avrebbe dovuto essere pubblicato un rapporto del European External Action Service (Eeas), la squadra di ricercatori dell’Unione Europea che studia le notizie false e la disinformazione. Il rapporto, che il New York Times si era procurato, era redatto in base a informazioni già di pubblico dominio. Individuava uno “sforzo sistematico di disinformazione da parte della Repubblica Popolare per deviare le critiche sullo scoppio della pandemia e promuovere il suo prestigio internazionale”. La Cina ha effettivamente nascosto l’epidemia, quando era contenuta entro il suo territorio, almeno fino al 20 gennaio. Con i documenti svelati dall’Associated Press la settimana scorsa, sappiamo però che, almeno dal 13 gennaio Pechino sapesse dell’inizio di un’epidemia, di una malattia “simile alla Sars” e trasmissibile da uomo a uomo. Anche i medici che hanno lanciato l’allarme per primi, negli ultimi due giorni di dicembre, Ai Fen e Li Wenliang, sono stati perseguitati dal regime. Queste sono informazioni di dominio comune ormai. Per quanto riguarda la fase di promozione del proprio prestigio all’estero, il rapporto cita anche una falsa accusa di Pechino al governo francese, tacciato di “razzismo” su basi completamente infondate. Va ricordato che l’accusa di “razzismo” è la stessa che ha giustificato l’espulsione di tre corrispondenti del Wall Street Journal, che documentavano l’epidemia. Il rapporto prendeva in esame anche la disinformazione della Russia, attore esterno in questo caso, che però ha diffuso notizie esagerate sui contagi e sulla mortalità nei Paesi europei.

Ebbene, dopo che il rapporto era stato dichiarato pronto per la pubblicazione, sono iniziate le pressioni cinesi, sui rappresentanti dell’Ue a Pechino. In uno scambio di email di cui è venuto a conoscenza il quotidiano statunitense, la Repubblica Popolare ha “minacciato reazioni se il rapporto fosse stato pubblicato”. Alla fine, per quieto vivere, l’Ue ha abbassato la testa. Il New York Times rivela che una consigliera dell’Alto Rappresentante per la politica estera, Esther Osorio, avrebbe chiesto ai ricercatori di concentrarsi meno su Cina e Russia per non far apparire il documento troppo pregiudizievole. Nella nuova versione pubblicata, le accuse alla Cina ci sono ancora, ma per trovarle occorre andare a leggere fino all’ultimo capitolo. Manca ogni riferimento al regime di Pechino nel sommario. E anche nell’ultimo capitolo mancano delle informazioni che invece erano incluse nella prima versione, come le accuse cinesi di razzismo alla Francia e l’esistenza di un network di disinformazione cinese attivo in Serbia. Il quotidiano americano cita anche la reazione di una ricercatrice dell’Eeas, Monika Richter, che ha protestato scrivendo: “Questo appeasement costituisce un precedente grave e incoraggerà simili intimidazioni in futuro”

Peter Stano, un portavoce dell’Eeas, affermando che la squadra di ricercatori sia indipendente, nega che vi siano state interferenze politiche e contesta l’inchiesta del New York Times: “accuse infondate e inesatte e contiene conclusioni fattualmente scorrette sul rapporto dell’Eeas”. La smentita era d’obbligo, ma il quotidiano newyorkese, che solitamente non è ostile all’Ue, ha citato nomi, cognomi e circostanze in modo molto dettagliato. Dovrà sicuramente dimostrare la correttezza di tutte le informazioni, ma è difficile parlare di semplici pettegolezzi, soprattutto sapendo ai rischi che corrono i giornalisti che si espongono ad argomenti così pericolosi.

Perché la disinformazione è un tema pericoloso. È da sempre parte della strategia militare, la Cina la sta usando al massimo della sua potenza di fuoco comunicativa, per far dimenticare le sue responsabilità, scaricare le colpe sugli altri e promuoversi come campione mondiale nella lotta al coronavirus. In modo tanto efficace che, in Italia, Alessandro Di Battista, del Movimento 5 Stelle arriva a dire: “La Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europei tale relazione”. E, secondo un sondaggio Swg di metà aprile, il 52% degli italiani considera la Cina come un Paese amico (+42% rispetto all’anno scorso).