«Se lo Stato non paga, l'Italia va a fondo»
100 miliardi di debiti della Pubblica Amministrazione alle imprese. Nel 2012 avevano chiuso 15mila aziende per crediti non riscossi dallo Stato. L'economista Marseguerra: «Lo Stato sta cercando di non pagare, ma questo è un colpo mortale per l'economia».
«Il problema è gigantesco, ed è difficile essere ottimisti sulle reale intenzione dello Stato di pagare i debiti alle imprese». Per Giovanni Marseguerra, docente di Economia Politica e di Economia dell’Impresa all’Università Cattolica di Milano, se l’economia italiana non riprende una responsabilità importante ce l’ha proprio la Pubblica Amministrazione che non paga i propri debiti verso le imprese. In questi giorni si sta discutendo molto del decreto che dovrebbe sbloccare i fondi per pagare i debiti della Pubblica Amministrazione. Il governo avrebbe dovuto approvarlo già martedì scorso, ma poi c’è stato l’ennesimo rinvio e forse verrà approvato oggi: venti miliardi di euro per il 2013, altrettanti per il 2014. Ma è meno della metà di quanto dovuto: 91 miliardi secondo la Banca d’Italia, oltre 100 miliardi secondo le stime dell’Abi, l’associazione delle banche. «In ogni caso è una cifra spaventosa – dice Marseguerra – 215mila imprese che aspettano di essere pagate, con una media di crediti di 422mila euro. E questo è soltanto il pregresso». In effetti, per quanto ora sia previsto che la Pubblica Amministrazione paghi entro 30 giorni, la verità è che i tempi medi di pagamento per il 2012 erano di 180 giorni, addirittura peggio della Grecia (174 giorni), mentre in Europa la media è di 65 giorni. Un confronto impietoso.
Professor Marseguerra, quando si parla di competitività delle nostre imprese forse si sottovaluta questo problema.
In effetti questo è un fenomeno che crea recessione. Il mancato pagamento dei debiti genera una crisi di liquidità per le imprese, oltretutto in un momento in cui le banche riducono i prestiti a imprese e famiglie. Ma la mancanza di liquidità delle imprese aumenta anche le sofferenze bancarie, e quindi a loro volta le banche riducono ulteriormente i prestiti, e così via in un circolo vizioso che ci fa avvitare sulla crisi, in una spirale recessiva che ci sta uccidendo. Secondo la CGIA di Mestre alla fine del 2012 erano 15mila le imprese fallite per i mancati pagamenti della Pubblica Amministrazione. Forse questo non sarà stato l’unico fattore, ma certo è che 400mila euro di crediti non riscossi per una piccola o media impresa sono una cifra enorme. E’ un paradosso: una volta le aziende fallivano per debiti, oggi falliscono per crediti. E ci stiamo giocando migliaia e migliaia di posti di lavoro. Quando si dice che le aziende sono disperate non è un modo di dire. Se vogliamo uscire dalla recessione questi debiti vanno onorati.
In ogni caso questo decreto sbloccherebbe soltanto una piccola parte dei fondi necessari a far fronte a tutti i debiti.
Ma sarebbe comunque una importante iniezione di liquidità, di cui c’è disperato bisogno, soprattutto in alcuni settori, come quello dell’edilizia. C’è poi l’aspetto della fiducia, che è il bene più prezioso che oggi manca alla nostra economia. Senza fiducia non si investe e non si cresce: se lo Stato pagasse, aiuterebbe a ritrovare un po’ di questa fiducia. Perché se lo Stato è il primo a non rispettare le regole, come si può pretendere che altri le rispettino?
Lei parla di problema di liquidità, non è possibile intervenire in altri modi per rispondervi?
Il fatto è che abbiamo delegato alla BCE la politica monetaria, e su questo la BCE è molto rigida: immettere liquidità ha effetti inflazionistici e la Germania è terrorizzata dall’inflazione. Ma l’esempio di Stati Uniti e Giappone, le cui banche centrali hanno immesso abbondante liquidità per aiutare l’economia, ci dimostra che in una fase di recessione come questa l’inflazione resta comunque molto bassa. Fatto sta che noi abbiamo bisogno urgente di liquidità, ma il governo ha margini di manovra limitati per via del Patto di stabilità: il rapporto Deficit/Pil non deve superare il 3%.
Ma quelli verso le imprese sono debiti pregressi, non dovrebbero già essere nel bilancio?
Dovrebbero ma non ci sono, non sono stati contabilizzati. Con l’esborso di 40 miliardi di euro, torniamo al 2,9% dal 2,3%-2,4% cui eravamo arrivati.
Siamo ancora dentro i limiti, allora.
Non è così semplice: l’Italia ha ancora aperta una procedura d’infrazione per aver superato negli anni passati il 3%, ora si sta chiudendo ma basta arrivare al 3% per vanificare il tutto. Se si arriva al 2,9% si è proprio al limite, una situazione pericolosa che non lascia al governo alcuna flessibilità. Oltretutto si mette a repentaglio la possibilità di vedere defalcate dal bilancio, ai fini del Patto di Stabilità, le spese per gli investimenti. Per questo si sta cercando una copertura finanziaria al decreto, ma anche qui non è semplice: anche se il governo smentisce, si è detto nei giorni scorsi che si era pensato ad aumentare l’addizionale regionale delle imposte. Ovvia la reazione negativa: far pagare i debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese con nuove tasse ai cittadini non è proprio una bella idea.
Lei diceva che la mancanza di liquidità è anche colpa della BCE bloccata dagli interessi della Germania. Sembra dare ragione a chi sostiene che sarebbe meglio uscire dall’Euro.
Niente affatto, uscire dall’Euro sarebbe un disastro. Il vero problema è l’aver stabilito una unità economica senza essere arrivati all’unità politica. Ad esempio sarebbe necessaria un’unica politica fiscale. Il punto quindi è andare avanti, non tornare indietro, procedere nell’unificazione politica, non tornare alla lira.
Quando parliamo di debiti della Pubblica Amministrazione parliamo del pregresso. Ora però la legge imporrà il pagamento entro 30 giorni. Le cose andranno meglio? Questo termine sarà rispettato?
Devo dire che ho molti dubbi al proposito. Per poter mettere in atto un tale provvedimento ci vogliono strumenti applicabili per sanzionare i ritardi. Ora è prevista una pena per il dirigente responsabile per ogni giorno di ritardo. Ma sappiamo che da noi non c’è mai un responsabile chiaro, allora c’è il rischio solo dell’aumento dei contenziosi. E inoltre vedo poca voglia da parte della Pubblica Amministrazione di onorare i debiti.
Da cosa lo deduce?
Nei mesi scorsi, quando già doveva essere approvato il decreto, ci si è inventati la certificazione del debito, ovvero la richiesta alle imprese creditrici di produrre tutta una serie interminabile di certificazioni per poter avere diritto a riscuotere il dovuto. Un percorso impossibile che infatti poche imprese sono riuscite a fare. Eppure è molto semplice riconoscere il debito. Non c’è bisogno di giri strani: ci sono aziende che hanno fatto servizi o hanno venduto merci alla Pubblica Amministrazione e lo Stato non paga, questa è la realtà. Lo Stato ha sempre cercato di non pagare e ho l’impressione che anche questa volta si farà qualche piccolo pagamento, il minimo indispensabile, e poi niente. Anzi: nuove tasse, nuove manovre…