Se la Mercedes strizza l’occhio al mondo arcobaleno
Una pubblicità della Mercedes mostra un papà barbuto che tiene a cavalcioni sul collo una bambina. Lo slogan: «Justify nothing».
Attorno al 1902 il console dell’Austria-Ungheria a Nizza, Emil Jellinek, suggerì alla fabbrica tedesca Daimler un modello innovativo di auto. Il suggerimento fu accettato e anche il nome da attribuirgli, quello della figlia di Jellinek, Mercedes. Il simbolo della stella a tre punte inscritta in un cerchio, tuttavia, è del 1926, anno in cui la Daimler si fuse con la Benz. La Mercedes divenne l’auto di sogno dei tedeschi; tra i quali c’era anche Hitler, che dal 1939 cominciò a spostarsi con una Mercedes-Benz 770K Grosser Open Tourer. Anzi, non se ne separò più e la usò anche nelle grandi parate naziste.
Sono famosissime le foto in cui il Führer sfila, in piedi e a braccio teso, sul sedile posteriore di questa splendida macchina. Nera, lucida e con le bandierine naziste sul cofano, ci salì anche Mussolini in visita a Berlino. Un modello di questa celebre auto è sopravvissuto alle distruzioni della guerra ed è arrivata in perfette condizioni ai giorni nostri, con tanto di targa originale (1A 148461) e documentazione dell’autista Erich Kempka, ufficiale delle SS.
Dopo la guerra, come una patata bollente rimbalzò prima in Austria, poi in un museo di Las Vegas, poi fu acquistata da un magnate della birra di Monaco, poi fu venduta a un venditore di auto d’epoca di Bielefeld e infine fu comprata da un anonimo collezionista russo. Il 17 gennaio 2018 andò all’asta a Scottsdale in Arizona, ma l’ultima offerta, 7 milioni di dollari, venne giudicata troppo scarsa per un cimelio del genere e l’auto di Hitler rimase invenduta. L’antica casa automobilistica non deve, certo, farsi perdonare l’adesione a quello che era il politicamente corretto tedesco del 1939, ci mancherebbe altro: pecunia non olet.
Oggi, che il politicamente corretto è molto diverso, ecco che mi imbatto in una concessionaria milanese del glorioso marchio intenta a promuovere un modello «familiare» («spazi interni formato famiglia», dice) con la foto di un papà barbuto che tiene a cavalcioni sul collo una bambina (si suppone sua). Lei è vestita da fatina azzurra. E lui pure. Lo slogan (in inglese, ovviamente): «Justify nothing». La traduzione è accanto: «È l’auto che, proprio come te, non ha bisogno di giustificarsi per quello che sceglie di essere». Ma allora è un’auto per famiglie arcobaleno, direte voi. Parrebbe proprio di sì. Solo che l’ansia di mostrarsi politicamente corretti deve aver fatto dimenticare un po’ di conti, quelli che il glorioso marchio pur si faceva nel 1939. Quante sono le famiglie arcobaleno in Italia? Il conteggio rivelerebbe l’autogol.
Infatti, la famosa Barilla, che finì al centro di polemiche per un’incauta dichiarazione radiofonica, si fece perdonare subito con uno spot pubblicitario in cui protagonista era una coppia gay. E oggi è ritenuta un’azienda perfettamente gay-friendly. Un antico adagio dice che chi sposa la politica rimane presto vedovo. Infatti, l’auto di Hitler è rimasta invenduta. Pure il politicamente corretto è political, e ha un’attitudine cangiante anche maggiore. E l’ultima moda fa presto a diventare penultima.
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