Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L'IPOTESI

Se la Harris sostituisce Biden dopo il disastro

E se Biden fosse un presidente a perdere? La sinistra del Partito Democratico lo accetta solo come apripista per Kamala Harris, la sua vicepresidente. E da subito si sono moltiplicate le voci che il mandato di "sleepy Joe" possa finire prima dei quattro anni. E se il disastro in Afghanistan fosse l'occasione buona per l'avvicendamento?

Esteri 31_08_2021
Kamala Harris e Joe Biden

Da quando ha vinto le elezioni il ticket Biden-Harris mi sono sempre domandato in quale occasione Biden sarebbe stato dimissionato dall’asinello (i Democratici) per fare posto all’enfant prodige, alla predestinata, alla vera candidata: la vicepresidente Kamala Harris.

Il completo fallimento del nation building in Afghanistan è andato ben oltre le previsioni degli osservatori più avveduti che da mesi annunciavano – moderne Cassandre – quello che puntualmente si è avverato. Il tutto si è svolto in una maniera così improvvisata che sembra stato architettato ad arte per lasciare memoria di come non si deve affrontare una crisi di questo tipo. C’era tempo per prepararsi, c’era tempo per evacuare civili e militari che si sono “compromessi” con le forze occidentali, nulla di tutto questo è stato fatto (neppure dall’Italia e dai Paesi dell’Ue i cui ministri degli esteri fischiettano come se nulla fosse).

In questi giorni il canale Iris con tempismo geniale ha trasmesso per la centesima volta Argo di Ben Affleck, incentrato sulla crisi dei “444 giorni” degli ostaggi Usa, tra il 1979 e il 1981, quando la Repubblica Islamica dell’ayatollah Khomeini mosse i primi passi e si fece conoscere al mondo. L’intelligence non fece una bella figura. Non capisco perché oggi si ricordi il Vietnam e non questa crisi. Anche oggi come allora – diverse le battute fulminanti del film – l’intelligence Usa non ha brillato. Il complottista potrebbe non sbagliare del tutto se affermasse che forse questa fine era scontata e tutto sommato più pilotata di quanto non si possa immaginare. 

Biden è sempre stato tollerato dall’ala liberal-progressista dei democratici solo in funzione di apripista della Harris e non tanto per le prossime elezioni, ma nel corso del mandato. Il silenzio di Obama, notato molto in Usa e poco in Italia, è segno evidente che sei sull’orlo del precipizio e devi solo decidere se buttarti giù da solo o se attendi che qualcuno ti dia una spintarella. Silenzio che ricorda tanto le tecniche sovietiche: prima ti tolgo il saluto, poi ti elimino, infine ti escludo dalla storia (vedi alla voce Lev Trockij).

Kamala Harris è sempre stata in secondo piano in tutta la gestione della crisi in Afghanistan – seppure, la crisi non la Harris (o anche lei?), sia destinata a fare la storia degli Stati Uniti e dell’Occidente – con incarichi semidiplomatici, ma comunque al riparo dalle polemiche, anche perché è intoccabile. Inutile a questo punto domandarsi se i Democratici abbiano colto l’occasione per bruciare il Presidente o se già contassero sulla patata bollente che lo avrebbe bruciato. Certo è che Kamala ha una strada spianata davanti a sé, anche perché le prossime elezioni di mid-term sono vicine (novembre 2022), ma non troppo, e questi mesi potrebbero essere preziosi per consentire al partito di riorganizzarsi e di fare dimenticare all’elettorato la figuraccia rimediata. La linea comunicativa è segnata: fare apparire le confuse operazioni di rimpatrio come il ponte areo di Berlino o, meglio ancora, come il salvataggio Dunkirk. Insomma una vittoria.

Dal punto di vista storico-cronachistico sarà interessante vedere se Kamal Harris nominerà un vicepresidente (o una vicepresidente) che, per gli amanti degli aneddoti, potrebbe diventare Presidente senza essere stato/a eletto/a, come avvenne per Gerald Ford alle dimissioni di Richard Nixon (il Vice Presidente, Spiro Agnew si era infatti dimesso per uno scandalo di corruzione e riciclaggio). Vogliamo pensare a Hillary Clinton, fantapolitica? Io vedo più probabile un uomo (che diamine, dovremo pur rispettare le quote di genere), non troppo ingombrante, una specie di burocrate scialbo senza arte né parte (in pratica un nuovo Biden). 

Dal punto di vista politico possiamo già domandarci che Presidente sarà Kamala Harris. Sarà la perfetta incarnazione della cancel culture o dovrà moderarsi in vista delle prossime elezioni presidenziali? Spingerà sull’acceleratore delle riforme liberal? Che approccio di politica estera avrà? 

Sono comunque passati i tempi della battuta: "Una donna aveva due figli. Uno è andato per mare, laltro è diventato vicepresidente degli Stati Uniti. Nessuno ha più avuto loro notizie".

*Direttore del portale giuridico Filodiritto