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CONTINENTE NERO

Se la Cei aiutasse i vescovi africani a fermare l'emigrazione illegale

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Le Conferenze Episcopali africane (Secam) si sforzano di convincere i giovani a rimanere in Africa, a non emigrare in Europa inseguendo illusioni. La Cei dovrebbe condividerne la missione, invece di aderire all'ideologia immigrazionista.

Ecclesia 28_08_2024
Emigranti nel Mediterraneo

«Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi. Non fatevi ingannare dall’illusione di lasciare i vostri paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in America. Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione di giustizia, pace e riconciliazione durature in Africa». Così esortava i giovani Monsignor Nicolas Djomo, Presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, nel discorso di apertura di un incontro della Gioventù cattolica panafricana organizzato dal Secam, il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar. Era il 2015 e l’emigrazione illegale dall’Africa verso l’Europa stava portando via dal continente decine di migliaia di giovani. Da allora il Secam ha ripetuto più volte le sue raccomandazioni e, nelle loro sedi, molti vescovi africani hanno continuato a chiedere ai giovani e alle loro famiglie di rinunciare all’insano progetto di raggiungere illegalmente un Eldorado inesistente. 

«I giovani devono essere pronti a contribuire alla crescita sociale del Paese e delle loro famiglie, mettendo a frutto i talenti donati loro da Dio – diceva nel 2016 Monsignor Joseph Osei-Bonsu, Presidente della Conferenza Episcopale del Ghana – incoraggiamo i giovani africani a rimanere nei loro Paesi e a lavorare sodo per guadagnarsi da vivere. Devono comprendere che l’Europa e altre aree al di fuori dell’Africa non garantiscono automaticamente benessere e piacere».

«Non abbiamo il diritto di lasciare che esistano canali di emigrazione illegale quando sappiamo benissimo come funzionano –  così dicendo nel 2017 Monsignor Benjamin Ndiaye, arcivescovo della capitale del Senegal, Dakar, sollecitava le autorità religiose del suo paese a impegnarsi per far capire ai giovani i pericoli dell’emigrazione illegale – tutto questo deve finire. Cari ragazzi, tocca a noi costruire il nostro Paese, tocca a noi svilupparlo, nessuno lo farà al posto nostro».

Nello stesso anno la Conferenza episcopale della Nigeria prendeva ripetutamente la parola contro l’emigrazione illegale. «Il governo nigeriano – diceva Monsignor Joseph Bagobiri, vescovo di Kafachan – dovrebbe far capire ai giovani che c’è più speranza di vita in Nigeria di quanta pensino di trovarne in Europa o altrove. Il paese ha ricchezze e risorse immense. I nigeriani non dovrebbero ridursi a mendicanti andandosene alla ricerca di una ricchezza illusoria all’estero. Se quelli emigrati clandestinamente, invece di spendere così tanto per il viaggio, avessero investito quelle somme di denaro in maniera creativa in Nigeria, in attività economiche, adesso sarebbero degli imprenditori, dei datori di lavoro».

I vescovi cattolici africani affiancano sempre alle esortazioni ai giovani quelle ai governi richiamandoli al dovere di creare le condizioni necessarie a scoraggiare l’emigrazione illegale: «buon governo, opportunità di lavoro, sicurezza, partecipazione politica, giustizia sociale, contrasto al ‘cancro endemico’ della corruzione» elencava il Secam nel 2022 in occasione della sua 19a Assemblea Plenaria dedicata a “Sicurezza e migrazioni in Africa e nelle isole”.

Corruzione, malgoverno, il merito non riconosciuto, persone prive di qualità premiate dal successo, le arroganti classi superiori, ricche, potenti, prive di scrupoli che scialano ostentando sprechi sfrenati, pubblici e privati, i privilegi immeritati e la prepotenza di chi si avvale di reti clientelari vincenti: cause prime, queste, del mancato sviluppo, radici di un malessere economico, sociale e morale diffuso; e, per i giovani, di ozio forzato, aspettative e pretese crescenti, cattivi pensieri, pessimi esempi. Sono queste le situazioni che inducono tanti, troppi giovani africani a emigrare illegalmente oppure ad arruolarsi nei gruppi armati che vivono di razzie o nelle organizzazioni criminali dedite al traffico di droga, armi, materie prime e altro o ad affiliarsi ai gruppi jihadisti legati ad al Qaeda o all’Isis che infestano il continente africano.

Così si sperpera “il tesoro dell’Africa” che tanto sta a cuore ai vescovi africani. La Conferenza episcopale italiana sembra non tenere conto del loro impegno per salvare vite umane, tutelare l’unità famigliare e promuovere il bene collettivo. Al contrario, asseconda l’ideologia immigrazionista affermando un dovere illimitato di accoglienza senza curarsi o senza capire di contribuire così a creare una generazione di giovani senza futuro, “esiliati” in paesi che non sono in grado di offrire loro lavoro e prospettive di integrazione, condizioni necessarie per vivere in sicurezza e dignità; e senza curarsi o senza capire che l’esodo di centinaia di migliaia di giovani arreca danni economici, sociali, culturali ai paesi di origine, privandoli di parte della più importante risorsa di ogni comunità e di ogni nazione: il suo capitale umano.

La Cei potrebbe piuttosto fornire un contributo sostanziale, preziosissimo al Secam nell’organizzazione, d’intesa con i governi africani disponibili a collaborare, di campagne di informazione destinate ai giovani e alle famiglie, per convincerli che emigrare illegalmente è la peggiore delle opzioni. La fittissima rete esistente di missioni, parrocchie, istituti creati e gestiti da associazioni religiose cattoliche che operano in contesti urbani e rurali, anche nei contesti più difficili, consentirebbe di intervenire in maniera capillare, coordinata. Qualcuno partirebbe lo stesso. Tanti rinuncerebbero, e sarebbero salvi.