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USA

Se la California brucia non è per il riscaldamento globale

Più di 70 vittime accertate e centinaia di dispersi è il tragico bilancio del terribile incendio in California, un evento ricorrente in questa stagione. E i dati non dimostrano nessun aumento della tendenza agli incendi, anzi...

Svipop 20_11_2018
Il presidente Trump in vista sui luoghi devastati dall'incendio

Sono ormai più di settanta le vittime accertate e svariate centinaia i dispersi (le autorità parlano di oltre un migliaio) del terribile incendio, il Camp Fire, che dall'8 novembre devasta la California del nord e ha divorato più di 150mila acri (60mila ettari, ossia 600 km quadrati) e oltre 12mila abitazioni (vedi qui per seguire gli aggiornamenti ufficiali), annientando la cittadina di Paradise, a nord di Sacramento. Negli annali californiani è di gran lunga l'incendio più distruttivo e mortifero. Oltre al Camp Fire, ha infuriato il Woolsey Fire, a ovest di Los Angeles, causando tre vittime e inghiottendo circa 100mila acri (ossia 40mila ettari, 400 km quadrati: vedi qui e qui).

Il governatore uscente Jerry Brown ha attribuito la virulenza distruttiva dei roghi agli effetti del riscaldamento globale antropogenico e ha puntato il dito contro chi (a cominciare dal presidente Trump) nega il legame, affermando che quanti lo fanno “stanno sicuramente contribuendo alle tragedie a cui stiamo assistendo ora e a cui continueremo ad assistere negli anni a venire.” Anche i media nostrani gridano al global warming (uno per tutti, il Sole 24 ore).

La tensione si è stemperata dopo che Trump ha fatto visita ai luoghi colpiti, accompagnato da Brown e dal governatore neoeletto Gavin Newsom. Il presidente USA ha ribadito che, per evitare che si ripetano tragedie di questa portata, è necessario migliorare sempre più la manutenzione delle foreste; al riguardo ha teso una mano a Brown, dichiarando che il governatore uscente “è stato davvero attivo su questo fronte”, e garantendo a quello entrante la massima collaborazione al riguardo.

Al di là della polemica politica e del clamore mediatico, conta ribadire quanto si è già documentato in occasione dei vastissimi roghi dell'agosto scorso (vedi qui), ossia che, come ha evidenziato - dati alla mano - il climatologo Cliff Mass, dal principio del XX secolo a oggi la California non presenta un trend crescente relativamente alla superficie annua arsa da incendi.  Insomma, i dati osservativi non avvalorano la tesi che in California il global warming antropogenico (AGW) stia favorendo l'occorrenza degli incendi e/o ne stia inasprendo la violenza.   

Sempre Mass ha dichiarato che le condizioni meteorologiche che hanno favorito il robusto attecchimento e la rapida propagazione delle fiamme non sono certo inusuali per la California in questo periodo, e pertanto è ingiusto mettere sul banco degli imputati i cambiamenti climatici: “non è vero che il global warming è stato un fattore significativo”. Nei giorni scorsi ricorrevano condizioni favorevoli allo sviluppo di incendi, “poiché la California è tipicamente secca dopo la sua tipica lunga estate calda/asciutta”. In un dettagliato post al riguardo (tutto da leggere), apparso sul suo blog, Mass ha precisato il ruolo chiave svolto nel generare condizioni propizie per roghi distruttivi da “forti venti e bassa umidità”, che non sono sicuramente anomali negli autunni californiani. Nella zona dove ha preso corpo il Camp Fire il territorio era “appena più secco del consueto, con precipitazioni che negli ultimi sei mesi sono state sotto la media di [soli] 3-6 pollici” (vedi l'immagine relativa) California dal 1895 ad oggi le precipitazioni sono diminuite praticamente di nulla: 0,05 pollici (1,1 mm) per decade (vedi il grafico).

L'incendio – come spiegato qui – s'è innescato in un'area forestale (approssimativamente: il cerchio rosso in figura) nei pressi di Pulga, a nord-est di Paradise, nella Plumas National Forest. Sospinto dai forti venti, ha subito investito Paradise, cittadina di 27mila abitanti che è una “wildland-urban interface” e una “wildland-urban intermix”, cioè un centro abitato in cui gli edifici sorgono immediatamente a ridosso della vegetazione spontanea forestale o sono addirittura ad essa frammisti (vedi qui, qui e qui; questa immagine dall'alto della zona est di Paradise prima della devastazione dovrebbe chiarire bene di che si sta parlando). A prescindere da ogni valutazione sulla tempestività degli allarmi e sull'efficacia dei piani di sicurezza ed evacuazione (sui quali si può leggere questo intervento), va riconosciuto che la crescente consuetudine di costruire case circondate da vegetazione spontanea boschiva/forestale, o quantomeno raggruppate in nuclei a strettissimo contatto con essa, moltiplica a dismisura il rischio che gli incendi risultino mortali.

Non è ancora ufficialmente assodato che cosa abbia dato il via al rogo, ma la più grande compagnia elettrica della California, la Pacific Gas & Electric, ha informato di una interruzione della linea ad alta tensione da lei gestita avvenuta l'8 novembre proprio vicino a Pulga alle 6.15, pochi minuti prima che i vigili del fuoco ricevessero le prime segnalazioni sull'incendio.

E come stanno le cose su scala globale? Ossia: ci sono segnali a indicare che a livello planetario l'AGW stia accrescendo numero e distruttività degli incendi?

Uno studio del 2014 ha stimato che dal 1901 al 2007 ogni anno, quanto ad area totale bruciata, c'è stata una riduzione media di circa 12800 km quadrati (cioè dello 0,29%), con un andamento per decade rappresentato in questa figura (nella quale l'istogramma degli anni Duemila fa riferimento al periodo 2000-2007). La stima calcola che nel periodo 1901-1909 l'area bruciata annua fu in media di 4.923.000 km quadrati, mentre quella 2000-2007 è stata di 3.626.000 km quadrati. Il trend calante risulta significativo alle latitudini medie e tropicale, mentre non ne è stato rilevato uno significativo alle latitudini maggiori. Secondo i ricercatori, il trend calante globale è stato determinato soprattutto dall'attività umana (come in figura 7, lettera a).

Per quanto concerne gli anni più recenti, la disponibilità di dati da satellite ha consentito di realizzare una ricerca, pubblicata nel 2017 su Science, che mostra tra il 1998 e il 2015 il calo di circa il 24% (ossia dell'1,35% all'anno) dell'area globale bruciata (rispetto alla distribuzione regionale del trend, si veda questa immagine), dipendente principalmente dalla diminuzione del numero degli incendi (come in figura). Per l'analisi di questo studio rimandiamo anche a questo post di climatemonitor, curato da Luigi Mariani.

In definitiva, va riconosciuto che, secondo le stime più evolute e attendibili, su scala globale dall'inizio del XX secolo la superficie interessata dagli incendi è in calo. Ciò è senza dubbio vero, inoltre, per quanto riguarda gli ultimi vent'anni circa, ossia da quando sono fruibili dati da satellite. Si è autorizzati pertanto a concludere che globalmente l'AGW non risulta essere causa di alcun incremento nel numero e nella violenza degli incendi, a dispetto del concitato allarmismo di politici, istituzioni internazionali e media mainstream (allarmismo e irrazionalità che senza dubbio nascono e fanno presa più facilmente in circostanze drammatiche come quelle che sta fronteggiando la California).