Se il vescovo pro Lgbt critica chi protesta contro l’aborto
Parlando a una radio irlandese, Diarmuid Martin ha preso le distanze da coloro che manifestano fuori dagli ospedali per difendere la vita nascente. Una frecciata al mondo pro life, in linea con altre occasioni in cui l’arcivescovo di Dublino ha espresso posizioni contrarie all’insegnamento della Chiesa
Sembrano stranamente lontani i tempi in cui toccava alla cultura “laica” affrontare i difensori della vita nascente. Oggi, infatti, a bacchettare il popolo pro life ci pensano direttamente coloro che fino a ieri ne erano i primi alleati, i pastori: non tutti chiaramente ma alcuni, che però bastano e avanzano a certificare una babele etica senza precedenti. Memorabili, a questo proposito, le parole di monsignor Nunzio Galantino, il quale qualche anno fa ebbe a prendere le distanze da chi prega davanti agli ospedali dove si praticano aborti con una nettezza degna di miglior causa. «Io non mi identifico», sottolineò il prelato, «con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche». Un’uscita che il diretto interessato stesso, successivamente, tentò di minimizzare, ma che ha purtroppo fatto scuola.
A dimostrare che la non identificazione galantiniana con le istanze pro life non è così isolata, ci ha pensato infatti in questi giorni monsignor Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, il quale ai microfoni di Raidió Teilifís Éireann, l'emittente pubblica irlandese, pur ribadendo l’importanza dell’obiezione di coscienza, ha voluto prendere marcatamente le distanze da chi protesta nei pressi degli ospedali e dei reparti dove si praticano gli aborti. «Sarei particolarmente cauto», ha detto, «nel protestare contro i medici che si recano al lavoro e la gente che va lì per tutti i tipi di motivi». Per precisare meglio il suo pensiero, ha poi aggiunto: «Personalmente, non sono uno per la protesta. Ciò che infatti la Chiesa dovrebbe fare è rafforzare la sua determinazione per aiutare le donne in crisi e per educare le persone sulla vasta gamma».
Ora, che accompagnare e sostenere le donne in gravidanza difficile e indesiderata sia qualcosa di fondamentale è fuori discussione. La luminosa esperienza dei Centri di aiuto alla vita è lì a dimostrarlo. Tuttavia, viene da chiedersi se sia normale e tollerabile che in un Paese in cui, come l’Irlanda, l’aborto è praticabile solamente da pochi giorni, un pastore come prima cosa si precipiti a prendere le distanze da proteste antiabortiste troppo accese, anziché concentrarsi su altro. Nessuno infatti intende legittimare proteste violente, ci mancherebbe. Ma come non accorgersi che la prima violenza da condannare è l’aborto stesso? Non a caso in altri anni, alla legalizzazione dell’aborto, facevano seguito prese di posizione ben diverse da parte delle gerarchie.
Come quella della XV Assemblea generale della Cei che nel 1978, a legge 194 approvata, si pronunciò con una dichiarazione della quale, per comprendere il tenore, è sufficiente riportare i primi tre passaggi: «1) Nessuna legge umana può mai sopprimere la legge divina; 2) ogni creatura umana, fin dal suo concepimento nel grembo materno, ha diritto a nascere; 3) l’aborto volontario e procurato, ora consentito dalla legge italiana, è in aperto contrasto con la legge naturale scritta nel cuore dell'uomo ed espressa nel comandamento: “Non uccidere!”». Una chiarezza di giudizio che oggigiorno, per usare un eufemismo, si fatica a rintracciare.
A chi per caso pensasse che forse monsignor Diarmuid Martin è stato frainteso, e che in realtà le sue posizioni sull’etica sono affidabili, ricordiamo che è lo stesso che in occasione dell’ultima Giornata Mondiale delle Famiglie - come riferisce il Messaggero, testata affidabile e apprezzata anche da papa Francesco, che ha detto di leggerla in genere la mattina presto - faceva «sapere alla controparte vaticana che è giunto il momento di aprire le frontiere e allargare la kermesse cattolica anche ai nuclei omosessuali e al mondo Lgbt». La frecciata arcivescovile alle proteste pro life non è dunque uno scivolone, bensì solo l’ennesima conferma delle posizioni quantomeno singolari di monsignor Martin. Un nome che ormai, ripensando anche all’omonimo gesuita, è tutto un programma.