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EDITORIALE

Se il cardinale Dolan riscrive il catechismo

L'arcivescovo di New York parteciperà il prossimo 17 marzo alla Parata di san Patrizio che per la prima volta vedrà sfilare un gruppo gay. Una decisione sconcertante, che non ha a che fare con l'accoglienza di persone con tendenze omosessuali, ma con lo sdoganamento dei gruppi gay nella Chiesa. Così il peccato diventa virtù.

Editoriali 10_09_2014
Il cardinale Dolan

Nella prospettiva dell’avanzata trionfale del movimento gay nella Chiesa, nei prossimi mesi ci sarà qualcosa di più dirompente del «Chi sono io per giudicare», frase peraltro usata in modo pretestuoso: sarà l’immagine della prossima parata di san Patrizio a New York il 17 marzo con un’organizzazione gay con tanto di striscione che sfila sotto lo sguardo benedicente dell’arcivescovo di New York, cardinale Timothy Dolan. È il caso che in questi giorni sta facendo discutere i cattolici statunitensi e non solo.

La Parata di san Patrizio a New York è famosa in tutto il mondo: si tiene dal 17 marzo 1762, 14 anni prima della Dichiarazione di Indipendenza, per onorare il santo patrono d’Irlanda e di New York. Non è un evento organizzato direttamente dalla Chiesa cattolica, ma da una società cattolica di immigrati irlandesi. La diocesi newyorchese ha però sempre dato la sua benedizione, tanto che la marcia fa tradizionalmente una sosta davanti alla cattedrale di New York, dedicata proprio a san Patrizio, salutata dall’arcivescovo. Quest’anno inoltre il cardinale Dolan è stato invitato come Grand Marshal della parata, ovvero sarà colui che la apre.

A creare maggiore sconcerto tra i cattolici è il fatto che l’accettazione dell’invito da parte di Dolan è arrivata dopo che gli organizzatori per la prima volta nella storia avevano ammesso alla sfilata un gruppo gay con tanto di insegna. Dolan peraltro non ha certo la fama di progressista, tutt’altro: celebre è il suo scontro personale con il presidente Obama a proposito dell’assicurazione sanitaria che obbliga i datori di lavoro a garantire contraccezione e aborto ai propri dipendenti. Eppure...

Davanti al polverone che si è immediatamente sollevato, l’arcivescovo di New York si è dichiarato sereno perché non spetta a lui decidere i partecipanti e comunque non intende discriminare delle categorie di persone. Infine ieri ha pubblicato una dichiarazione ufficiale in cui si sottolinea che né lui né i suoi predecessori come arcivescovo di New York hanno mai deciso chi poteva o non poteva marciare nella parata, e che comunque ha sempre apprezzato lo sforzo degli organizzatori per mantenere l’evento fedele alla sua origine cattolica. Con questo l’arcivescovo Dolan pensa probabilmente di poter chiudere il discorso, ma non sarà così. Per una serie di motivi.

Anzitutto nel comunicato c’è una bugia: il suo predecessore cardinale John O’Connor infatti, si è sempre battuto per evitare che organizzazioni gay partecipassero alla parata, visto che è da almeno venti anni che ad ogni edizione si assiste allo stesso tentativo. Per il movimento gay, la possibilità di partecipare a una delle parate più famose del mondo, con tanto di benedizione da parte di un cardinale di Santa Romana Chiesa, ha un valore simbolico enorme.

C’è poi un retroscena poco edificante che riguarda la decisione degli organizzatori. L’organizzazione gay ammessa è infatti la OUT@NBCUniversal, un gruppo di dipendenti della rete televisiva Nbc. Il motivo è semplice: la Nbc è la rete che trasmette in diretta la parata (con tutti i vantaggi economici che ne derivano), e quest’anno i dirigenti Nbc hanno esercitato pressioni più forti del solito, lasciando intendere che se non avessero potuto sfilare i gay il contratto sarebbe saltato. E analoga pressione è stata fatta dal principale sponsor della parata, la Birreria Guinness. È dunque una pura questione di soldi, un ricatto a cui gli organizzatori hanno ceduto. A maggior ragione il cardinale Dolan avrebbe dovuto declinare l’invito al ruolo di Grand Marshal.

Ma la questione centrale è soprattutto un’altra. In discussione non è la possibilità di sfilare per le persone con tendenze omosessuali, sicuramente lo avranno fatto anche negli anni precedenti; ma ammettere un’organizzazione gay, che dell’omosessualità fa un vanto, è un’altra cosa. È derubricare un peccato – che come ha ricordato nel suo blog Sandro Magister – il catechismo considera uno dei quattro che «gridano al Cielo». Insomma è come se alla processione del Corpus Domini sfilassero movimenti organizzati di assassini, di trafficanti di esseri umani e così via. Un conto è partecipare da peccatore (lo siamo tutti) che desidera la conversione, e un conto da gruppo organizzato che rivendica il peccato come la strada maestra. Indurre e avallare per pragmatismo o per un malinteso senso di inclusione questa confusione è gravissimo. La Chiesa non giudica il peccatore, ma il peccato sì.

Invece con questa decisione, il cardinale Dolan afferma di fatto che l'omosessualità non è più peccato. Si tratta di un'affermazione grave, perché significa concedere che l'omosessualità è una natura, vale a dire che non è vero che «Dio creò l'uomo, maschio e femmina lo creò».

La sfilata del prossimo 17 marzo – se il cardinale non tornerà sui suoi passi - avrà perciò un impatto devastante. Si può solo sperare che serva almeno a risvegliare qualcuno nella Chiesa dal torpore. La «simpatia» per il mondo porta inevitabilmente a diventare del mondo.