Se i missili nordcoreani servono solo a negoziare
Nonostante le tensioni e la schizofrenia bellica Pyongyang non ha interesse a volere la guerra. Le armi atomiche di Kim hanno uno scopo deterrente cioè, paradossalmente, a scongiurare le guerre. Trump sa che questa guerra non si può combattere e Kim Jong-un è consapevole che se attaccasse Seul o Tokyo nulla potrebbe metterlo al riparo da una durissima risposta militare.
La Corea del Nord ha confermato il lancio del missile balistico intermedio Hwasong-12 che martedì 29 agosto 2017 ha sorvolato il Giappone dopo aver volato per 2.700 chilometri e 14 minuti inabissandosi nell'Oceano Pacifico e rilanciato nuove minacce contro le basi Usa sull’isola Guam, avamposto dei bombardieri e dei sottomarini nucleari statunitensi nel Pacifico.
Il leader nordcoreano Kim Jong-un, presente personalmente al lancio del missile balistico a medio raggio, ha chiarito che il test era solo un "primo passo" verso un'azione militare più ampia volta a "contenere Guam".
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato unanimemente il lancio del missile in una riunione d'emergenza a porte chiuse convocata da Stati Uniti e Giappone, l'inviato nipponico ha suggerito l'opportunità che vengano decise nuove sanzioni contro il regime nordcoreano ma nessuna decisione in tal senso è stara adottata nella risoluzione di condanna dell'azione di Pyongyang.
Intanto nella regione, Cina e Russia chiedono ancora una volta l’apertura di un negoziato, il Giappone ha aumentato il livello di allerta, predisponendo contromisure ad eventuali ulteriori lanci di missili mentre le reazioni di Washington appaiono ancora una volta contraddittorie contradittorie.
“Gli Stati Uniti dialogano con la Corea del Nord, e ne pagano il ricatto da 25 anni. Parlare non è la risposta” ha detto il presidente Donald Trump affermando, in una nota diffusa dalla Casa Bianca, che "tutte le opzioni sono sul tavolo", inclusa quindi quella militare.
“Gli Stati Uniti non escludono mai le soluzioni diplomatiche con la Corea del Nord” ha dichiarato invece il segretario alla Difesa americano James Mattis in vista di un incontro con la sua controparte sudcoreana. "Non escludiamo mai le soluzioni diplomatiche, continuiamo a lavorare insieme, il ministro sudcoreano e io condividiamo la responsabilità per assicurare la protezione delle nostre nazioni, delle nostre popolazioni e dei nostri interessi" ha detto Mattis.
Nonostante le tensioni e la schizofrenia bellica meglio non dimenticare che Pyongyang non ha interesse a volere la guerra mentre l’arsenale missilistico e atomico di Kim è “difensivo”, non è stato concepito per attaccare Washington, Tokyo o Seul ma per impedire con la deterrenza nucleare un attacco che farebbe collassare il regime.
Le armi atomiche di Kim, sono come quelle di ogni altra potenza nucleare hanno uno scopo deterrente cioè, paradossalmente, a scongiurare le guerre, non a combatterle.
L’ultimo missile è stato il primo con capacità belliche a sorvolare il Giappone, mentre in due occasioni precedenti i nordcoreani impiegarono sulle isole nipponiche vettori per la messa in orbita di satelliti.
L’obiettivo di Pyongyang non era colpire il Giappone ma dimostrare che gli Stati Uniti non sono in grado di proteggere i loro alleati regionali.
Del resto gli Usa sono consapevoli che un attacco militare preventivo contro Pyongyang è inattuabile perché scatenerebbe rappresaglie su Seul con le armi chimiche che equipaggiano cannoni, razzi e missili a corto raggio posizionati lungo il 38° Parallelo, a tiro della capitale sudcoreana.
Al di là dei toni da cow boy, Trump sa che questa guerra non si può combattere e Kim Jong-un è consapevole che se attaccasse Seul o Tokyo nulla potrebbe metterlo al riparo da una durissima risposta militare.
Le provocazioni missilistiche servono quindi ai nordcoreani per evidenziare i limiti della potenza militare americana. Un risultato certo gradito a Pechino che tenta invano di portare Trump al tavolo di un ampio negoziato strategico che ridefinisca gli equilibri nel Pacifico includendo Taiwan e gli arcipelaghi contesi del Mar Cinese.
Difficile quindi considerare la Cina estranea o tra le “vittime” delle provocazioni di Kim, del resto se Pechino volesse davvero fermare il regime potrebbe bloccare le forniture di generi primari che ogni giorno garantiscono la sopravvivenza della Corea del Nord.
Anche in Giappone i missili nordcoreani non rappresentano solo una minaccia ma rafforzano la politica di riarmo militare sostenuta dal premier nipponico Shinzo Abe. Oggi a Tokyo e Seul si discute del l’opportunità di dotarsi di armi atomiche per bilanciare quelle nordcoreane e cinesi.
Una corsa al riarmo sancirebbe la piena autonomia strategica dei migliori alleati di Washington nel Pacifico indebolendone il ruolo egemone in una regione considerata dalla Cina come il suo giardino di casa.