Se i media fanno il gioco di chi vuole il terrore
É una risposta complessa e multiforme quella che s’impone per rispondere alla sfida che il terrorismo islamista sta lanciando al mondo in queste settimane. Tra le altre questioni, vale di esaminare il ruolo, a nostro avviso disastroso, che i grandi media occidentali, innanzitutto radio-televisivi, assumono in circostanze del genere.
É una risposta complessa e multiforme quella che s’impone per rispondere alla sfida che il terrorismo islamista sta lanciando al mondo in queste settimane, fino all’assalto di ieri all’Hôtel Radisson Blu di Bamako (Mali). É ovvia l’urgenza, che perciò stesso esige la massima energia, di una sempre più efficiente e rapida reazione a viva forza, con tutto quello che ciò implica nei più diversi ambiti e livelli fino a quello prettamente militare.
Nel medesimo tempo però occorre che in Francia, in Belgio, ma in varia misura pure in tutto il resto d’Europa, Italia compresa, ci si cominci a interrogare seriamente sulle radici del grave stato di disagio delle giovani generazioni musulmane, specialmente anche se non solo europee, che è il brodo di coltura in cui il terrorismo islamista germina. Siccome ne abbiamo già recentemente scritto (cfr. “L’Europa nichilista si scopre indifesa”, clicca qui) non ci ritorniamo qui, ma tutto quanto diciamo oggi è a valle di quell’osservazione preliminare. Ciò fermo restando ci soffermiamo adesso su un altro aspetto della questione, ovvero il ruolo, a nostro avviso disastroso, che i grandi media occidentali, innanzitutto radio-televisivi, assumono in circostanze del genere.
Comparso sulla scena europea con gli attentati degli anarchici insurrezionali nella seconda metà del secolo XIX, il terrorismo è una feroce tattica bellica che ha ormai circa un secolo e mezzo di storia. Sul terrorismo, sulle sue pretese giustificazioni e sugli effetti che si attende chi decide di farne uso, i suoi inventori e promotori hanno scritto intere biblioteche. Per capire come non diventarne complici pur senza volerlo basterebbe un po’ di buon senso. Oggi però l’eccesso di “connessione”, con la conseguente atrofia diffusa della capacità di riflettere, fa del buon senso una merce sempre più rara. La lettura, magari su e.book via tablet, di qualche testo di teoria del terrorismo è però a alla portata di chiunque. Se ciò fosse, anche a colpi di “click” si può facilmente scoprire che l’eco dell’attentato terroristico sui mezzi di comunicazione di massa del “nemico” è l’obiettivo primario del terrorista.
Se dunque è ovvio che la notizia dell’attentato terroristico non può di certo venire ignorata, dovrebbe però anche essere chiaro che l’eco distorta e il più possibile amplificata dell’evento in campo “nemico” è esattamente ciò che i terroristi si aspettano. Perciò fa esattamente il loro gioco la meschina gara in cui in questi giorni Tv, radio e nuovi mezzi di informazione si cimentano. L’enfasi spropositata, l’amplificazione della paura invece dell’appello al coraggio, il continuo riannuncio, la descrizione degli eventi ripetuta per ore anche a costo di sminuzzarli in dettagli irrilevanti, il moltiplicarsi all’infinito di commenti via inevitabilmente sempre più banali, la tele e radio-raccolta di dichiarazioni estemporanee di passanti frastornati: tutto questo è ciò che fa la gioia degli strateghi del terrorismo, mentre non è di aiuto alcuno a quella mobilitazione generale della gente di buona volontà che le circostanze esigono.
Ci manca poi, come è anche accaduto, che si aggiungano annunci tipo quello recentissimo dell’Fbi. Non c’è bisogno di essere uno dei più grandi apparati polizieschi del mondo per scoprire che se qualcuno vuol fare un attentato di grande valore simbolico in Italia gli obiettivi cui puntare sono nell’ordine la basilica di San Pietro in Roma, il Colosseo, il Duomo di Milano e cose simili. Per immaginarselo basta essere un collezionista di cartoline illustrate. È ovvio che i grandi luoghi simbolici sono quelli, ed è ovvio che perciò vengono attentamente presidiati. Gli obiettivi più ovvi sono anche i più difficili. Salvo l’Fbi lo sanno tutti, compresi coloro che hanno organizzato gli attentati di Parigi, i quali perciò si sono guardati bene dal prendere di mira la torre Eiffel, Place de la Concorde o altri posti del genere.
Viceversa i grandi luoghi simbolici sono anche quelli la frequenza del pubblico ai quali fa televisivamente più notizia. Se all’Angelus domenicale del Papa in San Pietro c’è molta meno gente del solito a mezzo tv oggi tutto il mondo lo vede e ne parla. Questo è ciò che i grandi registi del terrorismo vogliono e questo è ciò che così essi ottengono trasformando in docili alleati involontari quelli che dovrebbero essere i loro più temibili nemici. Sarebbe il caso che i mega direttori delle mega reti radiotelevisive cominciassero a capirlo.